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Mille Piante

di Mile Kolev – C.so Unità d’Italia 65 – Piana Biglini Alba (Cn)
Arbusti Ornamentali

Mille Piante

di Mile Kolev – C.so Unità d’Italia 65 – Piana Biglini Alba (Cn)
Arbusti Onamentali

Arbusti ornamentali



Gli arbusti ornamentali costituiscono l’elemento principale per dare forma e vita al giardino, per la fioritura distribuita sulla gran parte dell’anno, per il fogliame decorativo, caduco o sempreverde e per le bacche dai colori vivaci. Richiedono un minimo di cure ed offrono una vastissima gamma di specie e varietà tra le quali abbiamo scelto le più interessanti e attraenti.

Per ciascuna delle varietà che rientrano nella categoria “arbusti ornamentali” sono indicati l’altezza, il diametro e l’utilizzo. Informazioni basilari per il progetto di un giardino e per questo va evidenziata la loro variabilità in funzione di numerosi fattori quali:

Piantagione isolata o a gruppi;
Natura del suolo;
Concimazione;
Frequenza delle annaffiature;
Clima.
La forma degli arbusti può essere arrotondata, eretta, arcuata o allargata.

Si possono poi incontrare le seguenti tipologie:

A gruppo: più piante della stessa specie;
A macchia: diverse specie in associazione;
Bordura: siepe bassa potata o libera;
Isolata: pianta singola in un prato o in associazione di piante perenni o conifere;
Siepe libera.

Uva


Abelia

L’Abelia è un arbusto sempreverde, appartenente alla famiglia delle Linneaceae; mostra un portamento tondeggiante e, una volta adulta è in grado di raggiungere e superare il metro di altezza. Viene spesso utilizzata come pianta da siepe per ornare giardini, o è coltivata in fioriere. Possiede fusti molto lunghi e ramificati, di colore rossastro che, col passare del tempo tendono a piegarsi; le foglie molto piccole sono di forma ovale, del tipico colore verde scuro tendente al lucido, aventi i margini dentellati. La pianta produce fiori dalla forma tubolare o anche a forma di campanula, dal colore bianco-rosato; il frutto si presenta come un achenio legnoso, avente al suo interno un seme singolo.
La riproduzione dell’Abelia avviene principalmente mediante talea o per propaggine. Nel primo caso, le talee, di una lunghezza non inferiore ai dieci cm, dovranno essere prelevate verso il mese di giugno, servendosi di un coltello pulito e ben affilato; in seguito, dovranno radicare in contenitori con torba e sabbia in parti uguali, ad una temperatura di circa 18°C. La moltiplicazione tramite propaggine invece, si effettua steccando i rami più lunghi, mettendoli a contatto con la terra; avvenuta la radicazione, le piante potranno essere trattate come esemplari adulti.
Ambiente

L’Abelia è originaria della Cina, del Messico e del Giappone. La pianta non ha particolari esigenza in fatto di terreno, tuttavia al fine di ottenere una fioritura abbondante e uno sviluppo più sano, è opportuno che il terriccio usato sia ricco di sostanza organica e soprattutto ben drenato.
Temperatura

L’arbusto necessita dell’esposizione diretta dei raggi solari, pur adattandosi tranquillamente anche alle zone a mezz’ombra; predilige climi temperati, ma tollera anche condizioni atmosferiche più rigide, a patto che le temperature non scendano al di sotto dei 5°C. Durante i mesi freddi, si consiglia di proteggere la pianta dal gelo, effettuando pacciamature con paglia e foglie secche.
Mantenimento

Gli esemplari giovani hanno bisogno di annaffiature più costanti, mentre le piante adulte riescono a tollerare periodi di abelia fior tubolarisiccità senza riportare danni eccessivi. L’apporto di acqua, in entrambi i casi, va drasticamente ridotto con l’arrivo dei primi freddi, ma non eliminato del tutto. E’ importante non eccedere con le irrigazioni, così da evitare dannosi ristagni idrici, per nulla tollerati dalla pianta.

La concimazione dell’Abelia va fatta all’inizio del suo periodo vegetativo, somministrando del fertilizzante per piante da fiore, da diluire nell’acqua delle annaffiature; tale operazione va ripetuta almeno una volta ogni quindici giorni. E’ importante che il concime contenga tutti gli elementi necessari ad un sano e corretto sviluppo della pianta.
Avversità

L’Abelia, pur essendo una pianta rustica abbastanza resistente alle minacce esterne, non è immune all’attacco di parassiti quali gli afidi: questi attaccano l’apparato fogliare, danneggiandolo gravemente. Al fine di sbarazzarsene, si consiglia l’utilizzo di antiparassitari ad ampio spetto.

La pianta è anche soggetta a marciume radicale, che colpisce le radici fino al colletto della pianta: queste tendono ad ingiallirsi, finendo con l’avvizzire; anche le foglie cambiano colore, imbrunendosi e infine appassendo. La causa va riscontrata in un’eccessiva umidità del terreno.

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Abeliophyllum

 

il genere abeliophyllum comprende un’unica specie, si tratta di un arbusto di dimensioni contenute, a foglie caduche, originario della Corea. Ha sottili fusti allungati, eretti o leggermente penduli, di colore bruno o bruno-rosato; con portamento tondeggiante, questi arbusti hanno crescita lenta, e possono raggiungere i 150-200 cm di altezza e di larghezza. Le foglie sono ovali, spuntano dopo la fioritura, sono di colore verde o verde-bluastro; talvolta divengono color porpora prima di cadere. A fine inverno, in gennaio-febbraio, produce moltissimi fiori bianchi, a stella, leggermente penduli, molto profumati; i boccioli spesso sono presenti sulla pianta a partire da settembre; esistono cultivar a fiori rosa, di varie tonalità. Questo arbusto ricorda molto la forsythia, ma ha dimensioni più contenute e fiori molto profumati, che sbocciano alcune settimane prima della forsythia. Per mantenere una forma armonica all’arbusto è bene potare i rami vecchi ogni 2-3 anni, a 20-30 cm da terra. Chi ama i fiori recisi può potare alcuni fusti di abeliophyllum in gennaio e forzarli a fiorire in casa.
Esposizione
Le piante di forsizia bianca vanno poste a a dimora in luogo soleggiato, o a mezz’ombra, in un luogo in cui esse possano ricevere alcune ore di irraggiamento solare diretto, preferibilmente nelle ore pomeridiane.

Queste piante non temono il freddo, possono resistere senza problemi a temperature rigide, ma mal sopportano le repentine gelate tardive, seguite da giornate calde, che possono provocare gravi problemi alla fioritura.
Annaffiature
Le piante di forsizia bianca, in genere, si accontentano delle piogge, che spesso sono abbastanza copiose nel periodo della fioritura, visto che essa avviene nella stagione invernale, prima della comparsa del fogliame; in caso di periodi prolungati di siccità è consigliabile annaffiare la pianta, soprattutto se si tratta di un esemplare giovane.

In autunno è bene interrare alla base della pianta del concime organico ben maturo, o del concime granulare universale.

Moltiplicazione

La moltiplicazione della forsizia bianca avviene in genere per talea, che va prelevata dagli apici dei fusti, a fine estate, oppure in estate inoltrata se si dispone di luogo idoneo allo sviluppo di talee anche con climi molto caldi. Se si procedere a fine dell’estate è bene disporre di uno spazio adatto per consentire la corretta radicazione delle nuove piante, prima che queste siano poste a dimora definitivamente.

Parassiti
In genere gli abeliophyllum non vengono colpiti da parassiti o da malattie. Per sicurezza, le piante di forsizia bianca, possono essere trattate con prodotti ad ampio spettro prima della fioritura, così da essere maggiormente protette da problemi e malattie.

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Amelanchier

L’Amelanchier è un genere originario del Nord America, dell’Europa e dell’Asia: il loro fogliame rosso acceso colora l’autunno

Appartenente alla famiglia delle Rosaceae, l’Amelanchier, conosciuta anche con il nome di pero corvino (soprattutto per la varietà Amelanchier orientalis, spontanea in Italia) è un ottima pianta da giardino. Ha un periodo di fioritura piuttosto breve, a cui seguono buone e dolci bacche commestibili di colore generalmente blu o nero.
La pianta e le varietà

Albero o arbusto deciduo, questo genere è molto apprezzato per la sua rusticità. Il fogliame, deciduo e lanceolato, in autunno si colora di un bellissimo rosso acceso, mentre la pianta, in primavera, produce piccoli fiori bianchi costituiti da cinque petali. Le bacche, simili come struttura ai mirtilli, sono tondeggianti e dolcissime come l’uva spina.
La varietà più coltivata è l’Amelanchier canadensis, un albero dal portamento eretto che raggiunge i circa 8 m di altezza. In primavera produce i “classici” fiori bianchi; in autunno il fogliame assume una tonalità simile al giallo-arancio intenso. L’Amelanchier lamarckii, invece, è una varietà che può crescere fino a 10 m di altezza ed è molto diffusa in diverse zone dell’Europa.
Coltivazione
Esposizione

Resistente ai climi rigidi invernali, questa pianta vuole un’esposizione in pieno sole, anche se ben sviluppa in ombra parziale.
Tipo di terreno

Scegliamo un suolo privo di calcare, fertile e che sia capace di trattenere l’umidità. Teme e non poco la formazione di ristagni idrici.

Irrigazione

Annaffiamo regolarmente dopo la messa a dimora, poi si accontenta generalmente delle piogge. Non teme la siccità.
Concimazione

Aggiungiamo della materia organica in primavera e autunno. Non sono necessarii altre fertilizzazioni.
Propagazione

Si può propagare per seme, piantato non appena maturo in un semenzaio esterno. In estate utilizziamo delle talee semi-mature.
Malattie e cura

Non teme particolarmente attacchi parassitari o insetticidi, né condizioni climatiche avverse.
Usi e proprietà

Apprezzata è la marmellata di amelanchier, realizzata con le piccole bacche dolci. Queste sono ricche di antiossidanti, oltre che di proprietà astringenti e antipiretiche.

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Aralia

L’Aralia, conosciuta anche con il termine di Fatsia Japonica, è una pianta sempreverde ornamentale originaria dell’Asia orientale e molto diffusa soprattutto in Giappone, dove cresce allo stato spontaneo.
La classificazione botanica dell’Aralia è da ricondurre alla famiglia delle Araliaceae, di cui fa parte anche l’edera.
La Fatsia Japonica è composta da un arbusto molto ramificato e resistente, su cui si trovano foglie ampie e disposte in maniera alternata lungo il tronco.

Alle foglie, caratterizzate da una forma palmare e suddivise in diversi lobi, si aggiungono nella stagione autunnale delle infiorescenze color bianco crema ad ombrello. Le dimensioni ed il colore delle foglie possono variare tra le diverse varietà di Fatsia Japonica presenti in natura.

La tipologia più diffusa ed apprezzata presenta foglie di dimensioni notevoli (possono raggiungere anche i 45 cm di larghezza) e dal colore verde scuro nella parte superiore che diviene molto più chiaro in quella inferiore.
La varietà Aurea invece si presenta con foglie più variegate e tempi di crescita più lunghi, mentre quella Marginata ha foglie dal colore tendente al grigio con margini bianchi. La fatsia japonica Variegata infine ha foglie molto grandi, con ampie variegature bianco crema.
Coltivazione dell’Aralia pianta

Qualunque sia la varietà di Aralia scelta, la sua coltivazione potrà avvenire sia all’interno che all’esterno, in qualsiasi situazione climatica. Si tratta infatti di una pianta verde molto rustica che tollera bene anche il clima invernale purché le temperature non scendano per lunghi periodi sotto lo zero.
Esposizione

A dire il vero l’Aralia tollera molto meno i raggi diretti del sole nelle calde giornate estive. L’esposizione a temperature troppo elevate potrebbe portare la pianta ad un rapido ingiallimento fogliare. Se si sceglie di coltivarla all’interno è bene trovarle una posizione in ambiente luminoso ma non riscaldato, lontano da caloriferi e stufe.

Gli effetti di un’esposizione a temperature inadeguata sono ben visibili nell’Aralia. Le sue foglie tendono ad ingiallire e successivamente si afflosciano e cadono. Se non si dispone di una stanza abbastanza fredda è meglio optare per la collocazione della Fatsia Japonica sul balcone anche nei mesi più freddi dell’anno.
Terreno

La scelta del terreno per la messa a dimora della Fatsia Japonica non richiede accorgimenti particolari. La pianta infatti si adatta perfettamente in qualsiasi tipologia di terreno, purchè ben drenato. Per assicurare all’Aralia il corretto drenaggio, sarà sufficiente miscelare il terriccio con una parte di sabbia.

Per mantenere sempre umida la superficie infine, può essere consigliabile realizzare uno strato di pacciamatura, sia per gli esemplari coltivati in piena terra che per quelli in vaso.
Irrigazione concimazione della Fatsia Japonica

L’irrigazione della Fatsia Japonica richiede una attenzione particolare. Trattandosi di una pianta che teme le alte temperature occorrerà prevedere adeguate operazioni di innaffiatura, soprattutto durante i mesi più caldi dell’anno.

Irrigazioni frequenti in estate e ridotte nei mesi invernali assicureranno alla pianta il rispetto del suo habitat naturale, in un terreno sempre leggermente umido.
Concimazione della Fatsia Japonica

Anche se l’Aralia è una pianta molto rigogliosa, una concimazione adeguata può aiutare ad ottenere risultati sempre brillanti. Per uno sviluppo ottimale della pianta è importante prevedere cicli di concimazione con fertilizzanti a base di humus di lombrico, reperibile nei garden center e nei punti vendita specializzati.

La concimazione andrà fatta con cadenza quindicinale, a partire dal momento della ripresa vegetativa della pianta.
Riproduzione della Fatsia Japonica
Per seme

Per riprodurre la Fatsia Japonica il sistema migliore è dato dai semi della pianta, che vanno prelevati dalle fioriture ad inizio dicembre e messi a dimora in appositi semenzai a fine inverno, quando la temperatura esterna si aggira intorno ai 12°C.

Le nuove piantine andranno conservate in luoghi riparati dai raggi diretti del sole e trapiantate poi nella loro sede definitiva circa un anno dopo, ovvero all’inizio della primavera successiva alla loro semina.

Sempre in primavera vanno programmate le varie operazioni di rinvaso, da fare quando il contenitore che ospita la pianta appare visibilmente troppo piccolo per le dimensioni raggiunte dalla sua chioma.
Per polloni basali

Volendo è possibile riprodurre l’Aralia anche utilizzando i suoi polloni basali. In questo caso occorrerà prelevare le parti interessate per la riproduzione all’inizio della primavera, e collocarle successivamente a radicare in una miscela di sabbia e torba in parti uguali.
Potatura dell’Aralia

Come abbiamo giàò detto, l’Aralia è una pianta che cresce molto in fretta ed in maniera piuttosto disordinata. Per questo motivo è opportuno prevedere delle potature che ridiano forma ed eleganza alla chioma.

Gli interventi di potatura dovranno essere eseguiti sui rami allungati o troppo esili. Il periodo migliore per effettuare la potatura dell’Aralia è fine inverno, poco prima della sua ripresa vegetativa.

Per tagliare i rami in eccesso e ridare forma alla chioma è importante utilizzare strumenti adeguati, capaci di donare tagli netti e precisi senza sfilacciare i rami.

Tutti gli attrezzi da utilizzare per la potatura della Fatsia Japonica dovranno essere ben affilati, puliti e disinfettati. Importante infine ricordare che il taglio del ramo deve essere sempre effettuato al di sopra di una nuova gemma.
Malattie dell’Aralia

L’Aralia, sebbene si tratti di una pianta abbastanza rustica, è sottoposta a frequenti attacchi di malattie. Tra i nemici più temuti della Fatsia Japonica vi sono gli afidi e la cocciniglia cotonosa. Enstrambi attaccano la pianta depositandosi sul fusto e sulle sue foglie. La loro presenza è rivelata dalla comparsa di una abbondante melata e fuliggine, nei punti in cui la pianta viene intaccata per succhiarne la linfa.

La stagione più a rischio è senza dubbio la primavera, quando il clima caldo umido favorisce la comparsa di questi insetti e la loro rapida riproduzione. Per prevenire gli attacchi di afidi e cocciniglia è possibile ricorrere ad infusi naturali, a base di ortica o aglio, da aggiungere all’acqua di irrigazione o utilizzare per una nebulizzazione fogliare.

Anche il sapone di Marsiglia, sciolto in scaglie nell’acqua di irrigazione, può costuituire un ottimo deterrente per questi insetti fastidiosi e così pericolosi per le nostre piante. Se invece gli esemplari di Aralia risultano già infestati e la presenza di insetti copre un raggio troppo ampio, è possibile ricorrere all’olio di Neem, conosciuto ed apprezzato per le sue straordinarie qualità antiparassitarie.

Con l’arrivo dell’estate infine il pericolo che il ragnetto rosso infesti le piante di Aralia è piuttosto frequente. Questo piccolissimo ragno attacca le foglie della pianta, causandone prima l’ingiallimento e poi la morte.
Un sistema abbastanza efficace per prevenire o debellare la presenza di ragnetti rossi è dato da una corretta irrigazione.

Soprattutto in presenza di caldo secco è bene procedere ad innaffiature serali piuttosto abbondanti ed effettuate con acqua fredda.

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Arbutus

Il corbezzolo (Arbutus unedo L., 1753), che viene chiamato anche albatro o, poeticamente, arbuto, è un albero da frutto appartenente alla famiglia delle Ericaceae e al genere Arbutus. È diffuso nei paesi del Mediterraneo occidentale e sulle coste meridionali dell’Irlanda. I frutti vengono chiamati corbezzole o talvolta albatre.
Uno stesso arbusto ospita contemporaneamente fiori e frutti maturi, per il particolare ciclo di maturazione. Questo, insieme al fatto di essere sempreverde, lo rende particolarmente ornamentale, per la presenza sull’albero di tre vivaci colori: il rosso dei frutti, il bianco dei fiori e il verde delle foglie. Dato che questi sono i colori della bandiera d’Italia, il corbezzolo è un simbolo patrio italiano.
Etimologia
Il nome corbezzolo deriva dal latino volgare corbitjus, incrocio del lemma mediterraneo (preindoeuropeo) corba, sopravvissuto nell’Italia settentrionale, e del nome del genere dal latino arbutus, derivato da arbuteus, anch’esso lemma di origine mediterranea (preindoeuropeo).
Il nome scientifico della specie, unedo, deriva da Plinio il Vecchio che, in contrasto con l’apprezzamento che in genere riscuote il sapore del frutto, sosteneva che esso fosse insipido e che quindi dopo averne mangiato uno (unum = uno e edo = mangio) non veniva voglia di mangiarne più.
Dal nome greco del corbezzolo (κόμαρος – pron. kòmaros) derivano alcuni nomi dialettali dei frutti (Marche (cocomeri), Calabria (cacumbari)), e anche il nome del Monte Cònero, il promontorio sulle cui pendici sorge Ancona, e la cui vegetazione è appunto ricca di arbusti di corbezzolo.
Descrizione
Il corbezzolo è longevo e può diventare plurisecolare, con crescita rapida. È una delle specie mediterranee che meglio si adatta agli incendi, in quanto reagisce vigorosamente al passaggio del fuoco emettendo nuovi polloni, soprattutto su terreni acidi e sub-acidi
Portamento
Si presenta come un cespuglio o un piccolo albero, che può raggiungere un’altezza di 10 m. È una pianta latifoglia e sempreverde; inoltre è molto ramificato, con rami giovani di colore rossastro.
Foglie
Le foglie hanno le caratteristiche tipiche delle piante sclerofille. Hanno forma ovale lanceolata, sono larghe 2-4 centimetri e lunghe 10-12 centimetri, hanno margine dentellato. Si trovano addensate all’apice dei rami e dotate di un picciolo corto. La lamina è coriacea e si presenta lucida e di colore verde-scuro superiormente, mentre inferiormente è più chiara.
Fiori
I fiori sono riuniti in pannocchie pendule che ne contengono tra 15 e 20. La corolla è di colore bianco-giallastro o rosea, urceolata e con 5 piccoli denti ripiegati verso l’esterno larghi 5-8 millimetri e lunghi 6-10 millimetri. Le antere sono di colore rosso scuro intenso con due cornetti gialli. I fiori sono ricchi di nettare e per questo motivo intensamente visitati dalle api, se il clima non è già diventato troppo freddo. Dai fiori di corbezzolo si ricava dunque l’ultimo miele della stagione, pregiato per il suo sapore particolare, amarognolo e aromatico. Questo miele è prezioso anche perché non sempre le api sono ancora attive al momento della fioritura e non tutti gli anni è possibile produrlo, essendo la fioritura in ottobre-novembre.
Frutti
Il frutto è una bacca sferica di circa 2 centimetri, carnosa e rossa a maturità, ricoperta di tubercoli abbastanza rigidi spessi qualche millimetro; i frutti maturi hanno un buon sapore, che non tutti, però, apprezzano. È possibile utilizzare i frutti per marmellate casalinghe (confetture) e altre preparazioni.
I frutti maturano in ottobre-dicembre, nell’anno successivo rispetto alla fioritura che dà loro origine, hanno una maturazione scalare e possono essere presenti sullo stesso arbusto bacche rosse mature e più chiare ancora acerbe.
Legno
Il legno di corbezzolo è un ottimo combustibile per il riscaldamento casalingo utilizzato su camini e stufe, ma il suo utilizzo maggiore è per gli arrosti grazie alle sue caratteristiche aromatiche. Il corbezzolo è un legno molto robusto e pesante; dopo circa 60 gg dal taglio può perdere fino al 40% del suo peso.
Distribuzione e habitat
È una tipica essenza della macchia mediterranea, presente sia in Europa meridionale che nel Nordafrica; è ugualmente molto diffusa sulle coste atlantiche del Portogallo e della Spagna e nel sud dell’Irlanda. Il corbezzolo è una pianta xerofila, cresce in ambienti semiaridi, vegetando tra altri cespugli e nei boschi di leccio. Predilige terreni silicei e cresce ad altitudini comprese tra 0 e 800 metri. In Italia il suo areale è continuo su tutte le coste liguri, sarde, siciliane, tirreniche e in quelle adriatiche da sud fino ad Ancona.
La farfalla del corbezzolo (Charaxes jasius), in fase larvale, si nutre esclusivamente delle foglie della pianta del corbezzolo, mentre da adulta predilige i frutti maturi, di cui succhia i liquidi zuccherini; da queste abitudini deriva il suo nome.
Usi
Frutti

I frutti sono eduli, dolci e molto apprezzati. Hanno una maturazione che si conclude a ottobre-dicembre dell’anno successivo, quando si hanno i nuovi fiori. Si possono consumare direttamente, conservarli sotto spirito, utilizzarli per preparare confetture e mostarde, cuocerli nello zucchero per caramellarli. Nelle Marche, e specificamente nella zona del promontorio di Monte Conero, una secolare tradizione voleva che gli abitanti della zona accorressero nel giorno dei santi Simone e Giuda (28 ottobre) nelle selve per cibarsi abbondantemente dei frutti del corbezzolo incoronandosi dei rami della pianta, perpetuando così un rito bacchico rivisitato in chiave cristiana. Oggigiorno la festa del corbezzolo non è più celebrata ufficialmente, ma gli abitanti della zona del Conero amano ancora recarsi nei boschi del promontorio per raccogliere i corbezzoli durante le belle giornate autunnali.
Vino di corbezzolo
Con la fermentazione dei frutti si ottiene il “vino di corbezzolo”, a bassa gradazione alcolica e leggermente frizzante in uso in Corsica, Algeria e nella zona del promontorio del Conero, dove è detto vinetto.
Acquavite
Con la distillazione dei frutti schiacciati si ottiene invece un’acquavite, in uso specialmente in Sardegna.
Liquore
Facendo macerare i frutti per 10-30 giorni in soluzione alcolica se ne ottiene un delicato liquore. Questo liquore, di produzione prevalentemente artigianale è detto in Portogallo Aguardente de Medronhos, mentre nella zona del promontorio del Conero è chiamato arbuto del Monte.
Miele
È stato già citato, nel paragrafo riguardante i fiori, il pregiato miele di corbezzolo, perché è una buona pianta mellifera.
Uso ornamentale
La pianta viene utilizzata a scopo ornamentale in parchi e giardini per il colore rosso intenso dei propri frutti presenti sulla pianta contemporaneamente ai bei grappoli di fiori bianchi ed anche per il denso e lucido fogliame.

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Arctostaphylos

 

L’uva ursina è un piccolo arbusto sempreverde originario dell’Europa e del nord America; al genere arctostaphylos appartengono svariate specie, diffuse nelle regioni temperate dell’emisfero boreale, si tratta di arbusti di dimensioni varie, dal piccolo arbusto tappezzante, fino agli alberi, come nel caso di A. glandulosa. Questa pianta tappezzante produce lunghi fusti prostrati o rampicanti, dai quali si ramificano fusti eretti, alti 15-20 cm, a sviluppo lento ma denso e compatto; i sottili fusti sono ricoperti da una corteccia rossastra, che tende a sfaldarsi con il passare degli anni. Le foglie sono alterne, a forma di spatola, lunghe 5-7 cm, di colore verde scuro, lucide e cuoiose; durante la stagione fredda possono diventare di colore rossastro o bronzo. In primavera produce piccoli racemi di fiorellini bianco rosati, a campanula, simili ai fiori del corbezzolo; in estate vengono seguiti da bacche tondeggianti di colore rosso acceso, che contengono numerosi semi. Queste piante si sviluppano anche allo stato selvatico nel nostro paese; è facile trovarne degli esemplari in zone aperte, collinari o montane, soleggiate. Esistono alcune cultivar, di dimensioni maggiori rispetto alla pianta selvatica, oppure con fiori di colore più acceso; le foglie di arctostaphylos vengono utilizzate in erboristeria.

Esposizione

arctostaphylus Porre a dimora l’uva ursina in pieno sole, o all’ombra parziale; queste piante non temono il freddo invernale, piuttosto possono soffrire durante estati particolarmente calde, è quindi consigliabile porle in luogo semiombreggiato durante i mesi estivi.

Annaffiature
Gli arctostaphylos necessitano di annaffiature regolari, ma senza eccessi: il terreno deve essere mantenuto leggermente umido, ma non inzuppato d’acqua. Fare attenzione alle annaffiature, soprattutto durante l’estate. In autunno interrare nei pressi delle piante del concime organico, oppure spargere sul terreno del concime granulare a lenta cessione.
Terreno

Le piante di arctostaphylos uva-ursi preferiscono terreni molto ben drenati, ricchi di humus, con ph decisamente acido; si utilizza in genere della torba, mescolata con poca sabbia e con del terriccio di foglie; il terriccio pronto per piante acidofile è altrettanto adatto, meglio se addizionato con poca sabbia o pietra pomice. Queste perenni sono particolarmente adatte per i giardini rocciosi, poichè le rocce danno al terreno un migliore drenaggio, contemporaneamente trattengono un poco di umidità vicino al suolo, in modo che il piede delle piante sia costantemente fresco. Gli arctostaphylos si sviluppano in simbiosi con dei batteri azotofissatori, quindi possono svilupparsi senza problemi anche in terreni poveri.

Moltiplicazione

In primavera è possibile seminare i piccoli semi contenuti nelle bacche di Arctostaphylos uva, non prima di averli leggermente sfregati con della carta vetrata e di averli posti in acqua tiepida per almeno 12 ore; queste piante hanno una crescita abbastanza lenta, quindi spesso si propagano per talea apicale. Le nuove piante, ottenute per seme o per talea, vanno coltivate in vaso per almeno due anni prima di poter essere poste a dimora; durante l’impianto fare molta attenzione a non toccare il pane di terra attorno alle delicate radici, per evitare danni che possono compromettere l’attecchimento delle piante.

Parassiti e malattie

In terreni troppo calcarei le piante di uva ursina possono soffrire di clorosi ferrica.

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Aronia

Arbusto di medie dimensioni, originario dell’America settentrionale; sviluppa numerosi fusti eretti, densamente ramificati, che raggiungono i 90-150 cm di altezza. Le foglie lanceolate sono di colore verde brillante, divengono rossastre o arancioni in autunno, prima di cadere. In primavera inoltrata produce ampi mazzi di fiori bianco-rosati, con cinque petali; in estate inoltrata ai fiori succedono piccoli frutti tondeggianti, penduli, che divengono neri a maturazione. I frutti di aronia melanocarpa sono commestibili. Questi arbusti hanno uno sviluppo denso, per evitare che perdano le foglie nelle zone più interne, é consigliabile potare alla base i fusti vecchi, ogni 3-4 anni.

Caratteristiche

L’aronia melanocarpa è un arbusto a foglia caduca appartenente alla famiglia delle rosaceae. Proviene principalmente dai boschi umidi degli Stati Uniti orientali.

Il genere è composto ( a seconda delle classificazioni) da due o tre specie più un ibrido interspecifico.

Sono inserite negli spazi verdi sia per le loro qualità ornamentali sia per i frutti prodotti: ultimamente, infatti, il loro consumo si è diffuso in virtù delle loro qualità benefiche. Possono essere consumati crudi, anche se, generalmente, subiscono delle lavorazione col fine di migliorarne sensibilmente il gusto. Allo stato naturale, infatti, risultano particolarmente acidi. Una volta cotti l’asprezza svanisce lasciando il posto ad un gusto molto dolce.

Ne vengono ricavati succhi, marmellate, salse. Sono inoltre utilizzati per aromatizzare delle tisane, gomme da masticare e gelati. Vengono anche impiegati massicciamente per produrre coloranti naturali (soprattutto il rosa intenso, dato la massiccia presenza di antociani). Sono però particolarmente ricchi in vitamine (quali la C, B1 e B2, oltre alla provitamina A), in fibre e in flavonoidi e quindi considerati un autentico toccasana per la salute del cuore, per ridurre la glicemia nei diabetici e come antiossidanti per la lotta all’invecchiamento.

L’aronia, come abbiamo detto, conta tre specie di arbusti caduchi. Sono molto apprezzati per la loro compattezza e perché donano al giardino autunnale dei bellissimi colori caldi, grazie alle cromie che assumono le loro foglie. Producono inoltre delle bellissime bacche di color nero o rosso, lucide, grandi all’incirca come un pisello.

L’arbusto, nel suo insieme, misura da 1,5 a 3 metri di altezza e ha un portamento leggermente allargato e decombente. L’apparato ipogeo è piuttosto superficiale, composto da radici fini e fibrose. Le foglie sono strette, lunghe dai 5 agli 8 cm, alterne, con bordi finemente dentellati. Il colore è un verde acceso che, all’arrivo dell’autunno, vira verso il rosso, l’arancio e il porpora.

Come i meli produce dei mazzetti di fiori bianchi, molto decorativi, formati da 5 piccoli petali, che attirano irresistibilmente le api. I corimbi comprendono da 10 a 25 fiori, a metà primavera, ermafroditi e quindi capaci di autofecondarsi: non saremo quindi obbligati a piantare due piante della stessa specie per ottenere i frutti.

Ricercano sempre ambienti umidi, quali quelli dei sottoboschi.

Le bacche rappresentano un richiamo irrefrenabile per i piccoli uccelli.

Il nome aronia deriva dal greco e accomuna la pianta al sorbo.

Esposizione

Porre a dimora in luogo soleggiato, o semiombreggiato; non temono il freddo e possono sopportare temperature molto rigide. Si adattano anche all’utilizzo nelle aiole stradali, poiché tollerano senza problemi l’inquinamento, ed anche l’aria salmastra delle zone marine. Anche se allo stato spontaneo cresce in aree poco illuminate come i sottoboschi, quando impiegate per la produzione di frutti o a scopo ornamentale è preferibile porle sempre in pieno sole. Questo perché in un’area ben calda la fioritura, l’impollinazione e la fruttificazione sono sensibilmente maggiori.

Inoltre il sole direttamente sul fogliame garantisce un colore autunnale più sgargiante all’intero cespuglio, rendendolo il vero protagonista del giardino, durante quel periodo.

Se però non disponiamo di una simile posizione possiamo tranquillamente accontentarci di una esposizione a mezz’ombra, l’importante è che non sia troppo fitta. L’ideale in quel caso è posizionarli sotto alberi a foglia caduca

Annaffiature
Questi arbusti mal sopportano periodi prolungati di siccità; da marzo a ottobre é bene annaffiare regolarmente, se le piogge non sono frequenti. Durante i mesi invernali possono rimanere in terreno asciutto. Si sviluppano senza problemi anche in terreno umido o bagnato.

L’aronia melanocarpa assolutamente non vuole un terreno arido. È quindi importante fare in modo che il substrato sia in grado di trattenere l’acqua migliorandone la tessitura.

Le irrigazioni dovranno essere frequenti, specialmente in estate e se l’esposizione è il pieno sole: raramente sono sufficienti le precipitazioni naturali per soddisfare le sue necessità idriche. Impegniamoci quindi intervenendo piuttosto frequentemente ed evitando assolutamente che il terreno si asciughi completamente. Come abbiamo detto, infatti, l’apparato radicale è piuttosto superficiale e la pianta non è in grado di raggiungere l’umidità presente negli strati profondi del terreno.

Per ridurre sensibilmente la frequenza degli operazioni possiamo predisporre uno spesso strato pacciamante a base di paglia o corteccia di pino, al piede degli arbusti. In questo modo eviteremo che l’evaporazione incida sulla quantità di acqua presente nell’area.

Terreno
Porre a dimora in terreno ricco e drenato, evitando le zone eccessivamente argillose. In effetti queste piante si possono adattare senza problemi anche nella comune terra da giardino o nei terreni semipaludosi.

Sotto questo aspetto l’aronia melanocarpa non è esigente. Si adatta ad un gran numero di substrati. Tollera piuttosto bene anche quelli salmastri e risultano da evitare soltanto quelli eccessivamente poveri, sabbiosi e che si asciugano con estrema rapidità.

Per ottenere ottimi risultati vanno preferiti suoli leggermente acidi (con pH tra5 e 6,5), quindi poco o per nulla calcarei, ricchi in materia organica e capaci di trattenere ottimamente l’umidità. I marciumi radicali raramente sono un problema, possono quindi andare bene anche suoli poco drenanti o aree paludose.

Moltiplicazione
La moltiplicazione di questa pianta avviene per seme, in autunno, oppure per talea semilegnosa in estate. Le aronie producono numerosi germogli basali, in primavera inoltrata è possibile dividerli dalla pianta madre e porli a dimora singolarmente.

Parassiti e malattie

In genere queste piante non vengono colpite da parassiti o da malattie.

 

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Aucuba

L’Aucuba japonica è un piccolo arbusto sempreverde a portamento eretto originario del Giappone. Gli esemplari adulti raggiungono i due metri circa di altezza, anche se spesso le dimensioni di queste piante si mantengono più ridotte; la chioma è densa e tondeggiante, i rami ed il fusto sono verde brillante.

L’aucuba è un arbusto sempreverde estremamente utilizzato nell’arredo di parchi e giardini per la particolare resistenza a freddo, siccità, inquinamento, vento e malattie. Viene coltivata anche in vaso per decorare gli spazi interni, ad esempio gli ingressi.

Se tenuta in appartamento o spazi interni supera di rado il metro, invece all’esterno può raggiungere da 2 a 3,50 m di altezza e di larghezza.

L’aucuba japonica, o semplicemente aucuba, appartiene alla famiglia delle Cornaceae ed è originaria del continente asiatico.

È caratterizzata da fogliame persistente verde brillante, spesso macchiettato. Le grandi foglie ovali e coriacee, con margine dentellato, sono disposte a coppia.

Le foglie sono grandi, cuoiose, lucide, e solitamente le specie più coltivate sono quelle a foglie variegate, come A. j. variegata, con foglie verde brillante variegate di bianco, oppure A. crotonifolia, con foglie di colore verde variegato di arancione o rosso.

All’inizio della primavera producono pannocchie costituite da piccoli fiorellini di colore marrone, seguiti in autunno, negli esemplari femmina, da vistose bacche rosse, che rimangono sulla pianta fino a primavera.

Per avere un’abbondante produzione di bacche si consiglia di porre a dimora almeno due esemplari vicini, di cui uno maschio e uno femmina.

Le piante femmine producono dei piccoli fiori a grappoli in primavera e delle bacche rosso vivo, non commestibili, di forma ovoidale, all’inizio dell’inverno. Ma la produzione di frutti è possibile solo se l’esemplare femmina è piantato vicino a un esemplare maschio. Attenzione alle foglie e alle bacche dell’aucuba poiché sono tossiche: l’ingestione può causare l’irritazione della mucosa orale, gravi disturbi gastrici e nausea.

Esposizione
Questa tipologia di pianta preferisce le posizioni semiombreggiate, e teme i luoghi in pieno sole, elemento che potrebbe rovinare la pianta in modo grave se questa rimane esposta per lungo tempo. Queste piante sono piuttosto rustiche e resistenti e riescono ad adattarsi anche a condizioni non ottimali, ma il sole troppo intenso le può rovinare irrimediabilmente, mentre sono molto più resistenti per ciò che riguarda il clima rigido.

Questa varietà, infatti, non teme il freddo, anche se è consigliabile tenerla al riparo dai freddi venti invernali, per evitare che temperature troppo basse rovinino le foglie esterne.

L’aucuba può essere piantata all’ombra o a mezz’ombra visto che non ha bisogno di molta luce per crescere. Infatti resiste molto bene anche in posizioni con luminosità molto limitata, ad esempio in un ingresso o su un pianerottolo.

Le varietà macchiettate assumono dei colori molto belli al sole, mentre l’esposizione a mezz’ombra favorisce lo sviluppo delle bacche rosse.

Grazie alle particolari caratteristiche estetiche e alla resistenza, l’aucuba può essere utilizzata

• per creare una siepe

• per bordure

• in un cortile

• per un ampio cespuglio sempreverde in un’aiuola

• per ornare un balcone o una terrazza

• negli spazi interni di una casa.

Temperature

L’aucuba non sopporta le temperature elevate, invece resiste molto bene, anche se per periodi brevi, a temperature rigide (-150).

Annaffiature
Le aucuba japonica sopportano senza problemi brevi periodi di siccità e temono il terreno troppo bagnato; per ottenere una pianta con uno sviluppo rigoglioso è bene però annaffiarla con regolarità, soprattutto nel periodo che va da marzo a ottobre. E’ bene controllare che non si verifichino dei ristagni d’acqua che potrebbero risultare pericolosi.

In inverno si consiglia di annaffiare sporadicamente la pianta se ci sono prolungati periodi senza precipitazioni.

In primavera interrare ai piedi dell’arbusto del concime organico, oppure spargere sul terreno una grossa manciata di concime granulare; evitare eccessi di concimazione che potrebbero indebolire la pianta.

Come detto quindi l’aucuba deve essere innaffiata tutto l’anno, ma il terreno non deve rimanere umido tra un’innaffiatura e l’altra.

All’esterno il terreno deve essere innaffiato abbondantemente in estate e meno in inverno. In estate, durante l’innaffiatura, prestate attenzione a non bagnare le foglie, e innaffiate la sera o il mattino molto presto.

All’interno, innaffiate anche durante l’inverno se la pianta viene tenuta in una stanza con una temperatura elevata.

Terreno
Le aucube preferiscono terreni profondi, ricchi di humus e molto ben drenati; per questo motivo è consigliabile non porre a dimora le aucuba japonica in terreni molto bagnati perchè ciò può favorire l’insorgenza di malattie, mentre terreni troppo poveri vanno a rallentare lo sviluppo della pianta che rimarrà meno rigogliosa.

Se la pianta è in vaso essa va rinvasata ogni 2 o 3 anni; se viene posta a dimora in piena terra è consigliabile mescolare al terreno della sostanza organica che ne migliorerà l’intera struttura.

L’aucuba può essere messa a dimora a settembre-ottobre oppure a marzo-aprile, e nelle zone più calde può essere piantata in qualunque periodo dell’anno.

Per migliorare il drenaggio si consiglia di porre in fondo al vaso della sabbia grossa o perlite.

Nel periodo primavera-estate si consiglia di fertilizzare una volta al mese: aggiungete del concime liquido con alto contenuto di azoto e potassio all’acqua delle innaffiature.

Potatura Aucuba

Se l’aucuba viene utilizzata per la realizzazione di una siepe si rende necessaria la potatura, altrimenti potrete farne a meno: limitatevi a eliminare le foglie secche e i rami rovinati, o sfoltite i rami, se è necessario. Non procedete alla potatura in autunno o in inverno, altrimenti rischiereste di perdere le belle bacche che ornano la pianta in tutto il periodo invernale, e rinviatela al periodo febbraio-aprile.

Nelle piante utilizzate per le siepi tagliate i rami secchi, quelli troppo deboli o che sporgono in qualche modo dalla pianta. La base della siepe deve essere più ampia della sommità: in questo modo tutte le parti della pianta risulteranno ugualmente illuminate. Le piante che si sono ingrandite eccessivamente e sono spoglie alla base possono essere potate con decisione nel mese di aprile.

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Baccharis

Baccharidinae Less., 1830 è una sottotribù di piante spermatofite dicotiledoni appartenenti alla famiglia delle Asteraceae (sottofamiglia Asteroideae, tribù Astereae).
Etimologia

Il nome di questa sottotribù deriva dal suo genere più importante Baccharis L. la cui etimologia allude al dio greco/romano Bacco (o Baccharis) Questa etimologia comunque è incerta in quanto Linneo non ha spiegato la derivazione di questo nome che è stato pubblicato nel suo Species Plantarum nel 1753.
ll nome scientifico della sottotribù è stato definito per la prima volta dal botanico tedesco Christian Friedrich Lessing (Syców, 1809 – Krasnojarsk, 1862) nella pubblicazione “Linnaea; Ein Journal für die Botanik in ihrem ganzen Umfange. Berlino – 5: 145. 1830” nel 1830.
Descrizione

Le specie di questa sottotribù sono piante perenni e arbustive. Sono presenti anche alberi alti fino 6 metri. La riproduzione sessuale di queste piante è di tipo dioico (raramente è monoica). I fusti (delle specie a portamento erbaceo) sono di solito eretti e ascendenti (raramente sono prostrati). Le superfici delle piante in genere sono glabre.

Le foglie lungo il caule sono disposte in modo alternato (raramente sono opposte). Sono sia picciolate che sessili. La superficie è percorsa da 1 – 3 nervi. La lamina delle foglie può avere diverse forme: lineare, lanceolata, ovata, oblunga, obovata o romboidale; nella maggioranza delle specie la lamina è continua piccola e sottile (lesiniforme come in Heterothalamus); sono presenti anche lamine a forma pennata.

L’infiorescenza, formata da capolini, è del tipo corimboso (in qualche caso è panicolata o tirsoide). La struttura dei capolini è quella tipica delle Asteraceae: un peduncolo sorregge l’involucro a forma cilindrica, campanulata o emisferica composto da diverse squame (da 20 a 40) disposte su più serie (da 2 a 5) che fanno da protezione al ricettacolo nudo (senza pagliette avvolgenti i fiori – le pagliette sono invece presenti nel genere Heterothalamus) e piano nella parte terminale sul quale s’inseriscono i fiori tubulosi (da 20 a 150) (i fiori ligulati, altro tipo di fiori presenti in questa famiglia, sono assenti). Le brattee sono per lo più di tipo erbaceo. Diametro degli involucri: 3 – 9 mm.

I fiori sono tetra-ciclici (ossia sono presenti 4 verticilli: calice – corolla – androceo – gineceo) e pentameri (ogni verticillo ha in genere 5 elementi). I fiori sono ermafroditi e actinomorfa. I capolini femminili sono formati da fiori tubulosi, oppure da fiori con corte ligule; quelli centrali sono spesso funzionalmente maschili. Nei capolini maschili i fiori fertili sono assente oppure presenti su 1 – 2 serie.

Formula fiorale: per queste piante viene indicata la seguente formula fiorale:

* K 0/5, C (5), A (5), G (2), infero, achenio

Calice: i sepali del calice sono ridotti ad una coroncina di squame.

Corolla: il colore della corolla è giallo, bianco o rosato

Androceo: l’androceo è formato da 5 stami con dei filamenti liberi; le antere invece sono saldate fra di loro e formano un manicotto che circonda lo stilo.

Gineceo: il gineceo ha uno stilo in genere filiforme; mentre gli stigmi dello stilo sono due e divergenti. L’ovario è infero uniloculare formato da 2 carpelli. Le linee stigmatiche dello stilo sono marginali.

Il frutto è un achenio con pappo. L’achenio è piccolo e di colore marrone chiaro, la forma è cilindrica (o compressa) con alcune coste (o nervi) longitudinali (da 5 a 10).
Il pappo è peloso composto da 25 – 50 setole disposte su una (o raramente più serie).

Distribuzione e habitat

Le specie di questo gruppo sono distribuite nell’America Centrale e del Sud. L’habitat preferito sono i luoghi umidi non troppo freddi. Nella tabella sottostante sono indicate in dettaglio le distribuzioni relative ai vari generi della sottotribù.
Tassonomia

La famiglia di appartenenza di questo gruppo (Asteraceae o Compositae, nomen conservandum) è la più numerosa del mondo vegetale, comprende oltre 23000 specie distribuite su 1535 generi (22750 specie e 1530 generi secondo altre fonti). La sottofamiglia Asteroideae è una delle 12 sottofamiglie nella quale è stata suddivisa la famiglia Asteraceae, mentre Astereae è una delle 21 tribù della sottofamiglia. La tribù Astereae a sua volta è suddivisa in 18 sottotribù (Baccharidinae è una di queste).
Il numero cromosomico prevalente in questa sottotribù è: 2n = 18.

Composizione della sottotribù

La sottotribù comprende 4 generi e circa 364 specie.
Genere N. specie Distribuzione
Archibaccharis Heering, 1904 32 spp. Messico, America centrale e del sud
Baccharis L., 1753 circa 360 spp. Messico, America tropicale
Heterothalamus Less., 1830 2 spp. Brasile e Uruguay
Chiave analitica

Per meglio comprendere ed individuare i vari generi della sottotribù, l’elenco seguente utilizza in parte il sistema delle chiavi analitiche (vengono cioè indicate solamente quelle caratteristiche utili a distingue un genere dall’altro):

Gruppo 1A: i capolini femminili contengono pochi fiori centrali funzionalmente maschili;

Archibaccharis.

Gruppo 1B: i capolini femminili sono completamente privi di fiori maschili;

Baccharis: i fiori maschili e femminili si trovano in capolini totalmente separati; le piante sono completamente dioiche o raramente monoiche.
Heterothalamus: i capolini maschili contengono due serie esterne di fiori fertili; il ricettacolo dei fiori dei capolini femminili è provvisto di pagliette, il ricettacolo dei fiori dei capolini maschili è privo di pagliette.

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Bamboo = Bambù

Bambuseae Kunth ex Dumort., 1829 è una tribù di piante spermatofite monocotiledoni appartenente alla famiglia delle Poacee (ex Graminaceae) e sottofamiglia Bambusoideae.
Etimologia
Il nome della tribù deriva dal suo genere tipo Bambusa Schreb., 1789 la cui etimologia fa riferimento ad un nome vernacolare malese.

Il nome scientifico della tribù è stato definito dal botanico tedesco Karl Sigismund Kunth (Lipsia, 18 giugno 1788 – Berlino, 22 marzo 1850) e dal botanico, naturalista e politico belga Barthélemy Charles Joseph Dumortier (Tournai, 3 aprile 1797 – 9 giugno 1878) nella pubblicazione “Analyse des Familles de Plantes: avec l’indication des principaux genres qui s’y rattachent. Tournay” (Anal. Fam. Pl. 63. 1829) del 1829.
Descrizione

Il portamento delle specie di questa tribù è arbustivo o cespuglioso (in genere questi bambù sono mono-cespitosi). Queste piante sempreverdi in genere sono molto vigorose, possono essere alte da pochi centimetri fino a raggiungere notevoli dimensioni (anche 40 m di altezza e 30 cm di diametro).

Radici: le radici in genere sono del tipo fascicolato derivate da rizomi a collo corto (pachimorfi). Fa eccezione la sottotribù Chusqueinae in cui i rizomi sono amfimorfi (presumibilmente un carattere derivato). La loro tipologia di sviluppo è molto variabile; infatti sono presenti specie dove le radici si sviluppano considerevolmente in orizzontale o in verticale e si allontanano molto dal loro punto di origine ed altre invece che hanno uno sviluppo molto contenuto, con habitus cespitoso.
Culmi: i culmi sono legnosi, con portamento eretto o rampicante o pendente. Alla base sono simpodiali.
Nodi: i nodi non sono gonfi, a volte sono quasi solidi e leggermente prominenti.
Internodi: gli internodi sono affusolati, vuoti o solidi. I bambù, essendo piante Monocotiledoni, non hanno accrescimento secondario, e quindi completata la loro crescita non si allargano di diametro di anno in anno.
Ramificazione: per ogni nodo sono presenti molti rami (con 1 – 3 rami dominanti), o pochi rami a seconda della specie. I rami, in genere, sono derivati da una singola gemma.

Le foglie lungo il culmo sono disposte in modo alterno, sono distiche e si originano dai vari nodi. Sono composte da una guaina, una ligula e una lamina.

Foglie del culmo.

Guaine: le guaine (a volte coriacee, altre volte pelose e larghe) sono decidue o persistenti, con o senza padiglioni auricolari, e margini fimbriati (oppure no). In alcune specie le basi delle guaine sono rugose oppure sono ondulate vicino all’apice.
Ligule: le ligule in genere sono brevi, oppure (in alcune specie) vistose; in altre specie le ligule sono membranose e cigliate.
Lamine: le lamine delle foglie sono erette o riflesse (a volte sono erette alla base e riflesse in alto) con forme da lanceolate a lanceolato-lineari o triangolari o oblunghe; in alcune specie terminano in modo apicolato. In alcune specie sulla superficie della lama fogliare della cera è distribuita in modo diseguale, lasciando sul lato abassiale uno stretto settore marginale con cera nulla o ridotta. Il mesofillo (strato interno della foglia tra le due epidermidi) nelle regioni intercostali è formato da fibre sclerenchimatiche.
Venature: le venature sono parallelinervie con deboli venature trasversali (quelle trasversali a volte sono poco visibili o inesistenti). Le lamine normalmente non sono tessellate. Delle venature sono presenti anche nelle ligule. La venatura mediana (o centrale) è formata da un unico fascio vascolare.

Foglie del fogliame: le guaine sono provviste o prive di padiglioni auricolari e possono essere o no fimbriate. Inoltre le guaine delle foglie del fogliame possono essere vistosamente carenate. Nelle specie di questo gruppo le lamine del fogliame sono grandi, oppure sottili e coriacee. La superficie adassiale può (oppure no) contenere degli stomi. In alcune specie le foglie del fogliame possono essere assenti (in questo caso la funzione fotosintetica è trasferita alla guaina e al culmo). Possono essere presenti dei pseudo-piccioli scuri oppure possono essere provviste di una stretta striscia (senza cera) lungo il margine abassiale.

Infiorescenza principale (sinfiorescenza o semplicemente spiga): le infiorescenze sono per lo più ramificate ed hanno la forma di una grande pannocchia aperta. Le spighette, sessili o pedicellate, sono disposte in grappoli ai nodi e sottese da alcune brattee (ampi profilli doppiamente carenati oppure a singola carena). In alcune specie l’infiorescenza non è ramificata ed è sottesa da una brattea e un profillo (i profilli, particolari brattee a protezione dell’infiorescenza, hanno in genere delle forme triangolari). Sono presenti delle pseudospighette. In alcune specie le infiorescenze non sono ramificate e sono circondate da una spata.

Infiorescenza secondaria (o spighetta, o pseudospighetta): le spighette sono formate da alcuni fiori (fino a 28 più alcuni fiori ridotti) sottesi da due-quattro brattee chiamate glume (divise in inferiori e superiori). Le spighette possono terminare all’apice con un fiore sterile (a volte quello prossimale è sterile, mentre è fertile quello distale). Alla base di ogni fiore sono presenti due brattee: la palea e il lemma. La disarticolazione avviene nei nodi della rachilla sopra le glume (ma non in tutti i generi). Talvolta la rachilla presenta una estensione con 1 – 3 fiori rudimentali.

Glume: le glume sono 2 – 3 o 6 (altre volte possono essere assenti o ridotte); le forme possono essere da ovate a lanceolate o anche orbicolari; gli apici possono essere acuti oppure ottusi. Alcune glume possono essere ispide, altre persistenti. Possono avere fino a 20 e più venature longitudinali.
Lemma: i lemmi sono ampi con molte venature; all’apice possono avere un lungo mucrone. Le forme variano da ovate a lanceolate, sono scariosi (o a consistenza cartacea) e privi di ciglia e di ali. Possono avere fino a 40 venature longitudinali.
Palea: le palee sono doppiamente carenate con apici acuti o brevemente bifidi (all’apice sono dentate e possono avere due punte). In genere sono più corte dei lemmi e hanno una consistenza membranosa.

I fiori fertili sono attinomorfi formati da 3 verticilli: perianzio ridotto, androceo e gineceo.

Formula fiorale.
Per la famiglia di queste piante viene indicata la seguente formula fiorale:P 2, A (1-)3(-6), G (2–3) supero, cariosside.

Il perianzio è ridotto e formato da due o tre lodicule, delle squame, poco visibili (forse relitto di un verticillo di 3 sepali). Le lodicule hanno una consistenza membranosa. In alcuni generi le lodicule sono assenti.

L’androceo è composto da 6 stami (2-3 in Chusqueinae e altri gruppi; in Ochlandra – sottotribù Melocanninae – sono numerosi da 15 a 120) ognuno con un breve filamento. I filamenti sono liberi o fusi insieme. Le antere hanno due teche. Le antere, a volte apicolate, sono basifisse con deiscenza laterale. Il polline è monoporato.

Il gineceo è composto da 3-(2) carpelli connati formanti un ovario supero. L’ovario, glabro (eventualmente con apice pubescente) e portato su un gambo, ha un solo loculo con un solo ovulo subapicale (o quasi basale). L’ovulo è anfitropo e semianatropo e tenuinucellato o crassinucellato. Lo stilo, è unico (corto, o ridotto) con due-tre stigmi piumosi e pelosi.

I frutti sono del tipo cariosside, ossia sono dei piccoli chicchi indeiscenti, affusolati con apice peloso o sferici, nei quali il pericarpo è formato da una parete che circonda il singolo seme. In particolare il pericarpo, carnoso e succulento, è fuso al seme ed è aderente. L’endocarpo non è indurito e l’ilo è lungo e lineare. L’embrione è provvisto di epiblasto. I margini embrionali della foglia si sovrappongono. La fessura scutellare è assente.

Riproduzione

Impollinazione: in generale le erbe delle Poaceae sono impollinate in modo anemogamo. Gli stigmi piumosi sono una caratteristica importante per catturare meglio il polline aereo.
Riproduzione: la fecondazione avviene fondamentalmente tramite l’impollinazione dei fiori (vedi sopra).
Dispersione: i semi cadendo (dopo aver eventualmente percorso alcuni metri a causa del vento –dispersione anemocora) a terra sono dispersi soprattutto da insetti tipo formiche (disseminazione mirmecoria).

Distribuzione e habitat
La maggior parte delle specie di bambù sono originarie dell’Asia (dove raggiungono il limite settentrionale del loro areale a 50° N di latitudine) e dell’America (dove raggiungono i 47° S in Cile). Le si possono trovare ad altitudini variabili, sino ai 3000 m sull’Himalaya. Alcune specie sono spontanee in Africa (in particolare nell’Africa sub-sahariana e in Madagascar) e in Oceania. Non esistono specie spontanee in Europa.
Biologia

Le radici diventano legnose a causa della crescita di densi ammassi di sclerenchima che si formano sia esternamente che internamente attorno ai fasci vascolari della radice. L’altezza dei bambù è fortemente correlata alla pressione della radice, che fornisce la forza necessaria per riempire i vasi xilematici embolizzati lungo il culmo.

Lo sviluppo del culmo avviene in due fasi. Una prima fase non ramificata porta le foglie del culmo e il culmo stesso alla massima altezza di sviluppo (gli internodi si allungano indipendenti dalla fioritura). Nella seconda fase si ha lo sviluppo delle varie ramificazioni con le foglie del fogliame e successivamente la fioritura. Lo sviluppo dei rami è acropeto (o anche bidirezionale).

In questa tribù sono presenti delle pseudospighette con 2 o più fiori. Le pseudospighette si formano quando il tessuto meristematico del ramo cessa di produrre foglie normali e incomincia a produrre un insieme di brattee, alcune delle quali hanno dei boccioli germinali nelle loro ascelle che poi alla fine iniziano a produrre fiori.

La fioritura delle specie di questa tribù è per lo più ciclica e tardiva: le specie del genere Bambusa bambos (sottotribù Bambusinae) fioriscono dopo il trentaduesimo anno di età; le specie del genere Dendrocalamus al cinquantacinquesimo; altri bambù al sessantacinquesimo anno di vita. In alcuni casi la fioritura di una singola specie è sincronizzata a livello globale. Ad esempio una fioritura mondiale si è avuta nel 1932 da parte della specie Bambusa nigra Lodd. ex Lindl. (sinonimo di Phyllostachys nigra (Lodd. ex Lindl.) Munro ora descritta all’interno della tribù Arundinarieae).

Tassonomia
La famiglia di appartenenza di questa tribù (Poaceae) comprende circa 650 generi e 9.700 specie (secondo altri Autori 670 generi e 9.500[9]). Con una distribuzione cosmopolita è una delle famiglie più numerose e più importanti del gruppo delle monocotiledoni e di grande interesse economico: tre quarti delle terre coltivate del mondo produce cereali (più del 50% delle calorie umane proviene dalle graminacee). La famiglia è suddivisa in 11 sottofamiglie, il gruppo di questa voce è descritto all’interno della sottofamiglia Bambusoideae.
Coltivazione

Molti bambù sono popolari come piante da giardino. Nella coltivazione, necessitano di cure per contenere il loro comportamento invasivo. Si propagano principalmente attraverso le radici e/o rizomi, i quali possono propagarsi sotto terra e lanciare nuovi culmi che spuntano in superficie. Vi sono due modi per la propagazione dei bambù: monopodiali e simpodiali. Le specie di bambù monopodiali hanno una propagazione sotterranea lenta; nelle specie di bambù sinopodiali, invece, si riscontra un’alta variabilità; ciò è riferibile ad entrambe le specie in riferimento alle condizioni di suolo e di clima.

Alcune possono emettere ricacci per la lunghezza di svariati metri all’anno, mentre altre possono restare nella medesima area per lunghi periodi. Se trascurate, negli anni possono diventare invasive e causare problemi colonizzando aree adiacenti a villaggi, paesi o coltivazioni.

Una volta stabilitosi come cespo, è difficile rimuovere completamente il bambù senza estirpare l’intera rete di rizomi sotterranei. Se il bambù deve essere rimosso, un’alternativa allo scavo può essere il taglio raso delle canne e il taglio successivo e ripetuto dei nuovi getti appena escono dal terreno, fino a che il sistema radicale non esaurisca la sua riserva di energia e muoia. Se si permette alle foglie di compiere la fotosintesi, il bambù sopravviverà e continuerà a propagarsi.
Esistono due principali metodi per prevenire la propagazione dei nuovi getti di bambù nelle aree adiacenti l’impianto. Il primo sistema è la bordatura o rimozione di ogni rizoma che sfugga ai confini dell’area destinata alla sua coltivazione. Gli attrezzi normalmente utilizzati sono uncini, vanghe e zappe. I rizomi si trovano generalmente in prossimità della superficie (sotto uno strato sottile di terreno), così che se la potatura dei rizomi viene eseguita due volte l’anno, interesserà la maggior parte, se non tutti, i nuovi ricacci. Alcune varietà possono avere percorsi più profondi (oltre la tipica profondità della vanga). Queste sono più difficili da controllare, e necessiteranno di tagli più profondi. Una manutenzione frequente rivelerà le principali direttrici di crescita e la disposizione del sistema radicale. Una volta tagliati, i rizomi devono essere rimossi. L’emergenza di un getto di bambù all’esterno dell’area dopo la bordatura, indica la precisa posizione di un rizoma non localizzato in precedenza. Le radici fibrose che si irradiano dal rizoma non generano ulteriori getti, quindi possono essere lasciate nel terreno.

Il secondo metodo implica il contenimento con una barriera fisica. Il cemento e il polietilene ad alta densità in speciali rotoli sono i materiali più comuni. Questi vengono piazzati in un fossato profondo 60–90 cm (2-3 piedi) attorno all’impianto, con un angolo aperto verso l’alto in modo da direzionare la crescita dei rizomi verso la superficie del terreno. I rizomi più forti e gli attrezzi possono forare le barriere in plastica piuttosto facilmente, quindi occorre lavorare con particolare attenzione. Il bambù cresciuto all’interno di tali barriere è molto più difficile da espiantare rispetto agli impianti cresciuti in libertà. Le barriere e la bordatura non sono necessari per bambù cresciuti a macchia. Le macchie di bambù possono essere eradicate se si espandono eccessivamente.

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Berberis

Berberis è un genere di piante della famiglia delle Berberidaceae.
Descrizione

Il genere comprende specie arbustive e latifoglie, caducifoglie oppure sempreverdi. Possiedono fiori appariscenti, foglie pennate, a volte anche delle spine. I fiori si presentano in grappoli ascellari, mentre il frutto è una bacca.

Alcune specie contengono berberina.

Tassonomia
Conta 213 specie
Giardinaggio

Le berberis sono piante abbastanza facile da coltivare: le varietà sempreverdi sono ricercate per le foglie lucenti, mentre quelle caducifoglie per i loro colori e le bacche.

Esse vanno tenute esposte al sole, poiché le varietà aventi foglie color porpora acquistano un colore più intenso se esposte al sole, mentre le varietà a foglie verdi diventano più scure se lasciate in penombra.

Questo tipo di piante ha bisogno di essere innaffiata due volte alla settimana, durante tutto l’anno.

Le piante si innaffiano in base a perdite ed apporti idrici, quindi in base a superficie del fogliame, tipologia del terriccio, quantità di precipitazioni, temperatura, soleggiamento e grado di umidità, per cui si innaffia all’occorrenza, personalizzata per tipologia di vegetale e condizioni al contorno.

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Buddleja (Albero delle farfalle)

Buddleja L., 1753 è un genere di arbusti e alberi sempreverdi o caducifoglie appartenenti alla famiglia delle Buddlejaceae (Scrophulariaceae secondo la classificazione APG II) notevoli per le infiorescenze i cui fiori si raccolgono in lunghe pannocchie.
Sistematica

Il genere Buddleja è costituito da circa un centinaio di specie sia sempreverdi che spoglianti (alcune sono alberi anche di 30 metri) originarie in prevalenza dell’Asia orientale, ma anche del sud Africa e dell’America.

La sistemazione del genere nell’ambito della famiglia, ma anche dell’ordine, non è pienamente concorde nei vari autori di classificazioni tassonomiche botaniche. Questo probabilmente per le caratteristiche filogenetiche peculiari del genere che ne rendono difficile (e opinabile) la sua classificazione.

Inizialmente il genere Buddleja venne assegnato alla famiglia delle Buddlejaceae nell’ordine delle Contortae (vedi classificazioni di Wettsein – 1911 oppure Engler – 1915). Alcuni autori però elevando a valore di specie diverse varietà preferirono declassare la famiglia a genere (genere Buddleia, quindi) e inserire il nuovo genere nella famiglia delle Loganiaceae sempre nell’ordine delle Contortae. A seguito della ristrutturazione dell’ordine delle Contortae (che venne soppresso), la famiglia Buddlejaceae passò nell’ordine delle Lamiales. Con il Sistema Cronquist si cambiò nuovamente l’ordine: famiglia Buddlejaceae – ordine Scrophulariales. Con l’ultima classificazione APG si cambia ulteriormente: famiglia Scrophulariaceae – ordine Lamiales. È quindi facile riscontrare una diversa posizione di appartenenza del genere alle famiglie a seconda delle classificazioni.

Nell’ambito del genere Buddleja le varie specie si usano dividere in sezioni e sottosezioni secondo la dimensione della corolla, il tipo d’infiorescenza e il colore dei fiori.

specie con fiori a corolla grande – lunghezza del tubo 3 o più cm: (Buddleja colvilei);
specie con fiori a corolla piccola:
infiorescenza a pannocchia:
colore del fiore violetto o lilla (Buddleja japonica – Buddleja lindleyana);
colore del fiore bianco (Buddleja asiatica);
colore del fiore giallo (Buddleja madagascariensis);
infiorescenza in capolini globulari (Buddleja globosa);

I giardinieri a queste distinzioni trovano comodo aggiungerne altre: “specie rustiche” o “specie non rustiche”, oppure da “serra fredda” o “serra temperata”, oppure ancora a “foglie caduche” o “foglie persistenti”.

Un’altra particolarità è data dalle piante dell’America che sono dioiche (piante che presentano fiori di un solo sesso); mentre quelle Asiatiche sono monoiche (piante che portano fiori di entrambi i sessi).
Etimologia

Il nome del genere Buddleja deriva dal pastore inglese Adam Buddle (1662 – 1715), medico e botanico per passione nonché rettore nell’Essex. Il primo ad usare tale nome fu il dottor William Houston (1695 – 1733), medico e botanico scozzese, ma si è consolidato dopo che il naturalista svedese Linneo (1707 – 1778) lo usò (anche se storpiato) nei suoi cataloghi.
Morfologia del genere

La forma tipica di questo genere è quella di un arbusto o di un piccolo albero.
Radici

La dimensione e la forma delle radici dipendono dall’altezza della pianta.
Fusto

Il fusto può essere tomentoso (di tipo stellato, lanoso o anche glanduloso) e di sezione quadrangolare. L’altezza può andare da pochi metri a qualche decina di metri (alberi alti fino a 30 metri); normalmente la maggioranza delle specie sono sotto i 5 metri di altezza.
Foglie

Le foglie a seconda della specie possono essere caduche o persistenti. Generalmente a disposizione opposta (raramente alterna). Sono brevemente picciolate e il più delle volte sono presenti delle stipole. I margini laminari sono interi o lievemente seghettati.
Infiorescenza

I fiori sono raccolti in infiorescenze di tipo cimoso, globoso o corimboso, ma anche pannocchie, spighe o capolini. Producono un odore persistente e mieloso.
Fiori

I fiori sono tetrameri, ermafroditi e attinomorfi; il calice e la corolla sono concresciuti; in genere sono ricchi di nettare e spesso sono fortemente profumati.

Calice: il calice (tubuloso) finisce sempre con 4 denti.
Corolla: la corolla è tubulosa – campanulata e generalmente allungata. Termina con 4 lobi patenti.
Androceo: gli stami sono 4 con antere sessili (o subsessili) e sono inserite all’interno della corolla e quindi non sporgenti.
Gineceo: i carpelli sono 2 formanti un ovario supero.

Frutti
Il frutto è una capsula biloculare e può contenere diversi semi minuti (in qualche specie anche diversi milioni). In alcune specie (classificate da qualche autore nel genere separato Nicodemia) la capsula è molle e carnosa dalla forma di una bacca.
Distribuzione e habitat

L’area nella quale vivono le specie del genere Buddleja allo stato spontaneo è molto ampia: dall’Estremo Oriente all’America del Sud. In quest’ultima regione è diffusa la Buddleja globosa (originaria del Cile) una delle prime ad essere importata nei giardini europei. Dall’Asia invece provengono diverse specie native dell’Himalaya e del Giappone (oltre che dalla Cina). Si sono trovate specie anche nel Madagascar.

In Europa tutte le specie del genere Buddleja sono alloctone, ma si sono naturalizzate con grande facilità e sono considerate altamente invasive e da tenere sotto controllo dall’Unione internazionale per la conservazione della natura.
Usi
Giardinaggio

L’utilizzo principale delle specie di questo genere è nel giardinaggio per la formazione di gruppi arbustivi sui prati, contro i muri, o nei boschetti. L’introduzione delle prime specie, nel giardinaggio europeo, risale alla fine del Settecento. In genere nei giardini le “buddleje” sono disposte in modo sparso in quanto la forma (più arborea che arbustiva) si presta meglio ad una disposizione isolata.

Sono piante poco esigenti, gradiscono posizioni calde e soleggiate, al riparo dai venti gelidi in terreno sciolto e permeabile e richiedono un’energica potatura primaverile prima della ripresa vegetativa per mantenere una forma compatta alla chioma e per ottenere un’abbondante fioritura.
Si moltiplicano per talea erbacea durante l’estate, o con la semina.
L’unica attenzione è che non possono sopravvivere agli inverni duri dei climi continentali nordici, in quanto non resistono a temperature sotto i −15 °C, −20 °C.

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Buxus (Bosso)

Buxus sempervirens L., noto volgarmente col nome di bosso comune, mortella o bossolo, è una pianta della famiglia delle Buxaceae, spontanea in Italia in zone aride, rocciose, prevalentemente calcaree.
Descrizione
Portamento
arbusto sempreverde eretto e cespuglioso di altezza variabile tra i 2 e 4 m, longevo, dall’odore caratteristico, ha robuste radici ancoranti, fusto ingrossato alla base, tortuoso e ramificato, chioma folta.
Corteccia
la corteccia dapprima liscia e verdognola, nel tempo assume una colorazione grigio-biancastra, ha proprietà medicinali.
Foglie
foglioline opposte persistenti, sessili o brevemente picciolate, di colore verde cupo lucente superiormente, più chiara inferiormente, di forma ovoidale, oblunga o arrotondata, con il margine liscio ad eccezione dell’apice.
Fiori
unisessuali, piccoli, riuniti in glomeruli ascellari, il fiore centrale è generalmente femminile, quelli periferici maschili; sono fiori rudimentali senza una corolla vera e propria, il calice è formato da 4 lacinie, che nei fiori maschili circondano gli stami, e in quelli femminili l’unico pistillo con ovario supero, ovoidale e sormontato da 3 grossi stimmi. I fiori maschili e femminili del glomerulo sono inseriti direttamente su una formazione glandulosa, che è un nettario a forma piramidale, la pianta fiorisce generalmente da marzo fino a maggio.
Frutti
dopo la fecondazione l’ovario si trasforma in una capsula coriacea sormontata da 3 rostri, derivati dagli stili del pistillo, che permangono anche nel frutto, che ha una caratteristica forma di deiscenza per il lancio a distanza dei semi bislunghi, brunastri, lucidi e ricchi di albume.
Distribuzione e habitat

Ha un areale che va dall’Europa all’Asia occidentale fino all’Africa settentrionale.[senza fonte]

Predilige zone aride, rocciose, prevalentemente calcaree, fino ad altitudini elevate.
Varietà

Tra le altre si citano la B. sempervirens var. suffruticola (= B. pumilia) a portamento nano e compatto per piccole siepi e bordure nei giardini o nei parchi; la var. arborescens coltivata a forma di alberetto, anche in vaso per decorare gli appartamenti, e la var. aureo variegata con foglie di colore giallo.
Usi

Vengono coltivate come piante ornamentali e in fogge fantasiose ottenute con l’arte topiaria nei giardini all’italiana.
In silvicoltura viene impiegato, grazie al robusto apparato radicale, per il consolidamento di terreni instabili, sassosi e aridi.
Il legno che se ne ricava è duro e compatto, di colore giallo e molto pregiato; è impiegato per la costruzione di strumenti musicali a fiato, per le sculture lignee, per ebanisteria, intarsio e per il modellismo navale.

Avvertenza
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.

Come pianta medicinale, vengono utilizzate le foglie e la corteccia, per il contenuto in alcaloidi vari (ad es. la bussina) e di altre sostanze lassative; tenere presente che è una pianta potenzialmente velenosa.
Le foglie, raccolte in qualunque stagione dell’anno ed essiccate all’ombra, hanno proprietà sudorifere, colagoghe, purgative e antireumatiche, viene usata la polvere per preparare infusi
La corteccia, raccolta in autunno-inverno o anche in primavera e privata del sughero esterno, è emetica, sudorifera e febbrifuga, viene somministrata come vino medicato o come decotto dolcificato con zucchero o miele.

Metodi di coltivazione
Necessita di buona esposizione al sole, terreno sciolto ben drenato e calcareo, si può moltiplicare con la semina; le varietà vengono moltiplicate per mezzo di talee o con la divisione dei giovani cespi, la potatura è necessaria per mantenere una forma compatta o obbligata; e nella varietà aureo variegata risulta indispensabile per eliminare alla comparsa i rami a foglie verdi.
Avversità
Emitteri:
Bianca rossa – l’attacco in numerose colonie di Chrysomphalus dictyospermi sulle pagine inferiori delle foglie, ne provocano il disseccamento e la caduta
Cocciniglia bianca – le femmine a forma di scudetti di Aspidiotus hederae invadono la pagina superiore delle foglie, i rami e a volte anche le radici, causando il deperimento e perfino la morte della pianta; l’insetto si riconosce per lo scudetto quasi circolare di circa 2 mm di diametro inizialmente di colore biancastro, nel tempo a maturità avvenuta diventa giallo-brunastro o grigio-brunastro
Cocciniglia rossa forte – gli adulti di Aonidella aurantii attaccano i rami e il tronco; le femmine si riconoscono per i dischetti circolari di 2 mm di diametro di colore giallo-terreo trasparente; i maschi per la forma allungata ovale
Cocciniglia a virgola – gli adulti di Mytilococcus ulmi infestano le parti epigee, in special modo i giovani rametti, ricoprendoli con gli scudetti a forma di virgola lunghi 3-4 mm di colore grigio-brunastro
Psilla – le larve di Psylla buxi attaccano le giovani foglie, nascondendosi sotto batuffoli di filamenti cerosi biancastri, provocandone l’accartocciamento
Ditteri:
Cecidomia – le minute larve giallastre o verde-giallino di Monarthropalpus buxi, causano sulle foglie delle piccole vesciche, in un primo tempo a superficie liscia e giallastra, poi corrugate per il sollevamento dell’epidermide fogliare; le larve nutrendosi dei tessuti del mesofilo scavano mine a forma circolare isolate
Lepidotteri:
Piralide del bosso – le larve di Cydalima perspectalis si nutrono delle foglie e dei getti delle specie del genere Buxus. Gli adulti sono quelli che maggiormente danneggiano la pianta, nutrendosi dell’intera foglia in maniera massiva. La defoliazione causa la morte della pianta.
Funghi:
Marciume radicale – l’attacco di Rosellinia buxi, favorito dal ristagno idrico, alle parti basali della pianta provoca la comparsa di vegetazioni fungine bianche, fioccose, con produzione di filamenti rizomorfici di colore scuro, può causare anche la morte della pianta
Ruggine – le foglie colpite da Puccinia buxi presentano piccole pustole tondeggianti, rilevate, di colore rosso-brunastre contenente materiale polverulento.

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Callicarpa

La callicarpa è un bell’arbusto gradevole in ogni periodo dell’anno: impreziosisce il nostro giardino con le sue foglie e i suoi fiori, dalla primavera all’autunno, ma ci riserva una sorpresa regalandoci bellissime bacche viola, simili a caramelline, che persistono per buona parte dell’inverno, visto che non son particolarmente appetite dagli uccelli. La sua coltivazione è estremamente semplice e la pianta è in generale molto tollerante: si adatta benissimo, quindi ai giardini a bassa manutenzione

Sotto il nome di Callicarpa si riuniscono numerosi arbusti caduchi o sempreverdi originari dell’Asia e dell’America settentrionale.

La corteccia della Callicarpa bodinieri è liscia, marrone, i rami si sviluppano verso l’alto e la pianta solitamente si mantiene al di sotto dei due metri; le foglie di questo tipo di arbusti sono ovali, opposte, verde brillante sopra, una tonalità più chiara, tendente al crema, sotto.

In primavera inoltrata la Callicarpa bodinieri produce numerosi fiorellini bianchi, rosa o rossi, a seconda della specie; in autunno alle ascelle dei rami crescono ciuffetti costituiti da numerosi frutti tondeggianti di un vistoso colore lilla-violetto, che rimangono sulla pianta per alcuni mesi, rendendola molto decorativa.

Callicarpa americana ha fiori rosa e frutti di diametro di circa 2-3 cm.

Callicarpa bodinieri ha frutti più piccoli, fiori rosa.

Callicarpa japonica ha frutti piccoli, fiori rosa e foglie che in autunno si colorano di rosa-porpora variegato.

Per una fioritura più abbondante e per mantenere la vegetazione compatta si consiglia di potare la pianta a fine inverno.

Le callicarpa solitamente tendono a non autoimpollinarsi abbondantemente, quindi per avere molti più frutti in inverno si consiglia di porre a dimora alcuni esemplari vicini.
Questi arbusti amano le posizioni soleggiate o a mezz’ombra; possono essere piantati anche in zone d’ombra, ma, ponendoli a dimora all’ombra completa, si penalizzerà moltissimo la fioritura che risulterà essere di minore intensitào , nei casi più gravi, quasi assente.

Gli esemplari adulti non temono il freddo e resistono bene anche a temperature di -15 gradi, mentre le giovani piantine non ancora sviluppate completamente, vanno protette per il primo inverno dopo la messa a dimora così da permettere loro di acquistare maggiore forza e vigore. Evitare di esporre le callicarpa a forti venti che possono pregiudicarne la salute.

Questo arbusto cresce bene in posizioni calde e ben soleggiate, ma tollera anche una leggera ombra. Nella scelta della collocazione teniamo soprattutto presente il nostro clima invernale: se viviamo al Nord prediligiamo aree riparate dal freddo e dalle correnti (magari nei pressi di un muro esposto a Sud) e che siano raggiunte dalla luce per buona parte della giornata e soprattutto di prima mattina. In questa maniera saremo sicuri di non incorrere in disseccamenti a causa di gelate.

In ogni caso, se possibile, inseriamo la callicarpa nei pressi della nostra abitazione, facendo in modo di poterla ammirare dalle finestre: in inverno donerà un tocco di vivacità al nostro giardino e sarà gradevole ammirarla in ogni momento della giornata.
Caratteristiche della Callicarpa

Come abbiamo detto la coltivazione della callicarpa non è difficile, visto che si adatta a terreni diversi ed è sufficientemente rustica da poter essere coltivata in quasi tutta Italia.

La callicarpa bodinieri è originaria dell’Estremo Oriente e appartiene alla famiglia delle Verbenaceae. Il suo genere è molto ricco visto che comprende circa 140 specie tra arbusti ed alberelli, alti da 3 fino a più di 10 metri. I rami hanno un aspetto tomentoso e alle volte sono ricoperti da piccole ghiandole. In estate produce un’abbondante fioritura dall’ascella fogliare. Le corolle, a gruppi molto folti, sono piccole nei colori bianco, rosso o porpora, ma raramente costituiscono la principale attrattiva. Particolarmente attraenti sono invece le foglie, specialmente all’arrivo dell’autunno: si tingono infatti di tonalità calde, nel rosa, nel porpora e nel giallo. La vera attrattiva è però rappresentata dai frutti, maturi a partire da ottobre, di un bel violetto lucido, molto abbondanti, raccolti intorno all’ascella fogliare.

Questo tipo di arbusto non necessita di grandi annaffitaure, sopportando senza problemi brevi periodi di siccità; annaffiare saltuariamente nei periodi più caldi e asciutti dell’anno. Le specie sempreverdi vanno annaffiate sporadicamente anche in inverno.

La callicarpa è molto tollerante nei confronti della siccità, ma cresce più vigorosamente se le radici sono in un ambiente leggermente fresco. In estate, specialmente i primi anni, irrighiamo abbondantemente una volta alla settimana e ripetiamo quando il terreno risulta asciutto per i primi 5 cm. Per proteggere le radici e ridurre gli interventi possiamo predisporre una spessa pacciamatura a base di sfasci vegetali.

Parassiti e malattie
Questo arbusto è fortunatamente molto resistente alle malattie e viene attaccato di rado da parassiti. Evitiamo solamente di irrigare eccessivamente, specialmente in primavera e autunno.

Generalmente non viene colpita né da parassiti né da malattie. Nel caso si riscontrasse la presenza di parassiti che abbiano colpito la pianta è bene intervenire rapidamente con l’utilizzo di prodotti insetticidi specifici che aiuteranno a risolvere il problema in breve tempo.

La callicarpa si coltiva quasi esclusivamente in piena terra: mal sopporta la vita in contenitori, per quanto grandi. Possiamo usarla come esemplare isolato, creare dei gruppi, inserirla nelle bordure miste. L’ideale è però dare vita ad una bella siepe in purezza o alternandola con altre essenze da bacca quali il sorbo o il cotoneaster.

 

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Calycanthus

Calycanthus L., 1759 è un genere di piante della famiglia Calycanthaceae.
Descrizione

Le piante del genere Calycanthus sono arbusti a foglia caduca, alti 1-4 metri.

Le foglie, di colore verde brillante, sono opposte, con margine intero, lunghe 5-15 centimetri e larghe 2-6 centimetri.

La corteccia ha un forte odore di canfora che viene rilasciato quando i fusti vengono raschiati. L’odore rimane intenso sui rami che sono stati conservati per alcuni anni in ambiente asciutto.
Il fiore

I fiori, fortemente profumati, sono prodotti dalla tarda primavera fino all’inizio dell’autunno per Calycanthus occidentalis, e da aprile a luglio per Calycanthus floridus. Sono larghi 4-7 centimetri, con numerosi tepali di colore rosso Bordeaux. A forma di loto, possono assomigliare ad un piccolo fiore di magnolia. Essi sono impollinati dai coleotteri della famiglia Nitidulidae.

Il frutto è una capsula secca, ellittica, lunga 5–7 cm, contenente numerosi semi.
Tassonomia

Il genere comprende le seguenti specie:[1]

Calycanthus brockianus Ferry & Ferry f.
Calycanthus chinensis (W.C. Cheng & S.Y. Chang) P.T.Li – originario della Cina orientale, con fiori bianchi
Calycanthus floridus L. – specie originaria degli Stati Uniti parte orientali, da New York e Missouri, sud attraverso i Monti Appalachi, e Mississippi Valley, in Louisiana, e da est a nord della Florida.
Calycanthus occidentalis Hook. & Arn. – originaria gli habitat umidi-palustri della California al di sotto dei 1.500 metri, compreso nella costa della California, San Joaquin Valley, e la Sierra Nevada.

Usi
Pianta medicinale

Le specie di Calycanthus sono state utilizzate come pianta medicinali tradizionali dai nativi americani. I popoli indigeni della California utilizzarono il Calycanthus occidentalis anche per produrre cesti e per bacchette delle frecce.
Pianta ornamentale

Sono coltivate come piante ornamentali da vivai, negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Olio essenziale
L’olio di Calycanthus, distillato dai fiori, è un olio essenziale utilizzato in alcuni profumi di qualità. I fiori di Calycanthus occidentalis hanno un profumo dolce e speziato. I fiori di Calycanthus floridus sono stati confrontati con l’aroma della gomma da masticare.

 

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Caragana

Caragana Fabr. è un genere di piante della famiglia delle Fabacee o Leguminose che comprende 90 specie.
Descrizione

Sono piante alte da sei a otto metri.
Distribuzione e habitat
Le specie di questo genere sono originarie dei territori compresi fra la Russia orientale, la Siberia, la Mongolia, la Manciuria e, prevalentemente, nella Cina centrale (monti Altai, steppa dei Kirghizi)
Tassonomia

Il genere comprende oltre quaranta specie:

Usi

C. arborescens, della flora siberiana, a piccoli legumi allungati e glabri, C. microphylla, C. aurantiaca, della flora della Manciuria e degli Altai, C. spinosa, siberiana e C. pygmaea dell’Asia centrale, sono le specie maggiormente diffuse che possono avere utilizzi antropici. Le loro foglie sono cibo eccellente per gli animali e specialmente per gli ovini, i loro semi sono mangiabili dagli uomini, la corteccia può essere usata per fare cordami e le sue radici, piene di zuccheri, sono particolarmente apprezzate dai maiali. In ambienti particolarmente severi dove queste piante si trovano, esse assumono quindi un importante ruolo di fonte di cibo sia per gli erbivori, domestici o selvatici, sia per l’uomo.

 

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Caryopteris

Il Caryopteris clandonensis è un piccolo arbusto a foglie caduche originario dell’Asia centrale. Ha portamento eretto, generalmente tondeggiante, e raggiunge il metro di altezza; le foglie sono piccole, ovali o lanceolate, di colore grigio-verde, leggermente pubescenti sulla pagina inferiore, sprigionano un aroma delicato se sfregate con le mani. Dalla seconda metà di agosto fino ai freddi autunnali produce numerose infiorescenze apicali ed ascellari costituite da piccoli fiori di colore blu-lavanda. Nei luoghi con temperature invernali molto rigide la pianta tende a seccare la parte aerea in tardo autunno. Esistono numerosi ibridi, a fiori bianchi o con foglie dorate o variegate di bianco. Si consiglia di staccare i fiori appassiti per favorire una fioritura più prolungata.
Esposizione
Il Caryopteris clandonensis andrebbe posto dimora in luogo molto soleggiato, o all’ombra parziale; in generale non teme il freddo, anche se è sempre consigliabile pacciamare la base della pianta in autunno. E’ possibile eseguire l’operazione durante tutto l’anno senza alcun rischio per l’arbusto.

Tollera bene il freddo, nella fase di riposo invernale, anche fino a -10°C -15°C, poi è meglio utilizzare una protezione. Non ha problemi a resistere al caldo intenso e ai venti salmastri.

Poiché i fiori sbocciano sui rami nuovi spesso si tende a tagliare fino al terreno la pianta in autunno o all’inizio della primavera, per favorire lo sviluppo di rami vigorosi.
Annaffiature
Questo genere di piante sopportano senza problemi brevi periodi di siccità.

Nel periodo vegetativo, da marzo a novembre, è utile e consigliato annaffiare sporadicamente, aumentando la frequenza delle annaffiature nei periodi siccitosi; in primavera spargere alla base della pianta del concime granulare a lenta cessione per piante da fiore.

Naturalmente per le piante coltivate in vaso sarà necessario aumentare la frequenza delle annaffiature per consentire il corretto sviluppo della pianta in quanto le esigenze che presentano sono diverse, non potendo contare sull’umidità naturale presente in piena terra.
Terreno
Questi piccoli arbusti ornamentali prediligono terreni sciolti e molto ben drenati e vengono spesso utilizzati nei giardini rocciosi, dove le rocce forniscono anche un riparo dal calore estivo e dalle piogge invernali. Riescono ad adattarsi anche a terreni diversi, naturalmente lo sviluppo sarà minore.

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Ceanothus

Il genere Ceanothus “Fiori color cielo” comprende una cinquantina di specie di arbusti originari dell’america settentrionale e centrale; il genere è abbastanza vario, e gli arbusti sono di dimensioni molto diverse a seconda della specie: a partire dai 35-45 cm di altezza di Ceanothus tyrsiflorus, un piccolo arbusto tappezzante, fino ai 465 metri di altezza di Ceanothus arboreus, un vero e proprio albero. Alcune specie sono sempreverdi, altre a foglie caduche; in genere le specie a foglia caduca sono più resistenti al freddo.

In generale comunque tutti i ceanoti hanno foglie ovali, di colore verde scuro, lucide sulla pagina superiore, ed attraversate da profonde venature; in primavera o in estate producono innumerevoli fiorellini profumati, riuniti in enormi racemi, allungati o a palla. La caratteristica peculiare del ceanoto sta sicuramente nel colore dei fiori, un azzurro cielo profondo ed intenso.

La fioritura del ceanoto l’ha reso un arbusto da giardino molto popolare anche in Europa, e nel corso degli anni se ne sono prodotte diverse varietà e cultivar, con fiori bianchi, azzurrini ed anche blu intenso, più o meno profumati, talvolta inodori.

In vivaio in Italia è molto facile trovare le varietà tappezzanti, di dimensioni contenute, a fioritura primaverile; più raramente, spesso solo nei vivai più forniti, si trovano anche varietà a fioritura estiva, di dimensioni medie, dai 50 ai 120 cm di altezza.

Questi arbusti provengono da una ampia serie di zone, ed hanno quindi esigenze colturali varie; in realtà però in vivaio possiamo trovare con facilità solo specie e varietà dalle esigenze similari, adatte al nostro giardino.

Si pongono a dimora in un buon terreno, moderatamente ricco, ben lavorato ed arricchito con stallatico o concime granulare a lenta cessione; temono i ristagni idrici, è quindi assolutamente d’obbligo alleggerire il terreno con sabbia o altro materiale che lo renda ben permeabile. Possono sopportare la siccità, anche se è consigliabile annaffiare regolarmente, quando il terreno è ben asciutto.

Scegliamo per il nostro ceanoto un luogo abbastanza luminoso e soleggiato, possibilmente evitiamo di porlo in una zona del giardino o del terrazzo eccessivamente ventosa, o esposta a nord: prediligiamo le zone ben calde e abbastanza riparate dalle intemperie.

Le specie reperibili in Italia in genere non temono eccessivamente il freddo, in ogni caso in autunno pacciamiamo il terreno attorno alle radici con paglia o foglie secche, in modo che le gelate più intense non raggiungano l’apparato radicale in profondità; nel caso in cui il gelo dovesse rovinare i rami più esterni, a fine inverno potiamo la pianta, asportando soltanto i rami rovinati; generalmente lo sviluppo del ceanoto è ben compatto e denso, e la crescita abbastanza lenta, quindi non necessita di potature.

I ceanoti sono diffusissimi in America, dove vengono chiamati Lillà della California; in alcune zone boschive se ne trovano tantissimi, e la produzione di sementi, viste le grandi infiorescenze, è massiccia.

I semi prodotti dal ceanoto sono in genere fertili, ma la natura ha evitato che germinino tutti assieme, visto che un numero così grande di semi produrrebbe una tale quantità di plantule, che rapidamente morirebbero per mancanza di spazio.

I semi di ceanoto sono ricoperti da una scorza impenetrabile, e si dice possano restare fertili per centinaia di anni; questi semi possono germinare solo dopo essere rimasti a terra per anni, alla mercé delle intemperie, oppure dopo che la pianta da cui sono stati prodotti sia stata distrutta dal fuoco; dopo un incendio i semi germogliano con rapidità, riportando la vegetazione là dove il disastro l’ha distrutta.

Se quindi vogliamo seminare i piccoli semi prodotti dal nostro ceanoto, ricordiamo che non è possibile farli germinare semplicemente ponendoli in terra ed annaffiandoli, come avviene spesso per molti altri semi.

Prima di seminarli dovremo porli in acqua tiepida per 12-24 ore, quindi porli in frigorifero per 1-2 mesi, a circa 3-4°C, e solo allora potremo seminarli, considerando che molti di essi non germineranno.

Molte altre piante hanno sviluppato questo metodo per preservare i semi; in natura i semi semplicemente cadono vicino alla pianta che ne ha prodotto i frutti, se dovessero germogliare tutti, nessuno avrebbe sufficiente spazio per svilupparsi, neppure la pianta made.

Quindi questi semi germinano solo quando attorno a loro si è fatto dello spazio, come nel caso di un incendio; oppure solo dopo essere stati digeriti ed evacuati da un piccolo animale, che possibilmente li ha anche trasportati sufficientemente lontani da dove la pianta madre li aveva deposti.

Sembra un comportamento esotico, ma si comportano così anche i semi di molte specie di piante ad alto fusto, come molte conifere o aceri.

 

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Ceratostigma

Ceratostigma Bunge, 1833 è un genere di piante appartenente alla famiglia Plumbaginaceae, native delle regioni temperate e tropicali di Asia e Africa.
Morfologia

Sono piante erbacee, suffruticose o arbustive alte da 0,3 a 1 m.
Foglie

Le foglie hanno una disposizione spirale, sono semplici e lunghe fino a 9 cm. I margini generalmente sono pelosi. Alcune specie sono sempreverdi, altre sono decidue.
Fiori

I fiori sono portati da infiorescenze compatte ed ognuno di essi ha una corolla pentalobata. Il colore varia dal blu-scuro al rosso-porpora.
Frutti
I frutti sono costituiti da una piccola capsula che porta un solo seme.
Distribuzione e habitat

Sono diffuse nelle zone temperate e tropicali di Asia e Africa.
Tassonomia

Al genere Ceratostigma appartengono 8 specie:

Ceratostigma abyssinicum (Hochst.) Asch.
Ceratostigma asperrimum Stapf ex Prain
Ceratostigma griffithii C.B.Clarke
Ceratostigma minus Stapf ex Prain
Ceratostigma plumbaginoides Bunge
Ceratostigma stapfianum Hosseus
Ceratostigma ulicinum Prain
Ceratostigma willmottianum Stapf

Usi
Ceratostigma plumbaginoides è coltivata come pianta ornamentale nei giardini per i suoi fiori blu e per le foglie autunnali rosso brillante.

 

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Cercis

Cercis L., 1758 è un genere di piante della famiglia delle Fabacee (o Leguminose), che comprende piccoli alberi spontanei nelle regioni temperato-calde di tutti i continenti dell’emisfero boreale: Nordamerica, Europa e Asia. In Italia il genere è rappresentato dalla specie Cercis siliquastrum, l'”albero di Giuda”, spontaneo nella regione mediterranea e anche estesamente piantato per ornamento.
Descrizione
Il genere Cercis comprende piccoli alberi o arbusti, con caratteristiche foglie tondeggianti o cuoriformi. Le foglie sono sempre caduche.
Piccolo albero o arbusto deciduo,originario dell’Asia Minore, con vistosi fiori rosa-violacei che sbocciano, prima della nascita delle foglie, sui rami più vecchi (spesso i fiori spuntano anche dal tronco) a metà primavera, nei mesi di aprile/maggio, a seconda della quota e dell’esposizione. Presenta delle foglie tonde, cuoriformi o reniformi, verde chiaro, molto ornamentali; ai fiori succedono dei baccelli di semi (legumi), molto numerosi, appiattiti e pendenti, che rimangono sulla pianta fino alla primavera successiva.
Il tronco è spesso tortuoso e di colore scuro, con screpolature brune, i rami presentano una la corteccia rossastra.
Deriva il nome comune dalla tradizione che vuole che Giuda si sia impiccato proprio ad un Cercis; il nome botanico deriva dal greco cercis, che significa ago o spola, in riferimento alla forma dei frutti.
L’albero di Giuda o Cercis siliquartum non è l’unico ad affascinare i suoi estimatori. Questa specie infatti annovera diverse varietà di alberi piccoli e medi.
Tra questi: Cercis canadensis, Cercis chinensis e il Cercis occidentalis.
Cercis canadensis, originario del Canada, è alto circa dodici metri e presenta foglie a forma tonda.
Il Cercis chinensis, invece, come suggerisce anche il nome, è originario della Cina.
Il terzo, Cercis occidentalis detto anche cercis californica, predilige climi miti e temperati. Da ricordare anche il Cercis racemosa, originario del Giappone e con fiori rosa che si sviluppano in primavera. Le varietà appena citate presentano tutti i classici fiori di colore rosa. Esiste anche la varietà Cercis alba, che presenta, invece, dei bellissimi fiori bianchi.
I fiori appaiono in primavera prima delle foglie e sono di colore rosa-violaceo.
Sistematica
Il genere Cercis, all’interno delle Fabacee, è inserito nella sottofamiglia delle Cesalpinioidee e all’interno di questa nella tribù delle Cercideae, che prende nome proprio da questo genere.
Foglie e fiori di Cercis occidentalis, spontaneo in California e regioni limitrofe
Il genere Cercis comprende 7-10 di specie, che qui elenchiamo:

Europa e Asia:
Cercis siliquastrum, l'”albero di Giuda” in senso proprio;
Cercis gigantea
Cercis chinensis
Cercis griffithii
Cercis racemosa
Nordamerica:
Cercis canadensis
Cercis occidentalis

Alcune specie comprendono sottospecie o varietà che alcuni studiosi elevano al rango di specie. Questo vale in particolare per Cercis glabra e Cercis japonica (incluse in Cercis chinensis) e per Cercis mexicana, Cercis reniformis, Cercis texensis (incluse in Cercis canadensis).
Terreno
Predilige un terreno calcareo , ben drenato, anche sassoso; si adatta comunque bene a qualsiasi terreno da giardino; va piantato in ottobre, si presta molto bene per le alberature dei viali cittadini essendo molto resistente all’inquinamento
Moltiplicazione
Avviene attraverso i semi, che la pianta produce in abbondanza; si seminano in marzo, in contenitori riempiti con composta da seme. Quando le piantine raggiungono dimensioni adeguate si piantano in vasi di circa 10 cm di diametro, che si interrano all’aperto, in vivaio. Solitamente prima di poter essere trasferite a dimora le piantine vanno tenute in vivaio per circa due anni, o anche di più.
Potatura
Il Cercis siliquastrum necessita di potature solo in caso di danni evidenti ai rami a causa del freddo e del gelo. In questo caso le potature possono anche essere drastiche. Vanno infatti totalmente eliminate tutte le parti secche o danneggiate dal gelo, nonché i rami bruciati dal freddo. L’albero, però, tende a fiorire anche sul tronco e sui rami molto vecchi. La loro eliminazione potrebbe quindi bloccare per sempre la fioritura. Per evitare che la potatura causi dei danni irreparabili, conviene procedere dopo la fioritura, quando i rami produttivi sono più facilmente riconoscibili. Potando la pianta dopo la comparsa dei fiori, invece, si andrà ad infittire ulteriormente la chioma con la comparsa di nuovi rami produttivi.
Parassiti e Malattie
Essendo una pianta molto rustica non soffre di particolari malattie; le foglie spesso vengono attaccate dagli afidi. L’albero, particolarmente rustico e selvatico, è abbastanza resistente ai parassiti e alle malattie. Gli unici insetti che possono colpirlo sono gli afidi. L’albero di Giuda teme il gelo e il freddo. La pianta mal sopporta anche il caldo eccessivo e il clima arido. In queste ultime condizioni climatiche si possono verificare proprio gli attacchi degli afidi, insetti parassiti che si nutrono delle linfa vegetale. Questi insetti si prevengono regolando le annaffiature e irrigando il terreno appena si asciuga. Per debellarli completamente si sconsiglia di usare gli insetticidi ad ampio spettro. Questi prodotti, infatti, hanno l’effetto di uccidere anche gli insetti utili alla pianta. Un’altra patologia che può colpire la pianta è il cancro rameale o meglio cancro da Nectria, fungo parassita che colpisce i tronchi e i rami di alberi di latifoglie. Nel cercis siliquastrum vengono attaccati i rami e i tronchi della pianta giovane, il fungo, infatti, difficilmente si annida nel tronco vecchio. Per prevenire questa malattia bisogna evitare i ristagni idrici e gli errori di potatura.

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Chaenomeles (Cotogno del Giappone)

Il chaenomeles, detto comunemente “cotogno giapponese, cotogno da fiore” o “fior di pesco”, è un arbusto, o piccolo albero, a foglia caduca molto apprezzato per la sua fioritura precoce e variopinta oltre che per suoi frutti. È un’essenza estremamente facile da coltivare e che può essere inserita in tutti i giardini, sia come esemplare isolato sia all’interno di siepi miste, anche con funzioni difensive.

Il nome comune fior di pesco indica un arbusto di medie dimensioni, di origine Asiatica, molto diffuso nei giardini, strettamente imparentato con le mele e con le mele cotogne, il cui nome botanico è Chaenomeles japonica, a ricordare le sue origini orientali; in realtà nei giardini sono ormai diffusi in particolare ibridi di chaenomeles.

Si tratta di un arbusto che in genere si mantiene al di sotto dei due metri di altezza, con fusti eretti, scarsamente ramificati, spesso ricoperti da spine acuminate, a foglia caduca. Il fogliame è di colore verde scuro, ovale o lanceolato, e si presenta dopo la fioritura. I fiori del chaenomeles japonica ricordano molto i fiori dei meli, anche se in genere le specie coltivate in giardino sono molto più fiorifere di una pianta da frutto, e presentano fiori molto colorati, nelle tonalità del rosa, e per questo vengono comunemente chiamati fior di pesco. I fior di pesco sbocciano in piccoli grappoli, ben sparsi lungo i rami privi di foglie, verso la fine dell’inverno, donando all’arbusto un’insolita grazia. Verso la fine della fioritura compaiono anche le foglie, ma sicuramente questi arbusti sono molto più vistosi quando privi di foglie, perchè i fiori spiccano molto sui rami scuri e spogli, che sembrano secchi.
In primavera inoltrata ai fiori seguono piccoli frutti, simili a piccole mele cotogne, di sapore asprigno ed allappante; si tratta di frutti commestibili, anche se possono venire mangiati solo dopo cottura, vengono talvolta utilizzati in composte o marmellate, oppure aggiunti a confetture di altri frutti, per renderle più dense, vista la ricchezza di pectina di queste piccole mele.

Coltivazione
Il successo di queste piante in giardino è dovuto in particolare alla loro rusticità: si adattano a qualsiasi terreno e anche ad un clima molto rigido o asciutto.

Trovano posto in un luogo ben soleggiato, vicino ad altri arbusti o come esemplari singoli; con i fior di pesco spesso si creano delle piccole siepi spinose, spoglie in inverno, ma fitte e dense in estate.

Prima di porre a dimora il nostro chaenomeles lavoriamo a fondo il terreno, arricchendolo con del terriccio fresco e con poco stallatico; quindi posizioniamo l’arbusto e comprimiamo con il tallone il terriccio ai lati dei fusti della pianta; annaffiamo la pianta al momento dell’impianto, e successivamente soltanto nella bella stagione e in caso di siccità, poiché i chaenomeles japonica ben sopportano la siccità; una pianta adulta, ben esposta alle intemperie, generalmente non necessita di annaffiature.

In autunno la pianta perde completamente il fogliame, e si prepara al freddo entrando in completo riposo vegetativo, quindi possiamo evitare completamente di annaffiarla durante il periodo freddo; sopporta temperature molto rigide, anche vicine ai -15°C, quindi non necessita di coperture, neppure durante l’inverno più freddo e rigido.

Quando i fiori sono appassiti è bene potare l’arbusto ogni anno, altrimenti tende ad avere uno sviluppo eccessivamente intricato e denso, privando i rami più interni di insolazione e tendendo negli anni a fiorire sempre meno; si asportano i rami rovinati dall’inverno, quelli più sottili o vecchi, e si cima tutta la vegetazione per renderla più compatta.

La coltivazione del cotogno da fiore non comporta grandi difficoltà. È una pianta molto tollerante sia in fatto di clima sia per quanto riguarda il terreno.

Ecco qualche accorgimento per ottenere sempre il massimo da loro.

Caratteristiche del chaenomeles japonica

Il genere chaenomeles (che deriva dal greco e significa “frutto che si fende, si spacca”) appartiene alla famiglia delle Rosaceae e comprende quattro specie e moltissimi ibridi, tutti rustici. Non devono assolutamente essere confusi con il cotogno, appartenente invece al genere Cydonia.

Le specie più conosciute sono la japonica (rinvenuta in Giappone, ma con tutta probabilità originaria della Cina), la speciosa (sempre endemica di tutto il Sud-est asiatico), la cathayensis e la thibetica, scoperta solamente alla metà del 1900.

Questi arbusti, generalmente di dimensioni piuttosto contenute, raramente superiori ai 2 metri, sono composti dai rami vecchi, dall’aspetto arcuato e flessibile, e dai getti nuovi, eretti e vigorosi, entrambi dotati di spine.

I fiori sono formati da corolle semplici o doppie, con diametro massimo di 5 cm. Quelle semplici sono formate da 5 petali arrotondati con al centro un abbondante ciuffo di stami gialli. I colori sono moltissimi: si va da rosso acceso al bianco, contemplando anche il rosa tenue o fucsia e anche il salmone e l’arancio.

Usi
Questa pianta appartiene alle innumerevoli piante utilizzate da decenni nei giardini, negli anni passati era stata parzialmente dimenticata, a causa della moda di avere in giardino piante esotiche e strane, a discapito degli arbusti vigorosi e rustici della tradizione. Ultimamente sembra che stia vivendo una seconda giovinezza, grazie alle sue caratteristiche salienti: fiori precoci, quando il giardino è ancora spoglio, rusticità, spine.

In effetti si tratta di una pianta molto facile da coltivare, adatta anche al giardiniere principiante, che spesso non riesce a dedicare al giardino tutto il tempo che vorrebbe; i fiori sono molto belli e, visto che dopo la fioritura sarebbe bene potare l’arbusto, nulla ci vieta di potare qualche ramo appena fiorito per godere della fioritura anche in casa, in un bel vaso capiente.

Questa pianta poi ben si sposa con gli altri arbusti a fioritura primaverile, come chymonanthus, deutzie o forsizie.

I piccoli frutti possono poi venire utilizzati nel corso dei mesi, come avviene per le mele, se raccolti ancora acerbi e riposti in luogo fresco e buio si conservano per mesi, senza avvizzire; possiamo quindi utilizzarne un paio per ogni kilo di frutti di bosco per preparare una densa confettura, oppure possiamo riporli negli armadi, come facevano le nostre bisnonne, per donare alla biancheria un delicato aroma di mela fresca.

Se ci preoccupiamo della presenza di frutti in giardino, che non desideriamo consumare e che quindi resterebbero attaccati alla pianta, in un lento degrado, in vivaio possiamo trovare varietà di fior di pesco sterili, che non producono frutti.

I fiori e le foglie

I fiori compaiono, tra i primi, alla fine dell’inverno e per questo sono, insieme alla forsizia, uno dei simboli dell’arrivo della bella stagione. Sbocciano direttamente dal ramo, come nel pesco, prima della comparsa delle foglie. Sono un richiamo irresistibile per le api e per altri insetti impollinatori.

Le foglie sono strette e col bordo finemente dentellato, di un bel verde luminoso. Risultano decorative anche in autunno visto che, soprattutto in alcune cultivar, le cromie virano verso il dorato e il porpora.

Terreno
Il c.si adatta a molti tipi di terreno diversi. Vanno evitati solamente quelli caratterizzati da una grande presenza di calcio: potrebbe causare la comparsa di clorosi fogliare, con conseguente poca vitalità complessiva dell’esemplare.

Vanno anche evitati, o migliorati, i suoli troppo compatti in cui non sia garantito un buon sgrondo delle acque. In quel caso sarà bene intervenire prima dell’impianto predisponendo sul fondo della buca uno spesso strato drenante e eventualmente inglobando abbondante compost, ammendante organico e un po’ di sabbia.

Esposizione e rusticità

Per ottenere una crescita e una fioritura abbondanti è bene posizionare sempre il fior di pesco in un’area in pieno sole o al massimo a mezz’ombra (possibilmente però ad Est, dove la luce arrivi di primo mattino, specialmente in inverno).

Il freddo raramente è un problema per questa essenza visto che sopporta egregiamente fino a -20°C. Se viviamo in aree alpine al di sopra degli 800 metri può essere una buona idea inserirlo nei pressi di un muro, in maniera che venga protetto dai venti.

Si rivela inoltre un arbusto molto adatto agli spazi urbani: tollera infatti molto bene l’inquinamento.

Irrigazione

Generalmente è necessario irrigare solamente durante il primo anno dalla messa a dimora. Inizialmente si interverrà ogni 15 giorni, per poi dilazionare ad un intervento al mese. Monitoriamo comunque l’esemplare in caso di calore intenso e siccità.

Potatura

La potatura si effettua subito dopo la fine della fioritura o dopo la raccolta dei frutti: si devono eliminare tutti i rami che si incrociano, quelli deboli o malati. È importante aerare bene il centro della pianta e darle un aspetto ordinato.

Dopo la fioritura, per favorire l’accestimento, possiamo tagliare i rami dell’anno lasciando solamente due o tre gemme dal basso.

Propagazione

La propagazione del chaenomeles è semplice. Si può procedere per seme o per talea. Solo la seconda, però, ci garantisce il mantenimento delle caratteristiche peculiari degli ibridi.

Semina

I semi vanno prelevati dai frutti maturi e stratificati in sabbia umida per tutto l’inverno, all’esterno o in frigorifero (se viviamo nel Centro-Sud). La germinazione è lenta, ma riesce facilmente e si possono ottenere piante fiorite già entro i primi due anni.

Talea

Si prelevano rami semilegnosi, agostati, di circa 10 cm di lunghezza, da getti laterali. Si spolvera il taglio con ormoni radicanti e si inseriscono in una composta molto leggera e drenante. Manteniamo alta l’umidità, aiutandoci anche con una copertura in plastica. Per ottenere una radicazione veloce bisogna mantenere sempre la temperatura al di sopra dei 16°C. Le piantine possono generalmente essere messe in vasetti singoli già da ottobre per poi metterle a dimora definitiva la primavera successiva
Utilizzi
Il chaenomeles può trovare diversi impieghi. È ottimo per creare delle siepi rustiche miste con altri arbusti, anch’essi dotati di spine. In questa maniera avrà anche una funzione difensiva. Si abbina molto bene al biancospino, al prugnolo e all’olivello spinoso. Anche l’abbinamento con la forsizia è ottimo, vista la concomitanza delle fioriture.

È possibile allevarlo però anche come rampicante visto che i suoi rami sono lunghi e molto flessibili.

È ad ogni modo pensabile impiegarlo anche come esemplare isolato o per la creazione di punti di interesse con altri arbusti. In origine, in Inghilterra, era molto comune l’allevamento ad alberello.

È una essenza molto adatta alla creazione di bonsai, spettacolari per fioritura e fruttificazione.

Messa a dimora

Il cotogno da fiore viene generalmente venduto in vaso e può quindi essere messo a dimora in qualunque periodo dell’anno, tranne quando il terreno risulti ghiacciato o le temperature siano estremamente alte.

Il momento migliore per procedere è però sicuramente l’autunno, in maniera che in primavera risulti già almeno parzialmente affrancato e possa dedicarsi alla crescita vegetativa.

In piena terra

Scaviamo una buca profonda e larga almeno il doppio del pane di terra. Sul fondo creiamo uno spesso strato drenante, inseriamo poi una buona quantità di stallatico sfarinato e infine la pianta, riempiendo e compattando con il terriccio estratto (eventualmente reso più drenante e aerato con dell’ammendante).

In vaso

Bisognerà optare per una cultivar dallo sviluppo limitato. Il contenitore dovrà avere un diametro di almeno 30 cm e profondo 40. Sul fondo creiamo lo strato drenante e utilizziamo poi una composta ottenuta mescolando terriccio universale con terra di campo in ugual misura.

Parassiti e avversità

Crittogame frequenti sono la ticchiolatura e la monilia. Portano al disseccamento dei fiori e delle foglie, oltre che alla formazione dei cancri rameali. Per la prevenzione è ottimo il rame.

Anche l’oidio si fa sentire, specialmente quando si alternano giornate calde e altre umide: va prevenuto impiegando zolfo bagnabile.

Il cotogno da fiore è, come tutte le Rosaceae, soggetto al colpo di fuoco batterico. Prestiamo particolare attenzione nel caso si manifestino disseccamenti rameali.

Varietà
Chaenomeles japonica: è un arbusto alto al massimo 120 cm, che fiorisce tra marzo e aprile. Si espande soprattutto in larghezza. Fiorisce e fruttifica copiosamente. La varietà alpina ha fiori arancioni, frutti piccolissimi ed è semiprostrata.

Chaenomeles speciosa fiori grandi, dal rosso allo scarlatto. Fino a 3 metri di altezza. È disponibile in molte cultivar.

Chaenomeles cathayensis fiori bianchi con bordi rosa. Fino a 4,5 metri di altezza. Grandi frutti gialli

Chaenomeles x speciosa ibrido. Fino a 2 metri. Numerose cultivar: Nivalis, Falconnet Charlet, Eximia, Kinshiden.

Chaenomeles x superba ibrido, generalmente dallo sviluppo contenuto. Cultivar: Cameo, Crimson and Gold, Elly Mossel, Etna, Issai White.

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Chimonanthus

Generalità
I calicanti sono arbusti di dimensioni medie, a foglie caduche, originari della Cina; in effetti il nome comune si riferisce a pianta che appartengono al genere delle calycanthacee, ma la cui specie si chiama Chimonanthus. Le specie di chimonanthus esistenti in natura sono poche, e in particolare solo una, chimonanthus praecox, viene coltivata in Italia. Produce un arbusto disordinato, con vari fusti eretti, ben ramificati, che danno origine ad una vegetazione densa ed intricata; le foglie appaiono in primavera, dopo o durante la fioritura, e sono allungate, molto simili a quelle di un pesco o di un salice, lanceolate, di colore verde medio. La caratteristica peculiare del calicanto sono sicuramente i fiori, che sbocciano in pieno inverno, in febbraio o marzo, indipendentemente dalle condizioni climatiche, e ben prima che la pianta abbia cominciato a produrre le foglie; il risultato è un arbusto all’apparenza secco, completamente ricoperto da fiorellini molto profumati. I fiori sbocciano dal legno vecchio, senza picciolo; sono dotati di petali allungati, cerosi, di colore bianco o giallo.

Arbusto decorativo, molto rustico e resistente, che sopravvive senza problemi agli inverni del nord Italia, senza temere il gelo e la neve; produce fiorellini gialli o bianchi, molto profumati. In primavera inoltrata si riempie di foglie, anche se senza i fiori diviene un arbusto abbastanza anonimo, senza particolari decorativi; il portamento eretto e le ramificazioni intrecciate lo rendono adatto anche per creare siepi, nonostante perda il fogliame nei mesi invernali. Pianta di facile coltivazione, una volta assestatasi in giardino tende ad accontentarsi dell’acqua delle intemperie e a non necessitare di particolari cure. La potatura si effettua in primavera, dopo che i fiori sono appassiti.
Coltivazione
Il successo dei chimonanthus praecox in giardino è dovuto essenzialmente al fatto che, nonostante provengano da luoghi così lontani, sopravvivono senza problemi al freddo invernale, ed anche al caldo estivo; si pongono a dimora in luogo soleggiato, o anche semiombreggiato, in un terreno fresco e molto ben drenato, acido o alcalino, senza che questo causi grandi disagi alla pianta. Non appena posti a dimora, almeno nel primo anno di sviluppo della giovane pianta, è consigliabile annaffiare il terreno attorno al fusto, ogni volta che risulta asciutto; in primavera ed in autunno spargiamo ai piedi dell’arbusto del concime granulare a lenta cessione, ricco di microelementi. Negli anni successivi, una volta che la pianta si sia ben adattata alla vita nel nostro giardino, possiamo annaffiare anche solo sporadicamente, quando si verificano periodi di grande caldo, associato ala siccità. Le potature non sono strettamente necessarie, si effettuano in caso di piante molto sviluppate, o dal portamento eccessivamente allungato. In genere questi arbusti non si svuotano mai nella parte bassa, in quanto le radici continuano a produrre nuovi polloni basali, che tendono a mantenere l’arbusto denso per tutta la sua lunghezza.
Parassiti e malattie
Gli afidi affliggono spessissimo i giovani germogli, che possono venire devastati da questi insetti; già in primavera è importante cercare di debellare le colonie di afidi, in modo da evitare che si riproducano rapidamente, diffondendosi in tutto il giardino. Eccessi di annaffiature, o la vita in un terreno spesso inzuppato di acqua, può causare marciumi alle radici, che possono portare alla morte improvvisa di interi rami; in genere, la sospensione delle annaffiature risolve il problema. Generalmente però, i calicanti vengono abbandonati a se stessi, e quindi difficilmente si verificano piogge tanto intense da mantenere il terreno sempre zuppo. Occasionalmente può capitare che alcuni rami vengano rovinati dal caldo estivo, è sufficiente rimuoverli ed annaffiare la chioma, in modo da aumentare l’umidità ambientale, e scongiurare che si affloscino le foglie. Tali operazioni andranno effettuate nelle prime ore del mattino, per evitare che l’acqua sulle foglie, nelle giornate di forte caldo, e di forte insolazione, favorisca lo svilupparsi di scottature.

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Chionanthus

Il Chionanthus virginianus è un arbusto, o piccolo albero, a foglie caduche, originario dell’America settentrionale, che può raggiungere i 6-7 metri di altezza.

Il tronco è eretto, spesso leggermente contorto, talvolta costituito da 2-3 fusti vicini, ben ramificato, a costituire una chioma tondeggiante; la corteccia è marrone chiaro, con l’età della pianta tende a desquamarsi, rimanendo sempre abbastanza liscia.

Le foglie sono grandi, cerose, spesse, di colore verde scuro; in primavera inoltrata produce moltissimi fiori bianchi, con petali lineari, che pendono dalla pianta riuniti in piccoli gruppi su lunghi steli; i fiori di chionanthus sono molto profumati e perdurano a lungo sulla pianta; in tarda estate sulle piante femminili i fiori lasciano il posto a piccoli frutti ovali, simili ad olive, che divengono nero-blu a maturazione.

C. retusus è originario dell’Asia, ha fiori molto appariscenti, più grandi di quelli della specie nordamericana.
Esposizione
Chionanthus virginianus preferiscono essere posti a dimora a mezz’ombra, anche se si possono sviluppare anche in pieno sole o in zone con poca luce.

Non temono il freddo e sono molto resistenti alle intemperie ed all’inquinamento. Grazie alla loro facile adattabilità non richiedono cure particolari e riescono a resistere anche se messi in posizioni diverse da quelle che rappresentano il loro habitat naturale.

Possono essere coltivati anche in vaso senza particolari accortezze così da poter essere utilizzati anche da chi non ha un grande giardino a disposizione; la coltivazione in vaso non presenta particolarità in quanto questo arbusto presenta una buona adattabilità e una crescita lenta.

Terreno

I Chionanthus virginianus preferiscono terreni ricchi, molto ben drenati e leggermente acidi. In primavera e in autunno è consigliabile interrare ai piedi della pianta del concime organico ben maturo. Se sono piantati in giardino possono sopportare terreni pesanti, sempre però che risultino ben drenati. Se li volete coltivare in vaso, scegliete un terriccio universale che si dimostrerà efficace per lo sviluppo di questa pianta particolare. La messa a dimora in vaso è possibile grazie alla lentezza di crescita che presenta questa varietà.

Moltiplicazione
La moltiplicazione del Chionanthus virginianus avviene in genere per talea; si consiglia di prepararne numerose, in quanto sono di difficile radicazione. Volendo si possono propagare queste piante anche per seme, ma hanno crescita molto lenta, e ci vogliono alcuni anni prima di ottenere un esemplare adatto ad essere posto a dimora in giardino.

Parassiti e malattie

In genere queste piante temono l’attacco degli afidi, che ne rovinano i fiori, e delle larve minatrici, che ne rovinano le grosse foglie. Talvolta può essere colpito dalla ticchiolatura e dal mal bianco. Sono comunque arbusti piuttosto resistenti ed adattabili, tanto che è difficile che vengano colpiti da parassiti e malattie che li possano portare al rinsecchimento.

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Choisya (Arancio del Messico)

La Choisya nota comunemente come Arancio del Messico è una pianta arbustiva appartenente alla famiglia delle Rutaceae coltivata a scopo decorativo per siepi, lungo muretti e nel prato.
Caratteristiche generali dell’ Arancio del Messico o Choisya ternata

La Choisya è un arbusto perenne, sempreverde dall’aspetto tondeggiante composto da steli ricoperti da foglie lucide di colore verde- giallastro che se strofinate sprigionano un gradevole profumo di arancio.

I fiori bianchi, stellati e profumatissimi sbocciano riuniti in gruppi all’ascella delle foglie apicali.
Fioritura: fiorisce nel periodo aprile – maggio e talvolta anche in autunno.
Varietà di Choisya

Al genere appartengono diverse varietà e tra le più conosciute e coltivate per siepi di separazione soprattutto nei giardini costieri ricordiamo:

la Choisya x dewitteana Aztec Pearl, dai fiori bianco -rosati, molto profumati, che fioriscono tra maggio e luglio;
la Choisya ternata con fiori profumati di color bianco che fioriscono da maggio a luglio e dalle foglie verde lucido;
la Choisya ternata Sundance, con fiori bianchi profumati e foglie primaverili color oro in primavera e verde brillante in estate;
la Choisya dumosa, un arbusto tondeggiante con foglie sempreverdi e aromatiche e con fiori bianchi che compaiono sulla pianta dalla primavera fino all’autunno molto resistente al caldo.
Coltivazione Choisya

Esposizione: la choisya predilige i luoghi semisoleggiati e riparati dai venti.

Terreno:si adatta a qualunque tipo di terreno, purchè ricco, ben drenato e non calcareo.

Annaffiature: regolari durante l’estate e nei periodi siccitosi, scarse durante l’inverno.
Concimazione: in primavera concimare con concime ternario a basso contenuto di azoto 1 volta al mese.
Moltiplicazione della Choisya

La choisya si riproduce per seme o per talea.

Le talee di rametti dell’anno, prelevate in agosto con cesoie ben affilate e disinfettate, vanno messe a radicare in terriccio misto a sabbia e torba.

A radicazione avvenuta le piantine vanno trasferite poi in vasi singoli e allevate in essi per almeno 2 anni prima dell’impianto in piena terra.
Impianto e rinvaso della Choisya

L’impianto delle giovani piantine in piena terra si effettua in autunno in piena terra e il rinvaso in contenitori più grandi in primavera.
Potatura Choisya

La potatura delle parti legnose si effettua a partire dal quarto anno. Ogni anno si recidono di netto quelli secchi o danneggiati dal freddo mentre si accorciano di 20 cm tutti gli altri.
Malattie e Parassiti

La pianta teme il marciume radicale causato dal ristagno idrico. Non teme l’attacco dei parassiti in quanto il forte odore delle foglie funge da repellente per i parassiti.

Tra le malattie fungine teme il mal bianco o oidio se il clima è molto umido che si manifesta con ammassi polverosi bianchi sulle pagine fogliari.

 

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Clerodendrum

Il Clerodendrum trichotomum è un arbusto o piccolo albero a foglie caduche originario della Cina e del Giappone, che può raggiungere i 2,5-3 metri di altezza.

Ha portamento eretto, spesso presenta più tronchi molto ramificati, la chioma è tondeggiante, e si sviluppa molto in basso lungo il tronco. Le foglie del clerodendro sono ovali, molto larghe, dentellate e vellutate, di colore verde scuro.

In piena estate, fino all’inizio dell’autunno, questa pianta produce numerosissimi fiorellini bianchi, riuniti in pannocchie, delicatamente profumati; ai fiori appassiti seguono bacche molto decorative, di colore blu-nero, sostenute da un calice rosa intenso; possono rimanere sulla pianta per mesi. Il genere clerodendrum (o clerodendron) comprende centinaia di specie, tra cui ricordiamo il C. ugandense, meno rustico del Clerodendrum trichotomum, ma molto decorativo, con numerosissimi fiori viola e lilla a forma di farfalla; C. thomsonae è un rampicante a fiori bianchi da appartamento.
Esposizione
Il clerodendro necessita di una posizione soleggiata, o a mezz’ombra; solitamente è una pianta molto rustica e riesce a sopportare senza problemi temperature inferiori ai -10°C, anche se può capitare che gelate persistenti causino il disseccamento della parte aerea degli esemplari giovani; per questo motivo, è opportuno riparare le piante per i primi due inverni dopo la messa a dimora.

Non ha particolari problemi a sopportare le temperature estive, ovviamente può soffrire di una prolungata esposizione a temperature eccessive.

Nelle zone vicine al mare o in montagna è bene riparare la pianta dal vento.

Annaffiature
In generale i clerodendro necessitano di annaffiature regolari, e di un terreno costantemente umido; anche il Clerodendrum trichotomum necessita di molta acqua, soprattutto nel periodo estivo, mentre in inverno le annaffiature possono essere sospese in quanto la pianta entra in riposo vegetativo.

E’ necessario evitare che sul terreno si formino dei ristagni d’acqua in quanto possono essere molto pericolosi per la salute della pianta.

Le piante amano un ambiente umido e può essere utile vaporizzare dell’acqua che consenta di creare un microclima umido.

Da marzo a ottobre è consigliabile fornire del concime per piante da fiore ad intervalli regolari.

Terreno
Il clerodendro si adatta senza problema a qualsiasi terreno, ma si sviluppa al meglio in terreni ricchi, sciolti, freschi e ben drenati, preferendo i terreni poveri di calcio.

Nel metterlo a dimora, preferibilmente in primavera, si consiglia di preparare una buca profonda in cui mescolare sabbia, torba e terriccio da compostaggio.
Moltiplicazione

La moltiplicazione di questo tipo di arbusto avviene per seme, utilizzando in primavera i semi dell’anno precedente, che si possono prelevare dalla pianta al momento della semina; in primavera è anche possibile praticare talee e margotte.

Parassiti e malattie
Se le piante vengono messe a dimora in terreni poco drenanti è favile favorire l’insorgenza di marciume radicale. Gli acari talvolta rovinano vistosamente le foglie.

Queste piante possono essere attaccate dalle cocciniglie, che se non contrastate possono compromettere la salute della pianta. Per evitarlo è opportuno ricorrere a dei prodotti insetticidi specifici da distribuire nell’ambiente intorno alla pianta, prima del periodo di fioritura.

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Clethra

La Clethra è un arbusto di media grandezza, a foglie caduche, originario dell’America settentrionale; gli esemplari maturi possono raggiungere i 150-200 cm di altezza, con portamento eretto e tondeggiante. Producono fusti eretti, ben ramificati, coperti da un fogliame denso, di forma ovale, appuntita e di colore verde scuro; in autunno, prima di cadere il fogliame diviene color giallo oro. Durante l’estate all’apice dei fusti sbocciano numerosissimi piccoli fiori bianchi, delicatamente profumati, riuniti in racemi a pannocchia lunghi fino a 20-30 cm. I fiori vengono prodotti sui rami dell’anno, quindi è possibile potare la pianta a fine inverno per mantenere una forma compatta e per favorire lo sviluppo di nuove ramificazioni e quindi di pannocchie di fiori. Esistono numerose cultivar con fogliame variegato o screziato o con fiori rosa.

Esposizione
Per quanto riguarda l’esposizione ideale la Clethra predilige posizioni soleggiate, o semiombreggiate; la coltivazione all’ombra causa una scarsa produzione di fiori e spesso foglie di dimensioni ridotte. Non ama luoghi eccessivamente asciutti o molto caldi. Non teme il freddo e può sopportare anche gelate molto intense e prolungate. E’ quindi adatta ad essere coltivata in piena terra, non presentano particolari problemi per l’arrivo della stagione invernale.

Annaffiature
Per ciò che concerne le annaffiature, da marzo a ottobre annaffiare le piante di Clethra con regolarità, soprattutto durante i periodi più caldi ed asciutti dell’anno. Cerchiamo di mantenere il terreno abbastanza umido; spesso questi arbusti vengono posti a dimora nei pressi di corsi d’acqua o di piccoli stagni, dove possono godere di un continuo apporto d’acqua; sono molto adatti anche in zone prossime al mare.

Terreno
Per consentire uno sviluppo adeguato, questa varietà di piante necessita di essere posta a dimora in terreno acido, fresco e profondo, molto ricco di materia organica; ricordiamo quindi di evitare annaffiature con acqua eccessivamente calcarea, e di utilizzare substrato apposito per piante acidofile, arricchito ogni anno con stallatico maturo; periodicamente fertilizziamo con appositi concimi rinverdenti per piante acidofile. Il terreno ideale deve mantenere il giusto grado di umidità, visto che queste piante amano i terreni con presenza d’acqua.

Moltiplicazione

La pianta di Clethra produce piccole bacche scure, che spesso rimangono sui rami per parecchi mesi; raccolte possono essere utilizzate come semi; in estate è possibile praticare talee semilegnose, prelevando piccole porzioni dai rami che non hanno prodotto infiorescenze e interrarle in un terreno adatto a consentire un radicamento delle nuove piantine. Una volta che esse abbiano acquisito sufficiente forza, è possibile porle a dimora definitivamente.

Parassiti e malattie
Gli esemplari appartenenti a questa varietà temono l’attacco degli acari, soprattutto durante la stagione estiva; se coltivate in terreno non idoneo possono soffrire di clorosi ferrica. Nel caso comparissero segni di parassiti o malattie è opportuno intervenire con tempestività per poter contrastare efficacemente il problema; in commercio sono disponibili prodotti appositi che risolveranno definitivamente l’attacco dei parassiti o forniranno gli elementi necessari a contrastare la clorosi ferrica.

 

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Colutea

Colutea L. è un genere che comprende una ventina di specie di arbusti della famiglia delle Leguminose o Fabacee. La caratteristica forma rigonfia dei frutti ha valso a questa pianta il nome comune di vescicaria.
Descrizione

Le specie del genere Colutea hanno tutte portamento arbustivo – alcune specie possono arrivare fino a 5 m d’altezza.

Le foglie sono composte, pennate.

I fiori sono gialli o arancioni, riuniti in racemi, e hanno la caratteristica forma papilionacea della maggior parte delle leguminose.

I frutti sono legumi rigonfi d’aria, che passano dal verde pallido iniziale a un colore rossiccio o bruno a maturazione completa.

Colutea ha un tipico areale euro-asiatico, con preferenza per i climi temperati e caldi, anche asciutti. Oltre che in Europa e in Asia, è rappresentato da due specie in Africa.

Il genere è stato introdotto anche negli Stati Uniti, nelle isole Mauritius e in altre località.
Sistematica
Specie

Secondo Species 2000 sono accettate le seguenti specie:
Colutea persica

Colutea abyssinica (Africa orientale)
Colutea afghanica (Iran e Afghanistan)
Colutea arborescens (Europa centrale e meridionale)
Colutea atlantica (Algeria, Marocco, Spagna)
Colutea cilicica (Mediterraneo orientale, Iran)
Colutea delavayi (Cina)
Colutea gifana (Iran)
Colutea gracilis (Iran, Afghanistan)
Colutea komarovii (Iran)
Colutea media (Cina)
Colutea nepalensis (Cina, Afghanistan)
Colutea orientalis (Asia ex sovietica)
Colutea paulsenii (Afghanistan)
Colutea persica (Iran, Afghanistan)
Colutea porphyrogramma (Iran)
Colutea uniflora (Iran)

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Cornus (Corniolo)

Cornus L., 1753 è un genere di piante angiosperme dicotiledoni appartenenti alla famiglia delle Cornaceae.

La specie più comune è il corniolo.
Descrizione
La maggior parte delle specie di Cornus sono alberi decidui o arbusti.
Tassonomia

Il genere comprende 54 specie.

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Coronilla

La Coronilla valentina è una pianta arbustiva appartenente alla famiglia delle Leguminose o Fabaceae, coltivata a scopo ornamentale per la bellezza dei suoi profumatissimi fiori simili a quelli della polygala, della ginestra o della
Caratteristiche generali

La Coronilla valentina, chiamata comunemente erba ginestrina o vecciarini, è una pianta a portamento rampicante che può superare anche i 2 metri di altezza. La pianta è composta da lunghi re fitti rametti ricoperti da foglie coriacee e persistenti di colore verde con riflessi bluastri.

Frutti
I frutti sono sono delle silique (baccelli) verdi simili contenenti 3-5 semi oblunghi simili a fagioli.
Fioritura: la pianta fiorisce da febbraio fino a maggio inoltrato.
Coltivazione

Esposizione: preferisce i luoghi luminosi e soleggiati per molte ore al giorno; tollera abbastanza bene anche le basse temperature.
Terreno: predilige terreni soffici, umidi, sabbiosi o calcarei ben drenati.
Annaffiature: la pianta allevata in piena terra generalmente si accontenta delle acque piovane ma è consigliabile annaffiarla frequentemente in estate e nei periodi siccitosi.
Concimazione: dall’autunno alla primavera concimare la pianta ogni 3 mesi con concime granulare trivalente a lento rilascio. In estate sospendere le concimazioni.

Moltiplicazione Coronilla

La Coronilla valentina si riproduce per seme e per talea. Le talee di getti apicali vanno messi a radicare in un mix di sabbia e torba.
Potatura e impianto della Coronilla

A fine fioritura o alla fine dell’inverno potare gli steli secchi e quelli danneggiati dal freddo per favorire l’emissione di quelli nuovi.

L’impianto va effettuato in primavera in buche larghe e profonde il doppio del pane di terra che avvolge le radici.

Dopo un settima dall’impianto concimare la pianta con dello stallatico maturo.
Malattie e Parassiti

E’ una pianta molto resistente e raramente viene attaccata da malattie fungine come la ruggine e da parassiti animali come gli afidi neri.
Linguaggio dei fiori

Nel gergo dei fiori la Coronilla assume il significato di ingenuità.
La coronilla è velenosa?

E’ una pianta velenosa sia per l’uomo che per gli animali domestici quali cani e gatti, per la presenza di coronillina, un glicoside tossico, presente soprattutto nei fiori.

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Cortaderia = Gynerium (Erba della Pampas)

Descrizione

La Cortaderia Selloana conosciuta anche come Erba delle Pampas è una pianta ornamentale coltivata nei giardini per l’aspetto molto decorativo delle sue infiorescenze piumose, una pianta ideale anche per abbellire i giardini acquatici.
Caratteristiche generali

La Cortaderia è una pianta erbacea della famiglia delle Graminaceae originaria dell’America meridionale.

La pianta, a portamento cespuglioso, negli esemplari adulti e ben radicati può raggiungere anche altezze prossime ai 2 metri.

L’erba delle Pampas ha una radice bulbosa dalla quale si originano numerose foglie nastriformi e lanceolate ricadenti e di colore grigio-verde disposte a rosetta lungo gli steli. I margini delle foglie sono lisci e taglienti.
Dal fitto cespuglio di foglie spuntano steli erbacei tubolari eretti terminanti con particolari e decorative infiorescenze a forma di spighe piumate di colore bianco – argenteo che persistono sugli steli per lunghissimo tempo.

Le spighe recise ed essiccate vengono utilizzate per la realizzazione di confezioni floreali.
Fioritura: la Cortadeira fiorisce da settembre a novembre inoltrato. I fiori recisi vengono utilizzati nella realizzazione di confezioni floreali.
Coltivazione

Esposizione: questa caratteristica pianta ama i luoghi soleggiati ma cresce bene anche in quelli semimbrosi.
Terreno: si accontenta di un buon terriccio da giardino a patto che il substrato sia permeabile; prospera sia in terreni un po’ secchi che in terreni freschi.
Annaffiature: annaffiature costanti in estate e durante i periodi di prolungata siccità in modo da mantenere il terreno sempre umido. In inverno sospendere le annaffiature.
Concimazione: dalla ripresa vegetativa, somministrare ogni 3-4 mesi del concime granulare a lenta cessione distribuito a circa 30 cm di distanza dalla pianta. In primavera somministrare una volta al mese del concime ricco in azoto e potassio, diluito nell’acqua delle annaffiature.
Moltiplicazione

L’erba delle Pampas si riproduce per divisione dei cespi.

In primavera o autunno, con un coltello disinfettato e ben affilato, si dividono i polloni basali con porzioni di radici ben sviluppate e si mettono a radicare in un miscuglio di torba e sabbia fino ad avvenuto attecchimento.

Poichè la pianta tende ad espandersi in larghezza al momento della messa a dimora nella realizzazione di gruppi o bordure è opportuno impiantarle a distanza minima di 1 metro l’una dall’altra.

Potatura

A fine fioritura tagliare le foglie secche e danneggiate recidendole alla base per favorire l’emissione di quelle nuove e l’incespimento.
Parassiti e malattie Erba delle Pampas

Anche se raramente la Cortaderia teme l’attacco degli afidi e lo sviluppo di malattie fungine, spesso favorite dal clima fresco e umido.
Cure e trattamenti

In inverno proteggere le foglie legandole a mo’ di mazzo avvolto in un telo di tessuto non tessuto traspirante e pacciamare i piedi del cespuglio con paglia o foglie secche.A fine marzo togliere le protezioni e tagliare le foglie danneggiate dal freddo.

 

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Corylopsis

Il Corylopsis è un denso arbusto deciduo originario dell’Himalaya, della Cina e della Corea.

Si presenta come un arbusto o come un piccolo albero, solitamente di dimensioni inferiori ai due metri, con corteccia marrone, di colore rosso sgargiante nei rami appena cresciuti.

Prima che spuntino le foglie, alla fine dell’inverno, produce moltissimi fiorellini gialli, riuniti in racemi leggermente pendenti che gli danno un aspetto molto colorato ed allegro.

Le foglie sono simili a quelle del nocciolo, di forma tondeggiante, solcate da profonde venature, di colore verde-blu sulla pagina superiore, verde chiaro sulla pagina inferiore.
Gennaio è uno dei mesi più freddi dell’anno: specialmente nelle regioni del nord, sia di giorno, sia di notte, la temperatura rimane sempre a livelli critici per delle piante collocate in piccoli vasi, perciò, va ricordato di continuare a proteggere i bonsai dal freddo.

ESPOSIZIONE: se non si dispone di una serra fredda, è opportuno proteggere i bonsai con i cappucci di tessuto non tessuto (TNT) ricordandosi di coprire anche il vaso, poiché l’apparato radicale è la parte più delicata del bonsai. Le piante da interno (Ficus, Carmona ecc.) debbono rimanere in casa collocate inposizione ben illuminata, oppure in serra riscaldata.Questo perché, i fiori posseggono i caratteri maschili e femminili insieme, però sono autoincompatibili, quindi, mettendo insieme diversi esemplari, uno impollina l’altro e tutti e due fanno i frutti.

ANNAFFIATURA: in casa annaffiare abbondantemente i bonsai da interno, ma solo quando il terriccio è veramente asciutto. Per umidificare l’aria circostante, seccata dai termosifoni, sono utili i sottovasi riempiti di ghiaia umida. All’esterno i bonsai sempreverdi continuano, sia pur lentamente, a vegetare, perciò vanno annaffiati più frequentemente di quelli a foglia caduca; in ogni caso l’irrigazione va effettuata la mattina tardi, in modo che la sera, quando la temperatura si abbassa, il terriccio abbia drenato tutta l’acqua in eccesso.

POTATURA: come per dicembre, questo periodo è ideale per tutte le potature, da effettuare con la tronchese concava, sia di formazione, sia di correzione. Soprattutto se il bonsai viene rinvasato, è opportuno effettuare un’adeguata potatura che compensi l’accorciamento delle radici. Quando si tagliano rami più spessi di 2 millimetri, medicare i tagli con il mastice o la pasta cicatrizzante.

RINVASO: le conifere e le sempreverdi vanno trapiantate lasciando integro circa il 50% del pane radicale, mentre alle piante spoglianti si può togliere completamente il terriccio, usando lo specifico rastrellino/paletta. Oltre a scegliere una giornata senza vento, per non far asciugare le radici capillari, è consigliabile preparare una vaschetta con acqua e vitamina B, nella quale immergere l’apparato radicale dopo averlo opportunamente accorciato.

CONCIMAZIONE: in gennaio si può procedere alle prime concimazioni delle piante rinvasate in dicembre, usando fertilizzanti a lenta cessione (tipo Bio-Gold, Hanagokoro, ecc.) Per le altre piante, invece, conviene aspettare ancora un’altro mese.

APPLICAZIONE FILO: A gennaio si può iniziare ad applicare il filo di alluminio o di rame sui rami da modellare; lo spessore del filo deve essere adeguato alla grandezza e alla flessibilità del ramo (le conifere, che sono più elastiche, abbisognano di fili più fini rispetto alle latifoglie) perciò, conviene disporre di misure diverse. Ricordarsi di avvolgere il filo con una angolazione di 45° (se le spire sono troppo ravvicinate, il filo non tiene) partire avvolgendo i rami più grossi e arrivando ai più sottili).

TRATTAMENTI ANTIPARASSITARI: gennaio è il mese ideale per effettuare i trattamenti preventivi contro i nemici più insidiosi, sia vegetali (ruggine, cancro, peronospora ecc.) sia animali (ragno rosso, cocciniglia, afidi ecc.) in modo da creare una barriera protettiva prima del periodo primaverile in cui “si svegliano” tutti i parassiti. Una difesa efficace è rappresentata da trattamenti quindicinali, di anticrittogamico e insetticida.

 

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Corylus (Nocciolo)

Il nocciolo è una albero da frutto coltivato anche nell’orto familiare e nei giardini di campagna come cespuglio isolato o a siepe informale.
Caratteristiche del Nocciolo – Corylus avellana
Il nocciolo, nome scientifico Corylus avellana L., è un albero da frutto della famiglia delle Betulaceae originario dell’Asia Minore (Mesopotamia) diffuso in molti paesi Europei. In Italia lo si trova dalla pianura fino a circa 1300 metri di altitudine nelle regioni del Nord come il Piemonte e in quelle centrali-meridionali come Lazio, Campania e anche in Sicilia.
Questa pianta del genere Corylus, è dotata di un robusto ma poco profondo apparato radicale di tipo fascicolato. La parte aerea, a portamento cespuglioso, è formata da fusti sottili alti 2 metri che in pieno sviluppo possono superare anche i 4 metri di altezza. La corteccia lenticolare e con varie fessure longitudinali è di colore marrone grigiastra.
Le foglie di colore verde-chiaro, hanno forma ovoidale, margini seghettati e sono più pelose nella nella pagina inferiore. Le foglie sono disposte sui rami in maniera alterna e sono sorrette da un un lungo picciolo.
Il nocciolo è una pianta monoica con fiori unisessuali maschili e femminili portati sulla stessa pianta.
Il fiore maschile detto amento è un’infiorescenza a grappolo pensile formata da numerosi stami ricchi di polline che compare sui rami nudi dell’albero alla fine dell’autunno e vi permane per tutto l’inverno. Gli amenti generalmente sono riuniti in gruppi di 2-4 nelle intersezioni ascellari delle foglie dell’anno precedente.
Il fiore femminile, racchiuso in una piccola gemma, nel periodo della fioritura, tra febbraio-marzo, emette un ciuffo di stimmi di colore rosso porpora destinato ad accogliere il polline del fiore maschile trasportato dal vento. L’impollinazione è pertanto anemofila.
Il frutto, diclesio o nucula, è una nocciola sferoidale avvolta da brattee verdi e protetta esternamente da un guscio verde chiaro, sottile che a maturazione diventa legnoso e assume il caratteristico colore marrone. In piena maturazione, di norma tra agosto-settembre, le brattee seccano e si aprono lasciando cadere al suolo le nocciole.
Coltivazione del Nocciolo
Esposizione: è una pianta cespugliosa che ama il luoghi esposti al sole anche se non disdegna quelli semiombrosi con la luce filtrata dai rami di altre piante. L’esemplare adulto non teme il vento e il freddo mentre quello giovane teme il caldo afoso e le gelate soprattutto se tardive.
Terreno: pur adattandosi a qualunque tipo di terreno predilige quello non calcareo a medio impasto, a pH neutro, mediamente ricco di sostanza organica e soprattutto ben drenato. Nel terreno agrario con ristagni idrici l’apparato radicale tende a marcire mentre se troppo calcareo le foglie soffrono la clorosi ferrica.
Annaffiature: il nocciolo è una pianta che ama il terreno costantemente umido quindi va irrigata costantemente e frequentemente per evitare uno squilibrio vegetativo e la produzione dei frutti. In carenza di acqua il nocciolo produce infatti scarsi germogli e rade gemme di fiori femminili. Il nocciolo va innaffiato nei periodi di siccità e quanto le precipitazioni piovose scarseggiano: l’apparato radicale del nocciolo, non molto sviluppato in profondità, non riesce a procurarsi l’acqua necessaria da solo. La pianta giovane, nei primi due anni di vita, va irrigata due volte alla settimana con almeno 10 litri di acqua.
Concimazione: la concimazione è importante per ottenere buoni ed abbondanti raccolti ogni anno. Durante l’allevamento del nocciolo, di norma si effettuano tre tipologie di concimazioni in periodi diversi:concimazione primaverile di fondo quando si mettono a dimora le piante. I concimi adatti all’impianto sono nitrato di ammonio o nitrato di calcio se il pH del terreno dovesse avere un pH acido;
concimazione di allevamento a partire dal II° al V° anno di impianto;
concimazione di produzione dal VI° anno di impianto in poi mediante la somministrazione in autunno e in primavera di fertilizzanti organici misti composti da azoto (N), fosforo (P) e potassio (K) con titolo diverso: 4-8- 16 (autunnale) e a titolo 2-1-3 o l 12-6-18 (primavera). Oltre ai macroelementi, è indispensabile per lo sviluppo delle piante e l’allegagione, anche l’apporto di microelementi quali magnesio, boro e zinco.
Moltiplicazione del Nocciolo
La pianta di nocciolo si riproduce per seme ma oggi viene propagata mediante l’uso dei polloni, per margotta e per propaggine.
Moltiplicazione per seme
Questa tecnica viene poco praticata perchè molto lenta e le piante di nocciolo, a causa della ricombinazione genica, sono diverse da quella madre. Se si vuole comunque provare a riprodurre il nocciolo con questo metodo, prima di effettuare la semina per favorire la germinazione, i semi o nocciole (sgusciate) vanno ammollate per 2 giorni in acqua fredda. Le nocciole sane e prive di muffa si seminano in autunno e le piantine potranno essere trapiantate in piena terra solo dopo il secondo anno di vita.
Propagazione per asportazione dei polloni
E’ il metodo più diffuso e che assicura esemplari con le stesse caratteristiche della pianta originale.
Con attrezzi specifici ben affilati e disinfettati si asportano i polloni radicati che crescono alla base della pianta di nocciolo. consiste Il sistema più semplice e diffuso per la propagazione del nocciolo è l’uso di polloni provenienti da ceppaie certificate, in cui si abbia la sicurezza di ottenere esemplari dalle stesse caratteristiche della pianta madre.

Le piantine vanno allevate in vivaio per 1-2 anni prima di essere messe a dimora definitiva e nel frattempo vanno curate con attenzione e irrigate frequentemente facendo attenzione che il terreno sia costantemente umido ma non fradicio.
Propagazione per margotta
Un altro metodo di propagazione molto diffuso è la margotta di ceppaia. Si pota alla base del terreno una ceppaia di almeno tre anni di vita in modo da stimolare l’emissione di una grande quantità di polloni che nel mese di giugno vanno strozzati a livello del colletto con anello metallico e ricoperti poi con terriccio. La strozzatura stimola l’emissione di radici sopra la stessa e quando saranno abbastanza sviluppate, la piantina potrà essere staccata e messa a dimora direttamente.
Propagazione per propaggine
Un’ altra tecnica molto semplice e che assicura esemplari di nocciolo identici alla pianta madre. La propaggine, va fatta, come per la Vite vinifera, la vite americana, il Glicine ed altre piante rampicanti, nel curvare al livello del terreno un pollone dell’anno della pianta madre, scortecciarlo per circa 1 cm in quel punto,coprirlo con il terreno e fissarlo ad esso con uno o due ganci ad U. A radicazione avvenuta, il pollone va staccato dalla pianta e messo a dimora definitiva.
Impianto o messa a dimora del Nocciolo
La messa a dimora del nocciolo si effettua nel periodo autunno-inverno da novembre a marzo, periodo in cui la pianta non subisce traumi in quanto è a riposo vegetativo.
Per la piantumazione generalmente si utilizzano piante di 2 anni di età, a radice nuda, dotate di un apparato radicale sano e ben sviluppato. Il terreno destinato ad accogliere la pianta va lavorato almeno 2-3 mesi prima dell’impianto fino a circa 60 -80 cm di profondità per un esemplare alto più di 1,5 metri ed arricchito con una concimazione di fondo a base di letame maturo. La buca deve essere profonda 60 x 80 cm e la pianta di nocciolo va inserita in essa fino a pochi centimetri da colletto per evitare lo sviluppo di polloni basali che sottraggono energia e nutrienti indispensabili per la crescita e la fruttificazione. La produzione del nocciolo avviene al quinto o sesto anno dalla messa a dimora, è massima verso l’ottavo anno e dura stabilmente anche fino ai 30-40 anni. Da una pianta adulta si possono ottenere circa 5 kg di nocciole.
Potatura del Nocciolo
La potatura è necessaria sugli esemplari adulti per conferire loro un’armonia di forma e il giusto equilibrio fra attività vegetativa e produttiva, scongiurando così il fenomeno dell’alternanza. Si eliminano i rami secchi, i succhioni troppo vigorosi e per stimolare la produzione di nuova vegetazione si accorciano quelli dell’anno precedente di circa la metà. I tagli come sempre devono essere obliqui per favorire lo sgrondo dell’acqua piovana. Dopo la fioritura e prima della caduta degli amenti, si eliminano anche i rami sterili per evitare inutili dispendi di energia e favorire una fruttificazione abbondante. Gli esemplari giovanni vanno potati solo dopo il terzo anno sfoltendo i fusti del cespuglio ed eliminando alla base quelli in eccesso.
Per rinnovare completamente la vegetazione, ogni 10 anni, si può effettuare anche una potatura drastica della ceppaia (cippatura), tagliando alla base i rami e i polloni. Il periodo migliore per praticare la potatura sul nocciolo è quello invernale quando la pianta è a riposo vegetativo.
Raccolta delle nocciole
Le nocciole si raccolgono a metà agosto mese in cui sono mature e libere dalle brattee secche iniziano a cadere al suolo. Per non disperdere i frutti e per agevolare la raccolta si predispone sotto la chioma del nocciolo una rete in plastica come si fa normalmente per la raccolta delle olive.
Dopo la raccolta, si passa all’essiccazione delle nocciole. le nocciole devono essere essiccate all’aria su graticci su cui rigirarle spesso e dopo l’essiccazione vanno conservate in locali asciutti e a temperature di circa 15 °C, meglio se all’interno di materiale traspirante come sacchi di carta o di juta per essere consumate come frutta secca; in pasticceria e gelateria per la preparazione di dolci e gelati e note creme spalmabili come la nutella e il gustoso croccante di nocciole..
Parassiti e malattie del nocciolo
Il nocciolo pur essendo una pianta da frutto rustica abbastanza resistente alle avversità climatiche è sensibile ad alcune malattie fungine o crittogame come:
il marciume delle radici se il terreno di coltivazione è soggetto a ristagno idrico e la patologia si manifesta con imbrunimenti spugnosi alla base della pianta;
l’oidio o mal bianco semplice da riconoscere per la presenza sulle foglie di depositi polverosi biancastri;
il mal dello stacco che generalmente attacca i noccioli più vecchi e si manifesta con macchie bruno rossastre sulla corteccia e sui rami.
Il nocciolo può anche essere colpito da alcune infezioni batteriche come lo Xanthomonas campestris, un batterio che provoca l’accartocciamento e l’essiccazione precoce delle foglie e dei teneri germogli.
Tra le infestazioni parassitarie del nocciolo le più comuni sono :
l’Agrilo, un insetto che scavando gallerie nelle pertiche e nelle branche del nocciolo provoca l’ingiallimento della chioma e il disseccamento della pianta;
il Balanino, che con il suo rostro buca le foglie e le nocciole immature;
la Cimice del nocciolo che provoca con le sue punture l’avvizzimento o l’irrancidimento dei frutti;
il Cerambice del nocciolo, un insetto polifago che scavando delle gallerie circolari all’interno dei rami ne provoca il disseccamento e la frattura.
Cure e trattamenti
Liberare la base del nocciolo dalle erbe infestanti; smuovere periodicamente il terreno per favorirne l’arieggiamento. In caso di infestazioni fungine e antiparassitarie effettuare dei trattamenti con prodotti a base di rame, nebulizzano tutte le parti della pianta in una giornata soleggiata e non ventosa. Contro il mal bianco o oidio sono efficaci le irrorazioni di bicarbonato di sodio. Le piante infette e fortemente compromesse vanno estirpate e bruciate per evitare la diffusione delle infestazioni a quelle vicine.
Varietà di nocciole
Tra le tante varietà ricordiamo: la più famosa in tutto il mondo è sicuramente la Tonda gentile trilobata coltivata in Piemonte che viene impollinata bene dalla varietà Tonda Gentile Romana, che fiorisce nello stesso periodo e che è diffusa nel Lazio.

Tra le varietà più diffuse in Campania invece ricordiamo:

la nocciola Tonda di Giffoni, una delle varietà più pregiate con forma perfettamente rotondeggiante e polpa bianca, consistente e dal sapore gradevolmente aromatico,
la nocciola Mortarella che produce frutti più piccoli e dalla forma leggermente allungata;
la nocciola San Giovanni, una varietà diffusa nell’avellinese e nel napoletano, con forma allungata, lievemente compressa ai lati, guscio color marrone chiaro seme medio piccolo ma di buon sapore.
Usi del nocciolo
Il nocciolo viene coltivato anche per consolidare i terreni franosi e in questo caso le piante vanno messe a distanza di 3-5 metri tra loro. Il legno viene utilizzato per la produzione delle carbonelle da disegno e della polvere pirica.
Curiosità
I gusci delle nocciole vengono usati come combustibile e per la produzione di una preziosa fibra alimentare come risulta dalle ricerche fatte dagli esperti della Ferrero l’azienda famosa in tutto il mondo soprattutto per la produzione della nutella.

 

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Cotinus

L’Albero della nebbia o Cotino è un arbusto o piccolo albero, a foglie caduche, originario dell’Europa; gli esemplari adulti possono ragiungere dimensioni vicine ai tre metri di altezza. Il suo nome scientifico è Cotinus coggygria.

Ha portamento eretto, tondeggiante, con chioma densamente ramificata e abbastanza disordinata; i rami hanno corteccia verdastra, che diventa grigia con il passare delgi anni, abbastanza liscia.

Le foglie sono ovali, con picciolo molto lungo, di colore verde brillante, ma esistono numerosi cultivar con foglie rosso porpora, marrone o giallo; in primavera produce grandi infiorescenze costituite da piccoli fiorellini gialli, che in estate lasciano il posto ai frutti, drupe semilegnose circondate da una lunga peluria rosata, che rende l’infruttescenza simile ad una palla di bambagia sottile e piumosa.

Se non si ama il fiore, molto particolare, ma si preferiscono le foglie, si può potare in autunno la pianta a circa 30-40 cm dalla base, in questo modo l’anno successivo non fiorirà, ma produrrà numerose foglie molto colorate. C. obovatus è una specie americana di dimensioni vicine ai 7-8 m di altezza, con foglie verdi.

Esposizione
L’Albero della nebbia o Cotino è un arbusto decorativo che necessita di posizioni in pieno sole, in zone ben ventilate; non teme il freddo, e sopporta senza problemi i periodi torridi di luglio e agosto. Il Cotinus coggygria non risente del clima freddo, ma quando le temperature si abbassano notevolmente, sarebbe utile proteggere le piante più giovani, ponendo alla base della paglia o delle foglie, oppure del pacciame per fare in modo che le radici e il fusto rimangano protetti, data la maggiore sensibilità di questi arbusti. Per un’esposizione ideale sarebbe preferire collocare il Cotino in una zona in cui possa ricevere almeno alcune ore di sole al giorno, così da garantirgli il corretto habitat.

Coltivazione
Il Cotinus coggygria non va annaffiato eccessivamente perchè può risentire moltissimo dei ristagni d’acuqa che possono formarsi. Da marzo a ottobre annaffiare regolarmente, almeno ogni settimana, lasciando asciugare bene il terreno tra un’annaffiatura e l’altra; il cotino sopporta senza problemi brevi periodi di siccità. In inverno sospendere le annaffiature. Se l’Albero della nebbia viene coltivato in vaso allora presenta alcune esigenze diverse; sarà necessario provvedere a maggiori irrigazioni in quanto la terra a sua disposizione sarà minore e non potrà ricavare giovamento dell’umidità presente nella piena terra.

In autunno fornire poco concime granulare a lenta cessione, senza eccedere: terreni troppo ricchi ed eccessi di concimazioni causano il colore spento e slavato delle foglie.
Terreno

L’Albero della nebbia preferisce terreni profondi, molto ben drenati, non troppo ricchi; si sviluppa comunque senza alcun problema in qualsiasi terreno. Nel metterlo a dimora non dimenticare di mescolare il terreno con della sabbia di fiume, per aumentare il drenaggio, così da evitare pericolosi ristagni d’acqua. Alla fine dell’inverno è consigliare aggiungere al terreno del buon concime organico che ci garantirà una vigorosa fioritura. Nel periodo primaverile sarà poi possibile concimare periodicamente.

Moltiplicazione
Questa pianta si può propagare in primavera, seminando i semi dell’anno precedente, possibilmente in contenitore; volendo in primavera e in autunno si possono prelevare delle talee semilegnose, che vanno fatte radicare in un miscuglio di sabbia e torba in parti uguali.
Parassiti e malattie
Difficilmente il cotinus viene attaccato da parassiti o da malattie, anche se può capitare che gli afidi rovinino i nuovi germogli. Con l’arrivo della primavera, prima dello sviluppo dei germogli sarebbe opportuno intervenire con un trattamento insetticida ad ampio spettro che prevenga i possibili attacchi dei parassiti e anche con un intervento con sostanze fungicide che contrastino gli effetti che possono essere causati dalla presenza di funghi che si sviluppano quando c’è molto umidità.

 

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Cotoneaster o cotonastro

Il Cotonastro è una varietà originaria della Cina e dell’Himalaya.

Il genere conta specie di arbusti a foglie decidue o sempreverdi, a portamento variabile, eretto o prostrato. Le specie decidue in autunno si ricoprono di colori vivaci, le sempreverdi sono adatte a formare siepi e quelle prostrate per coprire il terreno.

I cotoneaster sono un genere, della famiglia delle Rosaceae, comprendente più di 200 specie principalmente di arbusti (ma anche alcuni alberi) provenienti da tutto il continente europeo fino all’estremo oriente.

Le varietà utilizzate in giardino sono quasi tutte di origine asiatica e, negli anni, sono state selezionate creando moltissime cultivar che risultano ognuna caratterizzata da portamenti, usi e estetiche differenti al punto che è difficile non trovarne una che risponda alle nostre esigenze e al nostro gusto.

Le foglie
Essendo una specie che conta numerosissime varietà, al suo interno è possibile trovare esemplari con caratteristiche anche molto diverse tra loro.

In genere le foglie sono piccole e di colore verde brillante, che diventano rossastre in autunno.

Tuttavia nella grande moltitudine di tipologie che esistono all’interno della specie, è possibile trovare differenze nella caducità del fogliame, distinguendo così almeno tre gruppi; uno con foglie decidue, uno con piante che presentano fogliame persistente ed, infine, quello con piante semi-sempreverdi.

La scelta
Se decidiamo di inserire questo arbusto nel nostro spazio verde dovremo, prima di tutto, interrogarci su cosa vogliamo e quale funzione dovrà assolvere.

Prima di tutto è bene precisare che il clima dove viviamo è una discriminante importante. Infatti vi sono cotoneaster che nelle regioni calde possono risultare sempreverdi, mentre altrove perderanno le foglie.

Altri invece saranno decidui o sempreverdi ovunque.

Un’altra discriminante da tenere presente è senza dubbio il portamento, quindi l’uso che dobbiamo farne e anche le dimensioni finali che potrà raggiungere.

Infine vi è una variabile puramente estetica che riguarda il colore e forma dei frutti e dei fiori: ormai si possono trovare cultivar davvero varie, con bacche rosse, arancioni o anche nere.

Coltivazione

La coltivazione dei cotoneaster è tra le più semplici in assoluto. Si tratta di piante molto resistenti che necessitano di cure soltanto sporadiche e anche gli attacchi da parte di parassiti o crittogame risultano essere eccezioni.

I fiori
Il Cotonastro presenta una fioritura con fiori a stella, bianchi o rosa. In estate i fiori danno frutti ovoidali di colore rosso.

Esposizione

La posizione ideale per il cotoneaster è senza dubbio il pieno sole. Il Cotonastro tollera però piuttosto bene anche la mezz’ombra.

È invece da evitare l’ombra completa. Questa infatti causa una crescita filata e poco armonica oltre ad influire pesantemente sia sulla fioritura sia sulla conseguente produzione di bacche decorative. L’arbusto, quindi, perderebbe una delle sue attrattive principali.

Temperatura

Il cotonastro resiste al freddo e agli sbalzi termici.

Annaffiature

Non sopporta la siccità, Il terreno deve essere continuamente innaffiato fino alla fine del periodo caldo. Intervenire con irrigazioni è necessario soltanto durante il primo anno dall’impianto. In seguito le piante risulteranno sempre più autonome.

Per incentivare la crescita, la fioritura e la fruttificazione possiamo distribuire, all’inizio della primavera, una buona quantità di fertilizzante granulare a lenta cessione, possibilmente con un buon tenore in fosforo e potassio.

Fertilizzazione

In primavera e in estate, è necessaria una pacciamatura formata da uno strato di circa otto centimetri di terra da giardino, letame o torba bagnata.

Riproduzione

In autunno il cotonastro si moltiplica con i semi tratti dalle bacche mature, seminandoli in cassone freddo. I semi germinano dopo sei-dodici mesi e quindi si trapiantano.

Terreno

Cresce bene nei terreni argillosi e ben drenati, senza ristagni.

Parassiti e malattie

In estate il fusto e le foglie possono essere attaccate dagli afidi e dalle cocciniglie, che rendono le piante fuligginose e appiccicaticce. Il mal del piombo attacca le foglie che diventano grigio argento e i rami che si seccano.

Come abbiamo già detto si tratta di un arbusto molto resistente. Può occasionalmente venire colpito da insetti o crittogame, ma raramente si rende necessario un intervento con fitofarmaci.

Bisogna invece prestare particolare attenzione nel caso si manifestasse il “colpo di fuoco batterico”, una batteriosi che colpisce in maniera particolare tutte le piante facenti parte della famiglia delle rosaceae. È molto diffusa nell’Italia Centro-Orientale.

È molto importante monitorare con attenzione le piante (e acquistarle soltanto in vivai specializzati), in particolar modo le foglie e i fiori che, quando negli esemplari contagiati, deperiscono velocemente.

Purtroppo è una malattia contro la quale non vi sono rimedi se non quello di arginare e distruggere i focolai. Tenere sempre sotto controllo il giardino è quindi di fondamentale importanza.

Potatura

Nelle specie a foglia caduca si effettua a fine inverno. Nelle sempreverdi all’inizio della primavera.

I cotoneaster utilizzati come coprisuolo devono essere potati soltanto per rimuovere il legno morto o danneggiato. Si può intervenire eventualmente anche per garantire la simmetria, ma sempre con grande accortezza.

Gli arbusti di stazza piccola possono essere ripuliti dai rami più vecchi, all’inizio della primavera, per incoraggiare la nascita di nuovi.

Se la taglia è invece media o grande l’ideale è intervenire il meno possibile lasciando che la pianta assuma il suo naturale portamento a fontana. Questa è sicuramente la miglior scelta, specialmente se il cotoneaster è coltivato in purezza creando una siepe.

Se si rendesse indispensabile intervenire ricordiamoci sempre che bisogna cercare di mantenere il più possibile la forma spontanea, senza forzarli a diventare arbusti formali. Questi interventi vanno ad ogni modo effettuati prima di febbraio in maniera da influire il meno possibile sulla fioritura e di conseguenza sulla produzione di frutti.

 

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Crataegus laevigata

Il genere crataegus comprende circa duecento specie di alberi ed arbusti a foglia caduca, originari dell’Europa, dell’Asia e del nord America; hanno portamento eretto e producono una chioma disordinata, gli arbusti raggiungono i 3-4 metri di altezza, gli alberi raggiungono un’altezza massima di 6-8 metri. Le foglie sono di colore verde scuro, caduche. In primavera il Biancospino, Crataegus Laevigata produce piccoli fiori a cinque petali, di colore bianco o rosato, semplici; esistono numerosi ibridi con fiori dai colori vistosi, spesso doppi o stradoppi. In estate ai fiori succedono bacche ovali, di colore rosso, che in genere rimangono sulla pianta per tutto l’inverno. I frutti sono commestibili, e possono essere utilizzati per preparare delle gustose confetture.

Esposizione

Il Biancospino, Crataegus Laevigata è una pianta piuttosto rustica e non necessita di particolari attenzioni per la sua coltivazione. Queste piante prediligono posizioni soleggiate o semiombreggiate; la gran parte delle specie non teme il freddo. Sono alberi ed arbusti molto vigorosi e robusti, resistenti alle intemperie ed all’inquinamento, vengono infatti spesso utilizzati nelle alberature stradali. Ovviamente le differenti condizioni di esposizione influenzeranno la crescita della pianta e il suo sviluppo fogliare. Con un’esposizione soleggiata il biancospino avrà una maggiore forze e produrrà una fioritura più rigogliosa.

Annaffiature

Il biancospino, Crataegus Laevigata, è una pianta piuttosto resistente e, in genere, le diverse varietà si accontentano delle piogge, ma é consigliabile annaffiare in estate gli esemplari da poco messi a dimora, attendendo che il terreno asciughi perfettamente tra un’annaffiatura e l’altra. Ovviamente è utile fare una distinzione tra piante poste in piena terra, e esemplari coltivati invece in vaso. Per questi ultimi le esigenze sono diverse, in quanto la terra a loro disposizione è minore e subisce più in fretta il processo di essiccazione. Quando invece, il biancospino è messo a dimora in piena terra, riuscirà a sfruttare meglio l’umidità del terreno e le sue esigenze saranno minori. Ovviamente, nei periodi di maggiore siccità ci sarà bisogno di annaffiature più frequenti per contrastare glie effetti del clima caldo.

Terreno

I Biancospino, Crataegus Laevigata crescono senza problemi in qualsiasi terreno, prediligendo un terreno calcareo, non particolarmente ricco di materiale organico, ma soffice e profondo. Il terreno ideale per questa pianta dovrebbe essere ben drenato, per evitare possibili pericolosi ristagni d’acqua che potrebbero danneggiarla e dovrebbe consentire lo sviluppo libero delle radici, così da avere una crescita maggiore.

Varietà

la C. Coccinea originaria dell’America Settentrionale è un piccolo albero dalla chioma espansa, formata da rami spinosi. Le foglie sono verde scuro, ovali, dentate ai margini e diventano rosse in autunno. Fiorisce a maggio con fiori bianchi. I frutti sono rossi e tondeggianti.

C. Crus-Galli è originaria dell’America nord orientale, alta cinque-nove metri, i rami sono spinosi, le foglie ovali e seghettate, verde scuro, lucide, in autunno diventano di colore rosso. In giugno compaiono fiori bianchi; per tutto l’inverno da frutti rossi

C. Monogyna ha orgini in Europa, è alta cinque-sette metri, arbusto spinoso ramificato, le foglie sono lucide, verde chiaro con i margini seghettati. In maggio fiorisce, i fiori sono bianchi e profumati; i frutti piccoli color rosso vivo maturano in autunno.

 

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Cytisus (Ginestra)

Cytisus L., 1753 è un genere di piante spermatofite dicotiledoni appartenenti alla famiglia Fabaceae dall’aspetto di piccoli arbusti perenni e dai fiori papilionacei.
Etimologia
Il nome del genere (Cytisus) secondo alcune etimologie deriva dalla parola greca kutisus un nome per una specie di trifoglio (in riferimento alla forma delle foglie); secondo altre etimologie “Cytisus” è una denominazione latina che discende da un preesistente vocabolo greco kytisos di incerta etimologia (potrebbe derivare da qualche idioma dei primi abitatori dell’Asia Minore).; secondo altre etimologie ancora deriva dalla parola greca kýtos (= cavità).
Il nome scientifico del genere è stato proposto da Carl von Linné (1707 – 1778) biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione “Species Plantarum” del 1753
Descrizione

I dati morfologici si riferiscono soprattutto alle specie europee e in particolare a quelle spontanee italiane.
In genere sono piante suffrutici, infatti la forma biologica prevalente in questo genere è del tipo camefita suffruticosa (Ch suffr), ossia sono piante perenni e legnose alla base, con gemme svernanti poste ad un’altezza dal suolo tra i 10 ed i 40 cm (massimo 50 cm); nella stagione fredda le porzioni erbacee si seccano e rimangono in vita soltanto le parti legnose e ipogee. In alcune specie le piante sono spinose.
Fusto

I fusti sono legnosi e molto ramosi con portamento prostrato-ascendente.
Foglie

Le foglie sono trifogliate (a tre segmenti o lobi o foglioline) di forma ellittica con apice acuto oppure sono semplici
Infiorescenza

L’infiorescenza è composta da fiori isolati posti all’ascella delle foglie superiori. A volte alla base dei fiori sono presenti delle brattee di tipo fogliare.
Fiori

I fiori sono ermafroditi, pentameri, zigomorfi, eteroclamidati (calice e corolla ben differenziati) e diplostemoni (gli stami sono il doppio dei petali).

Formula fiorale:

K (5), C 3+(2), A (5+5), G 1 (supero)

Calice: il calice è del tipo tubulare (gamosepalo) assai più lungo che largo (mediamente è lungo il doppio dei denti) e termina con 5 denti acuti; il calice è bilabiato in quanto i 5 denti sono raggruppati in due denti superiori brevi e tre inferiori più lunghi.
Corolla: la corolla, (a 5 petali) è del tipo papilionaceo dialipetalo: ossia un petalo centrale è più sviluppato degli altri, ripiegato verso l’alto (vessillo spatolato); altri due petali intermedi (le ali) sono liberi e in posizione laterale; mentre i rimanenti due, inferiori, (= carena) sono concresciuti e inclusi nelle ali, al loro interno è contenuto l’androceo e il gineceo.
Androceo: gli stami sono 10 connati (saldati in un fascio unico = monadelfi).
Gineceo: lo stilo è unico e ricurvo su un ovario supero formato da un carpello uniloculare. Lo stigma è apicale.

Frutti

Il frutto è un legume glabro appiattito di tipo deiscente. I semi (giallastri e scuri) alla base presentano una appendice callosa.
Riproduzione

Impollinazione: l’impollinazione avviene tramite insetti (impollinazione entomogama).
Riproduzione: la fecondazione avviene fondamentalmente tramite l’impollinazione dei fiori (vedi sopra).
Dispersione: i semi cadendo a terra sono dispersi soprattutto da insetti tipo formiche (disseminazione mirmecoria).

Distribuzione e habitat
Sono piante che si trovano soprattutto nell’emisfero boreale e nelle zone di tipo mediterraneo, su terreni calcarei. In Italia sono presenti sia al nord che al sud; mentre nell’Europa si trovano in prevalenza al centro-sud.

Vedere
Ginestra dei carbonai
Ginestra odorosa
Ginestra spinosa

nella pagina relativa alle piante Mediteranee  >>>>Vai alla pagina Piante Mediterranee

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Danae

Descrizione

La Danae racemosa è un arbusto facente parte della famiglia delle Asparagaceae. L’altezza è compresa tra 100 e 150 cm può essere tenuta anche dove non c’è molto spazio, la larghezza va da 100 a 150 cm. Affinché la pianta raggiunga il suo sviluppo massimo sono necessari mediamente 10-20 anni. Le foglie di questa specie sono persistenti. La coltivazione può essere fatta in: giardino informale, giardino di ghiaia, giardino mediterraneo, vaso o contenitore, giardino architettonico, terrazzo o cortile, giardino roccioso, prato o in pieno campo, giardino fiorito, giardino di campagna, giardino costiero, giardino sub-tropicale.
Terreno

Il substrato più indicato per la coltivazione della pianta di Danae racemosa può essere variabile, quelli che possono dare maggiori risultati sono di tipo: gessoso, grasso, sabbioso e argilloso. Il terreno di coltivazione può avere un pH: acido, alcalino e neutro.
Esposizione

La posizione rispetto alla luce può essere in pieno sole, mezza ombra, ombra. L’orientamento rispetto ai punti cardinali non è fondamentale si adatta a tutte le posizioni. La D. racemosa ha una resistenza al freddo considerevole. Nel periodo di dormienza invernale sopravvive a temperature comprese tra -15 e -9 gradi.
Il lauro alessandrino è una specie di provenienza orientale, originaria dalla Grecia, Turchia e altre zone dell’Asia minore; introdotto in Italia attorno al 1700 a scopo ornamentale, è attualmente coltivata in parchi e giardini. È presente allo stato spontaneo come avventizia in gran parte dell’Italia settentrionale e in Toscana. Nell’area metropolitana di Roma la specie è coltivata come pianta ornamentale, talvolta presente allo stato subspontaneo. Arbusto di aspetto simile al pungitopo, è una specie perenne assai decorativa grazie ai fusti modificati e appiattiti (cladodi) che raggiungono il metro di lunghezza, di color verde brillante poiché assumono le funzioni fotosintetiche. Una volta recisi i cladodi mantengono a lungo l’aspetto originario: per questo motivo il lauro alessandrino viene coltivato dai floricoltori che lo utilizzano nelle composizioni floreali. Si adatta a tipi diversi di terreno, resiste a fitopatologie e ad attacchi fungini, è facilmente coltivabile e può essere riprodotta per via vegetativa semplicemente frazionando i cespi. Ama luoghi ombreggiati e allo stato spontaneo vegeta nel sottobosco, dove le fronde degli alberi offrono protezione dall’eccessiva luminosità. Il genere è dedicato alla figura mitologica di Danae, madre di Perseo. Il nome specifico, che deriva da ‘racemus’, grappolo, allude alla struttura dell’infiorescenza. Viene detto anche lauro dei poeti, perché si pensa che i lunghi getti curvi e flessibili di Danae racemosa venissero intrecciati per farne corone per poeti, atleti o persone illustri. Forma biologica: nanofanerofita cespugliosa. Periodo di fioritura: giugno-luglio.

 

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Daphne

Il genere Daphne (o Dafne) conta circa una settantina di specie di piante erbacee suffruticose, e arbusti, originarie dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa, di cui circa una decina sono presenti anche nella flora spontanea italiana; si distinguono due grandi gruppi, ovvero le dafne sempreverdi e le dafne a foglia caduca; si tratta in generale di piccoli cespugli, che vanno dalle specie nane alpine, che non superano i 10-15 cm di altezza, tappezzanti, fino alle specie più grandi, che costituiscono ampi arbusti, alti fino a 100-150 cm o anche di più. Hanno foglie ovali, alterne, sempreverdi e coriacee, o caduche; alcune specie a foglia caduca producono i fiori prima delle foglie, cosa che le rende molto appariscenti e decorative. I fiori sono piccoli, costituiti da 4 sepali, di colore rosato, giallo o verdastro, caratterizzati da un profumo intenso e gradevole; sbocciano tipicamente in racemi all’ascella fogliare, o in cime all’apice dei rami giovani; in alcune specie i fiori sbocciano invece lungo i rami. La gran parte delle specie di dafne sono molto adatte per il giardino roccioso, le specie arbustive invece si adattano a produrre siepi (soprattutto nel caso di specie sempreverdi) o come esemplari singoli. La coltivazione non è difficile, soprattutto per quanto riguarda le specie presenti in natura nel nostro paese, che sono quindi ben adattate al clima della nostra penisola.

Daphne mezereum

Anche detta fior di stecco, questa dafne ha foglie caduche, e si sviluppa in tutta Italia, ai bordi dei boschi, e anche nei terreni incolti, spesso a circa mille metri sul livello del mare; il nome deriva dal fatto che i fiori di mezereo sbocciano a fine inverno, prima che la pianta produca le foglie, direttamente sui fusti dell’anno precedente, cosa che da alla pianta l’aspetto di un arbusto secco su cui sono stati incollati dei piccoli fiori di colore rosa intenso. Il profumo dei fiori è molto intenso, ed è avvertibile anche a grande distanza dal piccolo arbusto, che in genere non supera il metro di altezza; ai fiori seguono le foglie lanceolate, allungate, di colore verde chiaro, ed i frutti: piccole drupe di colore rosso vivace, velenose. Predilige luoghi soleggiati, con terreno calcareo e abbastanza fresco e umido.

Daphne odora

Arbusto sempreverde originario dell’Asia, molto coltivato in Cina e Giappone; ha foglie ovali, appuntite, abbastanza coriacee, di colore verde scuro; a fine inverno o inizio primavera all’apice dei rami produce ampi racemi, costituititi da piccoli fiori di colore rosa, molto profumati; i fiori della pianta vengono utilizzati in Giappone per profumare la biancheria, come si fa in Europa con la lavanda. Pianta resistente al freddo, predilige luoghi semi-ombreggiati, e un terreno molto ben drenato, leggermente acido. Non ama il forte calore estivo, quindi in Italia è consigliabile posizionarla in una zona del giardino abbastanza fresca, lontano dai caldi raggi solari dei lunghi pomeriggio di luglio.

Daphne pontica

Arbusto sempreverde, originario delle zone Caucasiche e della Turchia; produce grandi foglie coriacee, di colore verde scuro, lanceolate; in primavera all’apice dei rami sbocciano piccoli fiori a stella, di colore giallo verde, riuniti in racemi tondeggianti. Questa daphne è molto tollerante dell’ombra, e può essere coltivata anche al di sotto di conifere, con una forte ombreggiatura. I fiori sono molto profumati, e sono seguiti da piccole drupe, che divengono nere a maturazione, in autunno. Predilige terreni ricchi e fertili, non eccessivamente asciutti, ma teme il ristagno idrico.

Daphne laureola

Arbusto sempreverde, che si mantiene in genere al di sotto dei 150 cm di altezza, originario dell’Europa e del nord Africa; produce grandi foglie cuoiose, di colore verde scuro, e in primavera piccoli fiori verdastri, leggermente profumati, a cui seguono bacche scure, velenose per gli essere umani, ma gradite agli uccelli. Queste piante prediligono terreni alcalini e argillosi, ma si sviluppano in qualsiasi terreno, anche se non amano i ristagni idrici. Resistente al freddo, non ama le zone del giardino più calde e aride, soprattutto in primavera inoltrata e in estate.

Daphne cneorum

Piccolo arbusto tappezzante, sempreverde, diffuso in tutta Europa; raggiunge al massimo i 20-25 cm di altezza, con ogni singolo ramo, arcuato o strisciante, che si può allungare fino a 35-40 cm. Foglie lanceolate, di colore verde brillante, lucide e coriacee; in primavera, all’apice dei piccoli rami, sbocciano numerosi fiori di colore rosa intenso, riuniti in mazzetti, molto profumati. Diversamente dalla gran parte delle daphne, il cneoro ama terreni aridi e sassosi, con un ottimo drenaggio, ben soleggiati; è molto adatta nei giardini a bassa manutenzione o nel giardino roccioso. In Italia la troviamo nelle zone collinari o montuose, fino a circa 2000 m di altitudine.

Daphne alpina
Piccolo arbusto a foglie caduche diffuso in Europa meridionale e in Turchia; ha fusti e fogliame pubescenti, le foglie sono piccole, di colore verde scuro brillante; gli arbusti di daphne alpina sono piccoli, tondeggianti, densi, e in genere non superano il metro di altezza; i fiori sbocciano in primavera, riuniti in mazzetti, all’apice dei rami, sono di colore bianco, o verdastro, ed emanano un delicato e persistente aroma di vaniglia. Pianta molto decorativa, in Italia ed in tutta Europa è specie protetta, quindi di difficile reperimento in vivaio; predilige terreni calcarei, con un buon drenaggio, e posizioni abbastanza soleggiate. Molto simile alla varietà oleoides, che ha però fogliame sempreverde.

Daphne striata

Piccola pianta tappezzante tipica della flora alpina, diffusa nelle zone montuose europee; si sviluppa tra le rocce, sui pendii, nelle zone sassose delle Alpi, ben esposte al sole; non teme il freddo, ma non tollera il caldo estivo, soprattutto se coltivata in vaso o in aiuole molto soleggiate. Produce piccole foglie verdi, leggermente ruvide e coriacee, lanceolate, e piccoli fiori di colore rosa intenso, tubolari alla base, molto profumati, che sbocciano in primavera inoltrata o in estate.

Coltivazione

Nonostante esistano varie decine di specie di dafne, in vivaio ne troviamo poche, oltre a qualche ibrido interspecifico o qualche varietà orticola. C’è chi dichiara che le dafne siano tra le piante più facili da coltivare, che invece trova in essere il suo tallone d’Achille e non riesce a mantenerle in vita per più di 3-4 anni, o addirittura non riesce a vederle in fiore. In effetti sono sicuramente un arbusto di facile coltivazione in un fresco e umido giardino Giapponese o Britannico, mentre possono risultare un poco più esigenti in un soleggiato e secco giardino mediterraneo. La gran parte delle specie che si possono trovare in vivaio sono sempreverdi, ma esistono anche specie a foglia caduca; indifferentemente da questa caratteristica, le esigenze colturali sono molto simili: queste piante amano un terreno fertile, molto ben drenato e fresco, abbastanza umido, ma senza ristagno idrico; prediligono posizioni semiombreggiate, e in particolare si comportano come le clematidi: la testa deve stare al sole, i piedi all’ombra. Il trucco sta nel trovare il giusto equilibro tra una buona insolazione di rami giovani e foglie, e ombreggiatura per la base della pianta e per le delicate radici. Si perchè hanno un apparato radicale molto delicato, che non ama i ristagni idrici, ma neppure la siccità; tanto che giova loro mantenere sul terreno uno spesso strato di pacciamatura, che le difenda da cambiamenti climatici esterni. Il loro apparato radicale non ama neppure trapianti, rinvasi, trasferimenti di ogni tipo; conviene quindi trovare subito il posto più adatto, e lasciarvi la daphne per anni. A ogni rinvaso o trapianto, può corrispondere un biennio di assenza di fiori, o anche la morte dell’arbusto. Se no sconsiglia quindi la coltivazione in vaso. Le specie alpine, amano i giardini rocciosi, con terreno molto ben drenato, e posizioni soleggiate, ma evitando il caldo sole del pomeriggio. Per tutta la stagione vegetativa annaffiamo regolarmente, ma solo quando il terreno è asciutto, ed evitando i ristagni o i lunghi periodi di siccità. Gli arbusti non sono molto grandi, quindi generalmente non necessitano di potature, salvo una leggera pulitura dopo la fioritura.

Parassiti e malattie

Solitamente queste varietà di piante muoiono per pochi motivi, e in genere non si tratta di parassiti; un trapianto eseguito in modo brusco è uno dei motivi principali di morte per questi deliziosi arbusti. Un altro problema spesso è l’eccessivo calore estivo, soprattutto in periodi molto siccitosi. Le radici sono assai delicate, e il caldo estivo le dissecca rapidamente, oltre a questo, eccessi di annaffiature possono favorire la presenza di marciumi radicali, che possono risultare fatali per l’intera pianta. Sporadicamente queste piante possono essere invase dagli afidi, in primavera, che si annidano soprattutto sui teneri germogli.

 

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Deutzia

La Deutzia è un bellissimo arbusto da fiore di origine asiatica, ne esistono circa cinquanta specie, ma in coltivazione si trovano quasi esclusivamente ibridi, derivati da Deutzia glabra, Deutzia creata e Deutzia gracilis; hanno tutte un bel fogliame lanceolato o ovale, con il bordo frastagliato e spesso ricoperto da una sottile peluria, che viene prodotto in primavera; il portamento è eretto, e in genere non superano i due metri di altezza, ma esistono numerosi ibridi prostrati o nani, che si mantengono al di sotto dei 30-50 cm di altezza.

Il motivo per cui tutti noi dovremmo avere questa pianta in giardino, sta nella incredibile fioritura: questi arbusti producono in primavera inoltrata (aprile-maggio) una profusione di piccoli fiori bianchi a stella, delicatamente profumati; particolarmente appariscenti le varietà tappezzanti, che ricoprono viottoli e muretti di una cascata di fiori candidi. Gli ibridi più diffusi hanno fiori rosati, di diverse tonalità, dal rosa tenue fino quasi al violaceo.

Coltivazione

Questi arbusti si caratterizzano per una forte resistenza, anche in condizioni di coltivazione no ideali, e anche in giardini a bassa manutenzione; ovviamente, minori cure dedicherete alla vostra pianta e meno fiori la pianta vi regalerà.

Si pongono a dimora in un buon terreno di medio impasto, fresco e umido, abbastanza drenato da non avere acqua stagnante per lunghi periodi di tempo; preferiscono ricevere almeno qualche ora al giorno di sole diretto, possibilmente nelle prime ore del giorno: nelle zone con estati torride è consigliabile posizionarla in una zona semi-ombreggiata del giardino, per evitare che si trovi spesso in condizioni siccitose.

Sopportano il sole diretto e sopportano bene la siccità, ma sicuramente una posizione che dia il refrigerio dell’ombra per alcune ore al giorno, e un terreno sempre fresco e umido, migliorano di molto la fioritura.

Sono piante a foglie caduche, che durante i mesi invernali non richiedono alcun tipo di cura. In autunno si cimano tutti i rami, per evitare che con il tempo la pianta divenga spoglia nella parte bassa, con fogliame soltanto all’apice dei rami; questa operazione favorisce anche lo sviluppo di molte ramificazioni laterali, che l’anno successivo porteranno i fiori. Dopo la fioritura si interviene ancora, rimuovendo i rami rovinati dalle intemperie della stagione fredda.

Da marzo-aprile fino a settembre è bene annaffiare la deutzia regolarmente, evitando di lasciarla all’asciutto per lunghi periodi di tempo, in modo da mantenere il terreno sempre un poco umido; si consiglia comunque di attendere che il terreno asciughi tra due annaffiature. Se la primavera e l’autunno sono, come di norma, abbastanza umidi e piovosi, potremo limitarci ad annaffiare la nostra deutzia soltanto nei mesi estivi.

A fine inverno si sparge ai piedi della pianta del concime granulare a lenta cessione, per garantire per tutta la bella stagione il giusto tenore di Sali minerali nel terreno.

Varietà

Questa pianta appartiene al genere delle hydrangeaceae, ovvero alla stessa famiglia delle ortensie; in effetti però in questa famiglia esistono due sottogeneri, le hydrangeacee vere e proprie e le philadelphaceae, tra cui è posta la deutzia. Nella stessa famiglia troviamo il philadelphus, arbusto che viene spesso confuso con la deutzia, a causa della abbondante fioritura bianca. Possiamo però facilmente distinguere le due specie, prima di tutto per il portamento e la corposità dell’arbusto, visto che i filadelfi sono vigorosi e invadenti, mentre le deutzie tendono ad essere più compatte; oltre a questo i filadelfi hanno fiori a quattro petali, le deutzia presentano invece cinque petali per ogni fiore.

Chiunque abbia visto le due piante, avrà difficoltà a confonderle, anche se capita spesso che gli ibridi delle due specie abbiano un aspetto leggermente diverso rispetto alle specie di origine, e quindi ci possono trarre in inganno.

Anche il Philadelphus, chiamato comunemente fiore dell’angelo, ha foglie caduche, e fioritura primaverile; anche questo arbusto non dovrebbe mai mancare in un giardino, perché la fioritura è spettacolare, molto profumata, e l’arbusto in pratica non necessita di cure, se non una potatura a fine fioritura o in autunno, visto che tende ad allargarsi molto.

Sia deutzie, sia philadelphi, possono venire tranquillamente posti in una siepe fiorita, visto che con il tempo danno forma ad uno schermo compatto, e nonostante in autunno perdano le foglie, i loro rami intricati e fitti fungono da schermo anche quando l’arbusto è spoglio.

Storia

Quando ci rechiamo in vivaio troviamo una grande quantità di piante, e spesso diamo per scontato il fatto che tali piante vengano coltivate nella zona in cui viviamo; addirittura, ci capita spesso di vedere in natura alcune piante, che consideriamo autoctone di un luogo o tipiche di un certo tipo di vegetazione, tanto che neppure ci chiediamo da dove abbiano avuto origine.

In realtà moltissime delle piante che coltiviamo in giardino, non sono di origine italiana, e spessissimo eppure europea, ma provengono da paesi lontani, basti pensare alle mimose, divenute simbolo della festa della donna, e tipiche di alcune zone della Sicilia, che invece sono originarie dell’Australia, che non è propriamente dietro l’angolo.

Ma, ci siamo mai chiesti come sia stato possibile che tali piante si siano diffuse così tanto in Italia, da essere considerate addirittura endemiche?

Probabilmente diamo per scontate alcune piante, come le agavi di origine americana, il carpobrotus che proviene dal sud Africa, le camelie, provenienti da Cina e Giappone, per il semplice fatto che la loro importazione in Europa avvenne secoli orsono, e quindi ormai vengono coltivate nel nostro continente da tantissimo tempo, tanto che spesso si sono naturalizzate e diffuse anche in natura.

Per questi arditi inserimenti di piante nei nostri giardino, dovremmo ringraziare alcuni signori che nei secoli passati viaggiarono per tutto il globo, cercando e catalogando tutte le piante a loro sconosciute, compiendo spesso dei veri atti eroici, viaggiando per nave nelle zone più impervie ed insalubri della terra.

La pianta venne “scoperta” da un tale Carl Peter Thunberg; agli amanti di piante e giardini questo nome non suona nuovo, per il semplice motivo che alcune piante (scoperte dallo stesso thunberg o a lui dedicate da altri botanici) hanno nella specie un omaggio a lui, come ad esempio il Berberis thunbergii.

Il Signor Thunberg nacque nel 1743, in Svezia, e fu allievo di Linneo stesso; nel corso della sua vita fece molti viaggi, in particolare in Giappone (fu uno dei primi europei a riuscire a fare dei viaggi all’interno del Giappone) e in sud Africa, da dove introdusse in Europa un grande numero di piante, come ad esempio i Pelargoni, che noi tutti amiamo e coltiviamo.

 

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Dipelta

La Dipelta è una pianta arbustiva ad alto pregio ornamentale apprezzata per la spettacolare fioritura e per la facilità di coltivazione in giardino e anche in vaso.
Caratteristiche
Il genere Dipelta comprende quattro specie di piante arbustive della famiglia delle Caprifoliaceae tutte originarie della Cina e coltivate alle nostre latitudini come piante ornamentali. In Italia la specie più diffusa è la Dipelta floribunda.

La Dipelta floribunda è una pianta molto longeva ( circa 100 anni) ma caratterizzata da una crescita molto lenta. Dopo circa 20 anni di vita infatti forma folti arbusti larghi 2,5 ed alti anche più di 3 metri se le condizioni pedoclimatiche sono adeguate alle sue esigenze.
E’ provvista di una robusta e profonda radice fittonante dalla quale si originano rami eretti semilegnosi alla base ed erbacei alle estremità. I rami robusti e vigorosi robusto sono ricoperti da una corteccia squamante grigia che in inverno tende al rossiccio.
Le foglie sono opposite; hanno forma ovata-lanceolata, lamina di colore verde chiaro-scuro variamente innervata, margine liscio o leggermente ondulato.

I fiori, profumati e numerosi, sono riuniti in gruppi da 2 a 6 in infiorescenze a grappolo che spuntano sui rami dell’anno precedente. Ciascun fiore. lungo circa 3 cm, è imbutiforme con petali di colore rosa pallido e gola gialla-arancio. L’impollinazione è entomogama e avviene soprattutto ad opera delle api.
I frutti, che maturano dopo la fioritura, da agosto a settembre, sono capsule ovoidali pelose e ricche di spine contenenti dei piccoli semi di colore marrone scuro.
Fioritura

La Dipelta fiorisce copiosamente dalla metà di maggio alla metà di giugno.
Coltivazione
Esposizione

Si sviluppa abbastanza forte e vigorosa anche a mezz’ombra ma per produrre una copiosa fioritura necessita di un’esposizione in pieno sole e possibilmente al riparo dal vento. Tollera molto bene il clima caldo afoso dell’estate fino ai 40° C, e in inverno, periodo di riposo vegetativo, la resiste alle temperature rigide prossime ai -10° C, se la base del cespuglio viene protetta dal gelo invernale con una leggera pacciamatura di paglia o di foglie secche.
Terreno

E’ una pianta che ama il terreno sciolto misto a sabbia e soprattutto ben drenato. Il substrato ideale di coltivazione ideale deve essere grasso, argilloso e soprattutto ricco di materia organica. Non tollera il terreno acido ma quello a pH neutro o alcalino.
Annaffiature

Le giovani piante di Dipelta necessitano dal momento dell’impianto di un substrato costantemente umido e pertanto le annaffiature devono essere frequenti ma non troppo abbondanti. Gli esemplari adulti vanno comunque regolarmente irrigati nei periodi di prolungata siccità e nel periodo della fioritura. Le piante di Dipelta coltivate in vaso vanno annaffiare regolarmente per tutto il periodo vegetativo che va da marzo ad ottobre inoltrato.
Concimazione

La pianta va concimata in primavera e in autunno con stallatico ben maturo. Successivamente, da marzo ad ottobre, saranno sufficienti fertilizzazioni mensili con un concime ternario ricco in azoto (N), fosforo (P) e potassio (K).
coltivazione in vaso

La pianta si coltiva anche in vaso fino a quando le dimensioni lo consentono. Si utilizza un contenitore abbastanza alto per consentire uno sviluppo armonioso sia della radice sia della parte aerea. Come substrato un composto misto di terreno da giardino , sabbia e materiale drenante per il fondo. Per quanto riguarda le annaffiature vanno praticate regolarmente per tutto il periodo vegetativo che va da marzo ad ottobre inoltrato.
Potatura

La Dipelta non richiede veri e propri interventi di potatura in quanti i fiori vengono portati dai rami dell’anno. Per contenere lo sviluppo, per favorirne l’incespimento basale e per conferirle un’armonia di forma, si consiglia comunque di accorciare i rami sfioriti di circa 1/3 della loro lunghezza, utilizzando, come più volte detto, delle cesoie ben affilate e disinfettate alla fiamma o con la candeggina. La potatura va effettuata dopo la fioritura per evitare di recidere i getti floreali. Si sfoltiscono i rami interni per favorire l’arieggiamento e il soleggiamento anche nelle parti meno esposte alla luce. Si tagliano a pochi centimetri da terreno i rami secchi.

Parassiti e malattie della Kolkwitzia

Si tratta di un arbusto resistente ai comuni parassiti animali come afidi e cocciniglie e alle malattie fungine come la ruggine.

Teme però il marciume delle radici se il substrato di coltivazione non è ben drenato e il mal bianco o oidio se il clima è eccessivamente umido o piovoso.
Cure e trattamenti

Evitare i ristagni idrici soprattutto nelle piante allevate in vaso e che si formino ristagni d’acqua.

I trattamenti antiparassitari o fungini vanno fatti solo in caso di necessità. Nelle zone climatiche caratterizzate da frequenti piogge si consiglia un trattamento preventivo contro il mal bianco.

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Elaeagnus

L’olivagno o Eleagnus è una pianta arbustiva o arborea sempreverde o caducifoglie, resistente e ampiamente usata da sola o a fianco ad altre specie arbustive o erbacee per creare siepi miste. L’Eleagnus sopporta bene i climi freddi, caldi e ricchi di salsedine, così come i luoghi ventosi, infatti è adatta anche come barriera frangivento. Il terreno ideale per questa pianta è fertile, poco calcareo e ricco di materiale organico, ben drenato e concimato almeno una volta l’anno, in primavera o autunno. L’olivagno è una specie rustica e molto adattabile, che non necessita di particolare manutenzione, ha foglie lanceolate, lisce o con peluria, verde scuro o argenteo, e a seconda della specie, anche dei piccoli fiori e frutti di colore variabile. Per la sua rusticità e per le piccole dimensioni (non supera i 4 – 5 metri di altezza) non necessita di potature frequenti, a meno che non le si voglia dare una forma più regolare o precisa. Il portamento di Eleagnus è eretto o espanso, con fogliame ricco e compatto, ideale per siepi di piccole o grandi dimensioni.
L’Eleagnus multiflora ha origine in Cina ed è un arbusto sempreverde, con foglie ellittiche verdi sul dorso e color bronzo sul retro. I piccoli fiori sono bianco – giallastri e fioriscono in primavera. Il diametro di questa pianta è di circa 30 cm, con piccoli frutti ovali di un colore che va dall’argento all’arancio acceso: sono molto delicati e fragili, sensibili al freddo e all’umidità, infatti la pianta va posizionata in pieno sole, anche se non richiede particolari attenzioni. Eleagnus multiflora è un’ottima barriera frangivento e richiede una potatura verso aprile – maggio, con esemplari distanziati l’uno dall’altro 60/90 cm. Eleagnus pungens, invece, è un arbusto sempreverde con foglie gialle bordate di verde e fiori tubolari gialli o bianchi che emanano un dolce profumo. Questa specie di olivagno è una delle più aggressive per quanto riguarda l’attecchimento al terreno e la dispersione dei semi, in quanto cresce e si propaga con molta velocità: può raggiungere e superare i 7 metri di altezza, tollera il freddo ma non sopporta le gelate.
Coltivazione e temperatura
L’Eleagnus umbellata, o albero dei Coralli è una pianta arbustiva che può svilupparsi anche con altezze tipiche di un piccolo albero, che arrivano fino ai 4- 5 metri. Le sue foglie sono ellittiche, di un verde vivace sul dorso e argenteo sulla pagina inferiore, con piccoli fiori color bianco crema, mentre la chioma cresce in maniera disordinata, allargandosi in altezza o in larghezza. L’albero dei Coralli è una pianta da siepe ornamentale molto apprezzata, sia per la sua particolare resistenza (resiste fino ai -40° di temperatura) sia per il suo grazioso portamento con fiori, frutti e foglie dalle delicate fattezze. Questa pianta è molto adatta al clima umido e salmastro, tipico delle zona mediterranea, dove viene ampiamente utilizzata come barriera frangivento. Il terreno acido, sempre umido e ben drenato è ideale per l’E. Umbellata, che si adatta comunque anche a terreni poveri e meno confortevoli. I fiori, molto profumati, fioriscono ad aprile – maggio e a seguire compaiono i frutti rossi e globosi, commestibili, dal sapore acidulo, ottima fonte di sali minerali e vitamine.
Abbinamenti
Per le siepi è adatta anche l’Eleagnus x Ebbingei, un ibrido dalle foglie ovali verdi e gialle, grandi 8- 10 cm, con fiori che sbocciano in autunno color bianco crema e frutti rossi, carnosi e commestibili. L’Eleagnus x Ebbingei è una pianta rustica, come tutti gli Olivagni, e può resistere fino ad un temperatura di – 15°. I prezzi per un vaso di diametro di circa 20 cm di Olivagno sono compresi tra tra gli 8 e gli 15 euro circa, naturalmente si tratta di piccole piante, che possono essere lasciate crescere in vaso o essere interrate. Abbinare diverse specie di Olivagno è possibile, per creare consistenze e gradazioni di colori diverse e unire la bellezza di una pianta come questa all’utilità di una barriera antivento, antismog e protezione della privacy. Anche l’accostamento con piante erbacee dai fiori appariscenti è azzeccato, sia per siepi che per composizioni molto suggestive da collocare all’interno del giardino o del terrazzo.

 

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Elsholtzia

La elsholtzia della famiglia delle Lamiaceae comprende 44 varietà.
Ama il clima tropicale, Asiatico, Cina, India, indonesia. Il suo nome deve al suo scropritore il Prussiano naturalusta Johann Sigismund Elsholtz.
Tradotto dall’inglese-Elsholtzia ciliata, comunemente conosciuta come balsamo vietnamita, xiang ru o kinh giới in vietnamita, è una pianta originaria dell’Asia. Negli Stati Uniti può essere chiamato Crested Late Summer Mint.

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Enkianthus

Una delle piante acidofile ancora poco diffuse in Italia, l’enkianthus proviene dall’Asia, e in particolare dal Giappone; è un arbusto di media grandezza, a foglia caduca, che può raggiungere i 2-3 metri di altezza, anche se ha crescita lenta e quindi le dimensioni massime possono essere raggiunte solo nel corso di molti anni. Ha uno sviluppo ben tondeggiante ed ampio, le ramificazioni sono dense, e spesso da ogni internodo vengono prodotti svariati piccoli rami; il fogliame è di colore verde, ovale o lanceolato, riunito in piccoli mazzetti, detti verticilli, all’apice di ogni singolo rametto. Prima di cadere, in autunno, le foglie di questi arbusti divengono molto decorative, perchè il loro colore dal verde brillante passa all’arancione o al rosso.

In primavera all’apice dei rami vengono prodotti piccoli grappoli penduli di fiori campanulati, di colore bianco, rosa o rosso, che rendono molto decorativo tutto l’arbusto e sbocciano nell’arco di alcune settimane.

Coltivazione

Come la gran parte delle acidofile, l’unico problema che riscontreremo coltivando l’enkianthus riguarda il terreno: queste piante non sopportano la presenza del calcare nel terreno, necessitano di un terreno a ph acido; in molte zone d’Italia purtroppo il terreno è calcareo o argilloso, e non permette una lunga vita alle piante acidofile, inoltre anche l’acqua di molti acquedotti e pozzi è molto ricca in calcare, e contribuisce a rendere alcalino il ph del terreno.

Dovremo quindi preparare il giusto ambiente in cui coltivare il nostro esemplare praticando una ampia buca di impianto, che riempiremo con del terriccio specifico per piante acidofile; in seguito praticheremo annaffiature con acqua piovana, in modo da evitare che il terreno riceva il calcare presente nell’acqua dell’acquedotto. Nel corso degli anni è comunque consigliabile aggiungere ai piedi della pianta ulteriore terriccio torboso, ben adatto alla coltivazione delle acidofile.

Esposizione

L’enkianthus ama luoghi semiombreggiati e freschi, non eccessivamente asciutti; posizioniamolo quindi dove sia al riparo dai raggi solari diretti, soprattutto nelle ore più calde della giornata; questa pianta non teme il freddo, può quindi essere posta a dimora direttamente in giardino, perchè sopporta anche gelate intense e prolungate, essendo in inverno in pieno riposo vegetativo.

Annaffiature

Da marzo a settembre le annaffiature saranno regolari, soprattutto per quanto riguarda gli esemplari giovani e i periodi siccitosi; evitiamo comunque gli eccessi ed annaffiamo solo quando le precipitazioni sono scarse o il terreno tende ad asciugare molto. In primavera ed in autunno spargiamo ai piedi dell’arbusto del buon concime granulare a lenta cessione, che possibilmente contenga sostanze rinverdenti

Moltiplicazione

Per ottenere delle nuove piante di questa varietà è possibile procedere con la tecnica delle talee. Queste vanno preparate durante il periodo primaverile e vanno sistemate in un composto in cui sono stati miscelate torba, sabbia e terra. Queste talee vanno lasciate radicare in questa sistemazione, prima di essere poste definitivamente a dimora.

Malattie e parassiti

Questa varietà di pianta è piuttosto rustica e resistente e, difficilmente, viene attaccata da parassiti e malattie. E’ necessario, però, controllare che non si formino pericolosi ristagni d’acqua o che non ci sia un eccessivo tasso di umidità, in quanto potrebbero sorgere marciumi radicali o malattie fungine che comprometterebbero la salute della pianta.

 

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Escallonia

Non sempre è facile trovare un arbusto che si addica perfettamente al nostro giardino; un problema comune sono le siepi, che molto spesso vengono costituite con le stesse, solite piante; molto belle e facili da coltivare, sicuramente, ma anche così comuni e diffuse da farci spesso perdere di interesse nei loro confronti. Se vogliamo preparare una siepe, ma non desideriamo porre a dimora le “solite” Fotinie, o forse desideriamo qualcosa con dei fiori più vistosi, possiamo decidere di cercare in vivaio una bella varietà di Escallonia.

Queste piante, la cui coltivazione ci da decisamente poche preoccupazioni, hanno una lunga serie di vantaggi; sono originarie del continente americano, e ne esistono varie specie e varietà.

Si tratta di arbusti sempreverdi, abbastanza vigorosi, che non temono eccessivamente il gelo e si sviluppano bene al sole delle estati italiane; il fogliame è scuro e lucido, molto gradevole; per tutta l’estate, all’apice dei rami, producono piccoli racemi, che riuniscono tanti piccoli fiori a stella, di colore bianco, rosa o fucsia, spesso molto profumati. L’escallonia è perfetta per chi desidera una bella siepe impenetrabile, con fiori per lunghi mesi; ma sono ideali anche da coltivare come esemplari singoli, soprattutto per quanto riguarda le varietà con foglia più grande o con fiori dai colori molto accesi.

Per chi possiede solo un terrazzo, o ama in modo particolare le piante in vaso, esistono anche varietà nane di escallonia, piccole palle che si ricoprono completamente di fiorellini a stella.

Coltivazione
Questi arbusti prediligono posizioni soleggiate o semi-ombreggiate, anche perché, se posti a dimora in una zona molto ombreggiata o buia, tendono a non fiorire, perdendo la gran parte della loro gradevolezza.

La fioritura è estiva, e avviene sui rami nuovi, quindi se vogliamo piante piane di fiori è opportuno praticare una bella potatura a inizio primavera, quando le minime notturne cominciano già ad alzarsi; in questo modo stimoleremo lo sviluppo di molti nuovi rami, e quindi una fioritura molto più abbondante. Oltre a questo, un potatura regolare aiuta a mantenere la siepe più ordinata e favorisce lo sviluppo di arbusti più densi e fitti, di forma più gradevole. Sviluppandosi liberamente infatti spesso l’escallonia tende ad assumere un aspetto abbastanza disordinato e poco compatto, non sempre elegante.

Il terreno dovrà essere ricco e molto ben lavorato, possibilmente caratterizzato da un buon drenaggio, in modo che non avvengano ristagni idrici, che potrebbero dimostrarsi molto dannosi per l’arbusto. Le annaffiature si forniscono solo durante la bella stagione, e solo quando il terreno è ben asciutto, in quanto queste piante non amano gli eccessi di annaffiature, e sopportano abbastanza bene la siccità. L’escallonia è una pianta abbastanza rustica, che può sopportare brevi gelate; se viviamo in una zona caratterizzata da inverni decisamene molto freddi, è opportuno posizionare le piante vicino ad un muro o comunque ini luogo ben riparato dal vento; altrimenti è probabile che a fine inverno la pianta possa subire dei danni causati dal freddo. In genere, occasionali bruciature causate dal gelo possono venire semplicemente asportate con la potatura, per stimolare lo sviluppo di nuova vegetazione sana.

La concimazione è abbastanza importante, ma, come avviene per la gran parte degli arbusti da giardini, è consigliabile fornirla con un concime a lenta cessione, che andrà fornito a fine inverno, e si scioglierà progressivamente con il passare delle settimane.

Potatura siepe
In genere per preparare delle siepi si utilizzano arbusti vigorosi e resistenti, che sopportino bene il freddo e che abbiano un buono sviluppo ogni anno. Purtroppo non è sempre facile trovare l’arbusto più adatto, in quanto se si sceglie un arbusto decisamente molto vigoroso, come avviene per il lauroceraso, la piracanta o il bambù, si sarà poi costretti a praticare più potature nell’arco dell’anno, per contenere lo sviluppo esuberante delle piante; se invece si sceglie una pianta a crescita lenta, come il bosso o alcune varietà di ilex, si rischia di attendere molti anni prima di avere una vera e propria siepe, oppure di dover tenere una siepe piena di “buchi” in seguito a intemperie o ad inverni molto freddi, che ci costringono a potature drastiche dei rami rovinati del freddo. Quando scegliamo una siepe quindi, informiamoci dal nostro vivaista delle caratteristiche di sviluppo peculiari di ogni singola specie e varietà, per non dover poi subire passivamente lo sviluppo per noi non consono della pianta che ci piaceva tanto.

Oltre a questo, particolare attenzione deve essere posta quando si pota una siepe che è stata scelta per i suoi fiori. Infatti non tutte le piante hanno lo stesso comportamento, e non tutte necessitano di potature nello stesso identico periodo dell’anno. Alcune siepi infatti producono fiori solo sui rami nuovi, quelli germogliati nella primavera corrente; è questo il caso dell’escallonia, ma anche delle rose e degli oleandri; su questo tipo di siepi, una vigorosa potatura a fine autunno o a fine inverno, porta quasi certamente ad una abbondante fioritura durante la bella stagione successiva. Altre piante invece preparano i boccioli già in primavera o in autunno, e quindi i loro fiori sbocceranno sui rami vecchi, che hanno già almeno qualche mesi di vita; è questo il caso di forsizia, albero di giuda, viburno; se quindi decidiamo di potare vigorosamente la nostra siepe di forsizia, a fine inverno, avremo il risultato di rimuovere la gran parte delle gemme a fiore, rimuovendo anche gran parte dell’attrattiva della siepe.

Ricordiamoci sempre che le gli arbusti hanno comportamenti molto diversi tra loro, è quindi difficile generalizzare, nonostante spesso si trovino guide che danno consigli del tipo; in febbraio si potano le piante da siepe. Vero è che, una potatura a fine inverno, ci aiuta a tenere in ordine il giardino, ma se ci priva anche dei fiori, forse è il caso di attendere un momento più propizio, e guardare ancora per qualche settimana il giardino “in disordine”.

 

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Euonymus (Euonimo)

L’evonimo (detto anche fusaggine) è uno degli arbusti più diffusi nei giardini: le specie a foglia persistente sono un classico per creare belle siepi. Quelle caduche vengono apprezzate per i bei frutti autunnali.

Le varietà di evonimi sono circa 170, diffuse praticamente in tutti i continenti; possono essere arbusti, piccoli alberi, piante tappezzanti e rampicanti, sia caduche, sia sempreverdi. E. fortunei è un piccolo arbusto sempreverde con foglie ovali, di colore verde; esistono numerose cultivar con foglie di varie tonalità, anche variegate; viene molto usato nelle aiuole e come bordura o piccola siepe, a crescita compatta e abbastanza lenta.

Euonymus europaeus ha foglie caduche, in autunno acquistano un colore rosso porpora; produce piccole bacche rosa, con semi arancioni, molto decorative. Euonymus japonicus ha foglie tondeggianti, spesse e cuoiose, piccolo arbusto a crescita compatta e vigorosa, esistono varietà con foglie variegate.

Euonymus alatus è un arbusto di medie dimensioni, con foglie caduche, molto decorative in autunno. Gli evonimi producono in primavera piccoli fiori di colore verdastro o porpora, a cui fanno seguito piccole bacche scure o rosate. In autunno si potano gli arbusti eliminando i rami secchi o rovinati dalle intemperie, e si accorciano di circa un quarto i rami degli arbusti da siepe, in modo da mantenerli più compatti.

Esposizione

Queste piante possono svilupparsi senza problemi in qualsiasi posizione sia soleggiata, che ombreggiata; sicuramente però è consigliabile porli a dimora in pieno sole per ottenere il migliore sviluppo possibile. L’ Euonymus alatus non teme il freddo e può sopportare anche il caldo delle estati più torride.

In genere questi arbusti sono adatti nelle aiole cittadine o costiere, poichè, essendo una varietà piuttosto rustica e resistente, tollerano l’inquinamento e l’aria salmastra senza particolari problemi.

Anche in questo sono tolleranti: crescono bene sia al sole sia a mezz’ombra. Chiaramente le varietà caduche preferiscono una posizione più fresca al Sud e quelle sempreverdi una più luminosa e calda al Nord (specialmente le cultivar variegate).

Descrizione, classificazione ed origini

Il genere Euonymus (che appartiene alla famiglia delle Celastraceae) comprende almeno 160 specie diffuse allo stato spontaneo in tutto il mondo, ma per lo più dell’Europa e dell’Asia Sudorientale. Fare una descrizione complessiva è difficile perché si tratta di un genere molto eterogeneo. Ne fanno parte arbusti e alberi che possono andare da appena 30 cm di altezza fino a 7 metri. Le foglie variano anche molto da specie a specie: ve ne sono di opposite e di alterne, di ovali, lanceolate e dentellate. Anche i colori presenti sono molteplici: verde chiaro, scuro, giallo o rosato. Un aspetto che li rende tutti interessanti è la produzione autunnale di frutti, di solito molto vivaci e dalla forma particolare. In ambito orticolo si usano prevalentemente cultivar ottenute dall’evonimo giapponese: hanno il vantaggio di essere molto tolleranti, di crescere lentamente e di necessitare di poca manutenzione.

Annaffiature

Vi sono differenze importanti tra le varietà sempreverdi e quelle caduche. Le prime necessitano irrigazioni abbastanza frequenti solo nei primi anni dall’impianto cercando di mantenere l’area fresca, specie nei periodi caldi e siccitosi. In seguito diventeranno molto autonome.

Al contrario la fusaggine a foglia caduca è più delicata sotto questo aspetto: in estate dovremo sempre monitorare il terreno per evitare che si asciughi completamente. L’attenzione dovrà essere maggiore se viviamo al Sud, sulle coste o se il nostro suolo è povero e trattiene poco l’acqua. In questo caso un valido aiuto ci può venire da una spessa pacciamatura a base vegetate.

L’ Euonymus alatus è uno dei diversi tipi di evonimo presenti in natura e anch’esso ha le stesse esigenze delle altre varietà. Da marzo a ottobre è opportuni annaffiare regolarmente almeno una volta alla settimana, soprattutto durante i periodi di prolungata siccità; nei mesi invernali non è necessario ma è utile annaffiare sporadicamente gli esemplari sempreverdi.

In generale questi arbusti possono sopportare senza problemi la siccità, ma si sviluppano al meglio se annaffiati regolarmente, attendendo sempre che il terreno sia ben asciutto per evitare la possibile formazione di ristagni d’acqua che risulterebbero molto pericolosi per la salute delle vostre piante.

Terreno

Le piante di evonimo crescono senza problemi in qualsiasi tipo di terreno, anche povero e molto alcalino. Per uno sviluppo ottimale è bene porre a dimora la pianta in un terriccio costituito da argilla mescolata con una parte di terriccio di foglie ed una parte di sabbia o altro materiale incoerente. Questo mix aiuta a favorire il drenaggio del terreno, facilita la crescita delle radici e garantisce alla pianta tutte le sostanze nutritive di cui ha bisogno.

La fusaggine è tollerante per quanto riguarda il substrato. Cresce discretamente in una grande varietà di terreni a condizione che non siano troppo secchi o troppo poveri. La crescita ideale si avrà in un suolo neutro o subalcalino, quindi calcareo o leggermente argilloso, e con una buona dotazione dei materia organica. Deve inoltre essere in grado di mantenersi sempre fresco, specialmente in estate, ma essere dotato anche di un buon drenaggio per evitare l’insorgere di problemi alle radici.

Moltiplicazione

La moltiplicazione di questi arbisti in genere avviene per seme, in autunno, oppure per talea in agosto-settembre, utilizzando delle porzioni di ramo semilegnose da mettere a dimora in vaso per aumentare la possibilità di attecchimento.

Entrambi si possono moltiplicare per seme o tramite talea. Chiaramente solo l’ultimo metodo permette di conservare le caratteristiche specifiche delle cultivar.

La semina richiede stratificazione invernale di almeno 3 mesi: quando la prima radichetta sarà emessa potremo spostare in composta definitiva, in vasetti singoli.

La talea richiede periodi diversi a seconda della specie.

Per le caduche si procede con rami agostati, per le sempreverdi con rami semilignificati (a luglio): si pongono in una composta molto leggera mantenendo sempre umido e con temperature non troppo basse, anche inverno. In primavera potremo spostare in vasetti singoli.

Clima

Le esigenze climatiche sono molto differenti tra le varie tipologie. Le specie a foglia caduca, come l’E. europaeus, sono molto rustiche e crescono bene in tutto il Nord della nostra penisola e altrove, in collina o montagna. Evitiamo invece di inserirlo nelle regioni centro-meridionali e sulle coste in quanto patisce particolarmente il caldo.

Al contrario le specie sempreverdi sono molto più tolleranti per quanto riguarda le alte temperature, ma non tutte sono perfettamente rustiche (per alcune è bene non scendere mai sotto i -6°C). In caso di incertezza predisponiamo prima dell’inverno una spessa pacciamatura e, se coltiviamo in vaso, avvolgiamolo con materiali coibentanti.

Potatura

Si sconsiglia la potatura di formazione per le varietà a foglia caduca: inseriamole sempre dove possano crescere liberamente e assumere la loro naturale forma. Se vogliamo che si riempia la parte bassa eseguiamo il primi anni tagli drastici. Utile è inoltre cimare regolarmente le branche laterale per ottenere una chioma fitta. Oltre a ciò si consiglia di potare ogni 5 anni eliminando circa 1/3 dei rami più vecchi e cercando di aprire il centro.

I sempreverdi, disponendo del giusto spazio, possono anch’essi essere coltivati in forma libera. Si può però utilizzarli per creare delle siepi e nell’arte topiaria. Interveniamo in generale ad aprile e agosto, ma ogni periodo è giusto per mantenere la forma.

Per ottenere velocemente un aspetto pieno è importante tagliare subito dopo l’impianto e essere molto assidui.

Anche in questo caso ogni 5 anni si eseguirà una potatura di rinnovamento come quella descritta sopra.

Parassiti e malattie

La gran parte delle specie di evonimo tende ad essere massicciamente colpita dai parassiti, è quindi bene fare molta attenzione ed intervenire non appena si notassero i primi sintomi. Il nemico maggiore degli evonimi è la cocciniglia, che provoca danni anche molto gravi; queste piante possono venire colpite anche da tripidi, larve minatrici, acari e afidi.

In linea generale le specie caduche sono più resistenti di quelle a foglia persistente. Possono venire colpiti da parassiti (come gli afidi), ma raramente deperiscono. Bisogna temere solo la “ragna del melo”, una farfallina le cui larve mangiano le foglie fino a denudare completamente l’albero.
Corriamo ai ripari distribuendo Bacillus Thuringiensis.

Gli evonimi persistenti vengono colpiti anche da cocciniglia, oziorrinco e da affezioni crittogamiche, da curare tutti con prodotti specifici.

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Ex0chorda

La Exochorda x macrantha è un arbusto deciduo di medie dimensioni originario dell’Asia centro-settentrionale. Ha fusti sottili, arcuati, di colore bruno o rosso-bruno; il portamento è tondeggiante e gli arbusti adulti raggiungono i 3-4 m di altezza. In tarda primavera questa pianta produce numerosissimi fiorellini a stella, di colore bianco candido; in estate inoltrata ai fiori succedono i frutti, capsule legnose pentalobate, che rimangono sulla pianta per mesi.

Le foglie di questa varietà sono oblunghe o arrotondate, di colore verde scuro, lucide; generalmente non assumono colore decorativo prima di cadere, mentre i frutti sono molto decorativi nei mesi autunnali.

Per un migliore sviluppo dell’arbusto e per garantirgli sempre una crescita rigogliosa è bene potarlo dopo la fioritura, asportando i rami poco sviluppati o disordinati.

Esposizione

La Exochorda x macrantha andrebbe posta in posizione soleggiata, preferibilmente ben arieggiata, e con la base dell’arbusto al fresco, anche all’ombra. E’ comunque una varietà di pianta molto rustica e resistente; infatti questi arbusti non temono il freddo, e possono sopportare temperature vicine ai -15°C.

In caso di estati eccessivamente calde potrebbero necessitare di una leggera ombreggiatura per evitare che i raggi solari diretti possano rovinare la salute della pianta.

Essendo una pianta rustica è possibile coltivarla in giardino nel corso di tutto l’anno.

Annaffiature

Da marzo a settembre annaffiare regolarmente, soprattutto nei mesi più caldi e siccitosi. La Exochorda x macrantha preferisce i terreni umidi e freschi quindi quando le temperature sono molto elevate è importante fornire una maggiore quantità di acqua.

Nel periodo vegetativo è bene fornire del concime per piante da fiore, almeno ogni 15-20 giorni, mescolato all’acqua delle annaffiature. Nel caso di un nuovo trapianto è bene sistemare nel terreno del concime granulare a lenta cessione oppure dello stallatico ben maturo che fornisca gli elementi nutritivi necessari.

Terreno

La Exochorda x macrantha preferisce i terreni sciolti, ben drenati, ricchi di materia organica, leggermente acidi e che garantiscano un corretto grado di umidità. Per questo motivo, nei periodi più caldi è necessario fornire una maggiore quantità di acqua così da impedire un’eccessiva aridità. Al contempo è utile evitare i ristagni che potrebbero rivelarsi dannosi per la salute di questo arbusto.

Moltiplicazione

La moltiplicazione di questa varietà di pianta avviene per seme, in primavera, dopo aver stratificato i semi nella sabbia ed averli tenuti in frigorifero per 2-3 settimane.

Volendo in luglio-agosto è anche possibile prelevare talee dai nuovi germogli per impiantare poi in un vaso dove consentire loro di attecchire.

Parassiti e malattie

La presenza di terreni eccessivamente ricchi di calcio o poveri di ferro bio disponibile possono favorire l’insorgenza di clorosi ferrica.

Verso la fine dell’inverno può essere utile intervenire con dei prodotti mirati che prevengano le possibili malattie fungine. L’utilizzo di prodotti insetticidi è consigliato solo quando non è già in atto la fioritura per evitare di compromettere l’azione degli insetti impollinatori.

 

 

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Forsythia

La forsythia appartiene alla famiglia delle Oleaceae; originaria dell’Asia, è un arbusto a foglia caduca che cresce rapidamente, fino a raggiungere i 3-4 m di altezza. Il suo cespuglio è formato da fusti eretti, poco ramificati, di colore marrone scuro; le foglie sono verdi, di forma ovale o lanceolata, e spuntano in estate, dopo la fioritura che, invece, avviene al termine della stagione invernale. I fiori giallo oro della forsythia spuntano sui rami dell’anno precedente e sono formati da quattro petali che, in caso di pioggia, diventano pendenti, proteggendo dall’umidità gli organi riproduttivi. In Europa la forsythia viene coltivata, da sola o a formare delle siepi, per puro scopo ornamentale, dato che la medicina occidentale non le riconosce le virtù terapeutiche attribuitele da quella orientale.
Coltivazione
La forsythia è una pianta estremamente rustica, che non teme il freddo; preferisce una posizione soleggiata o in mezzombra, e si adatta a qualsiasi tipo di terreno, anche se preferisce quelli soffici, ricchi di humus e ben drenati, poiché teme i ristagni idrici. Per quanto riguarda le irrigazioni, in terra piena la forsythia si accontenta delle precipitazioni piovose, mentre se coltivata in vaso richiede sporadiche innaffiature, soprattutto in caso di siccità; sarà comunque bene innaffiare abbondantemente le piante appena messe a dimora, in modo da bagnare il terreno in profondità. Per la coltivazione in vaso, è necessario tenere a mente che la forsythia possiede un apparato radicale piuttosto sviluppato e, quindi, necessita di un vaso capiente, che andrà sostituito ogni anno.
Moltiplicazione
La moltiplicazione della forsythia avviene prevalentemente per talea semi-legnosa, ottenibile tagliando i rami dopo la fioritura, dalla primavera all’inizio dell’estate, o d’inverno, da novembre a fine gennaio. La talea andrà poi posta a radicare in un composto di torba e sabbia e, una volta spuntate le radici, le nuove piantine potranno essere messe a dimora. Un altro metodo di propagazione della forsythia è per margotta: scegliere un ramo lungo e flessibile della pianta, piegarlo fino al terreno e ricoprirlo con terriccio, lasciando emergere la parte superiore; eventualmente, aiutarsi con un peso a tenere in posizione la porzione di ramo interrata, che ben presto inizierà a radicare. Una volta comparso l’apparato radicale, recidere il ramo subito prima delle radici e piantarlo.
Parassiti e malattie
Generalmente la forsythia è una pianta resistente; tuttavia, ciò non impedisce che venga attaccata da alcuni insetti e malattie, come il marciume radicale, provocato da un fungo, che attacca la pianta in presenza di ristagno idrico. In caso di attacco lieve, tagliare le parti interessate e disinfettare con prodotti specifici il colletto del tronco. Quando, invece, la forsythia viene attaccata seriamente, è necessario estirparla, per evitare che il fungo si diffonda, e trattare il terreno con prodotti a base di zolfo. Inoltre, la forsythia può essere attaccata dagli afidi, piccoli insetti verdi che si annidano sulla parte inferiore delle foglie e che si combattono con prodotti specifici. Infine, la forsythia è soggetta agli attacchi di oidio, che devono essere combattuti con fungicidi specifici.

 

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Fuchsia (Fucsia)

Al genere fucsia appartengono circa un centinaio di specie di arbusti a foglia caduca o sempreverdi, originari dell’America centro meridionale e della Nuova Zelanda. In genere in Italia vengono coltivate le specie poco rustiche, di piccole o medi dimensioni, che vengono utilizzate come annuali o come perenni da ritirare in serra temperata durante l’inverno; esistono però molte specie rustiche, che possono essere utilizzate come arbusti da giardino, effettivamente nel nostro paese non sono molto diffuse.

Questi arbusti hanno fusti molto ramificati, semilegnosi, di colore verde o rossastro, che tendono a lignificare con il passare degli anni; il fogliame è di colore verde brillante, e di forma ovale o lanceolata, le foglie possono avere margine intero o seghettato; gran parte delle specie in coltivazione sono sempreverdi. Gran parte delle specie si mantengono di dimensioni vicine ai 25-40 cm, anche se le specie rustiche possono raggiungere i 100-150 cm; in natura si sviluppano fino a 2-3 m di altezza; molte sono le differenze di dimensioni e di portamento delle diverse specie: per esempio una specie originaria della Nuova Zelanda, Fucsia excorticata, è un albero di medie dimensioni, mentre Fucsia procumbens ha portamento strisciante.

I fiori sono tra i più spettacolari ed esotici, sbocciano dalla primavera inoltrata fino all’autunno, sono penduli, formati da quattro sepali allungati, spesso riuniti a formare una lunga forma tubolare; i petali sono quattro, ma esistono moltissime varietà ibride a fiore doppio o stradoppi. Questi fiori sicuramente particolari, prendono comunemente il nome di orecchini o ballerine, proprio per la loro forma pendula; le specie botaniche hanno fiori di colore rosa o rosso, nel corso degli anni si sono però create varietà con fiori di colore vario, dal bianco all’arancio, dal lilla al blu, dal rosso al viola. Ai fiori seguono piccole bacche di forma allungata, carnose, contenenti alcuni piccoli semi fertili; le bacche di fucsia sono eduli.

Origine e descrizione

Si tratta di una pianta originaria del Centro e Sud America, ma alcune specie provengono anche dalla Nuova Zelanda. La prima descrizione fu fatta alla fine del 1600 a Santo Domingo. Il nome Fuchsia le venne dato in onore del botanico tedesco Leonhard Fuchs. Dal nome del fiore deriva quello del colore, un rosa molto intenso. Cominciò a diffondersi ampiamente in Inghilterra dalla metà alla fine del XIX secolo. Gli inglesi se ne innamorarono subito al punto che gli ibridatori si misero immediatamente alla ricerca di nuove specie e ci si sforzò di creare nuove e coloratissime cultivar.

Divenne molto popolare anche nel resto dell’Europa e negli Stati Uniti. Ancora oggi nel Regno Unito è una delle piante più amate, utilizzatissima sui davanzali e addirittura per la creazione di aiuole, bordure e siepi. Il genere conta più o meno 100 specie. Per la maggior parte sono arbusti o piccoli alberi dal portamento eretto o decombente. Hanno fiori singoli o raccolti in racemi, ascellari. Sono composti da un tubo centrale allungato e da 4 sepali laterali dal colore, di solito, contrastante. Possono sviluppare un frutto edule simile ad una ciliegia, rosso scuro.

È molto difficile che nei nostri climi riescano a produrre semi e se si vuole ottenerli bisogna procedere all’impollinazione artificiale. Infatti sono piante che vivono in simbiosi con i colibrì e solo questi piccoli uccelli in natura sono adatti allo scopo.

Esposizione

La coltivazione delle fuchsie non è affatto semplice. Sicuramente si può essere facilitati se le condizioni pedoclimatiche della nostra zona sono adatte alle loro esigenze. Prediligono posizioni molto luminose, ma non a contatto con i raggi solari per periodi di tempo eccessivamente prolungati; possono svilupparsi al meglio anche in zone ombreggiate. La gran parte delle specie in commercio teme il freddo, quindi si coltivano in giardino solo durante la bella stagione, quindi si ripongono in serra temperata, con temperatura minima vicina ai 9-12°C.

Le specie rustiche, come Fucsia magellanica, vengono invece utilizzate come arbusti, non temono il,freddo e possono sopportare senza problemi gli inverni italiani. Gelate molto intense possono rovinare la parte aerea degli arbusti più giovani, che ricominceranno a svilupparsi nel periodo primaverile. Amano particolarmente i climi freschi, con una grande escursione termica tra il giorno e la notte. Per questo crescono bene nel Nord Italia, nell’area dei Laghi e nelle zone di mezza montagna. Solo in queste zone riescono a fiorire bene e con continuità dalla primavera all’autunno.

Altrove di solito si riesce ad avere una bella fioritura in primavera e, se riescono a superare l’arsura estiva, fioriscono bene nuovamente dalla metà di settembre a novembre. Nell’Italia settentrionale possono sopportare anche il pieno sole. Certamente sarebbe meglio dare sempre loro la mezz’ombra, specie nel pomeriggio. Dal Centro al Sud invece l’esposizione consigliata è sicuramente l’ombra, soprattutto nei mesi estivi. Ci sono moltissime varietà di fuchsie e alcune possono essere anche molto rustiche al punto da poter essere coltivate in piena terra in quasi tutto il nostro territorio (ad eccezione delle zone alpine).

Di solito sopportano bene anche fino ai -10°C . Alcuni esempi sono: Fucsia excorticata, pumila, procumbens e magellanica. In inverno perdono totalmente la parte aerea e torneranno a vegetare col ritorno della bella stagione. È bene però proteggere gli esemplari con una buona pacciamatura di paglia e foglie. Sono piante purtroppo che difficilmente si trovano sul nostro mercato perché da noi sono più diffuse le varietà da vaso che, in genere, necessitano di essere ritirate durante l’inverno visto che al massimo sopportano temperature intorno ai 5°C.

Annaffiature

Da marzo a ottobre annaffiamo con regolarità, evitando che il terreno rimanga asciutto per periodi eccessivamente lunghi. In genere temono la siccità prolungata; le specie rustiche sono in genere più resistenti alla siccità rispetto alle specie che temono il freddo. Durante il resto dell’anno possiamo evitare di annaffiare le piante, soprattutto gli esemplari lasciati all’aperto. Le piante coltivate in serra temperata, con temperature superiori ai 12-15°C, vanno annaffiate anche durante i mesi invernali, in questo modo potremo anche mantenere la pianta in fiore per tutto l’arco dell’anno. Nel periodo vegetativo forniamo dl concime per piante da fiore, ogni 15-20 giorni, mescolato all’acqua delle annaffiature.

Terreno

Prediligono terreni soffici e ricchi di materia organica, molto ben drenati; si coltivano in genere in un buon terriccio universale bilanciato, alleggerito con piccole quantità di sabbia o perlite. Non necessitano di vasi di dimensioni eccessive, ed al rinvaso si utilizzano contenitori di alcuni centimetri più grandi rispetto ai precedenti.

Di solito non sono molto esigenti. Vogliono solo che il terriccio sia molto ricco. È necessario quindi mescolarvi dell’ottimo stallatico maturo o, meglio ancora, del terriccio di foglie o humus di lombrico. Al composto si può aggiungere anche un po’ di sabbia in maniera che vi sia buon drenaggio.

Sul fondo del vaso è sempre bene che sia approntato un buon strato per il drenaggio, composto da ghiaia, cocci o argilla espansa. Le fucsie dovrebbero essere rinvasate ogni primavera perché sono piante molto vigorose, che tendono a crescere molto. La prassi è di procedere estraendo il pane di terra e spuntando le radici. Se si vuole poi stimolarne subito la ripresa vegetativa si porranno in un vaso simile al precedente, altrimenti si può inserire la pianta in un contenitore leggermente più grande, anche se ci vorrà un po’ più di tempo prima che torni a vegetare al meglio.

Parassiti e malattie

La coltivazione in luogo umido e scarsamente ventilato può favorire ristagni idrici, che portano spesso a malattie fungine del fogliame e dell’apparato radicale; in primavera gli afidi colpiscono i giovani germogli. Queste piante possono venire attaccate soprattutto da insetti, come afidi e aleurodidi. Bisogna quindi monitorarle attentamente e eventualmente distribuire un insetticida specifico. Se vogliamo possiamo anche agire preventivamente, se le coltiviamo in vaso, inserendo delle pastiglie direttamente nel substrato. Di solito l’effetto dura per almeno 3 mesi. Possono venire anche attaccate dagli acari (ragnetto rosso). In questo caso è importante portare la pianta in una zona in cui non sia raggiunta dalla luce diretta e aumentare l’umidità ambientale. È di capitale importanza scoprire per tempo l’infestazione e porvi rimedio velocemente perché questo parassita è molto dannoso e, purtroppo, a livello hobbistico i prodotti disponibili non sono molto efficaci (e la tolleranza ai principi attivi viene sviluppata velocemente).

Potatura

Sulla corretta potatura delle fuchsie vi sono diverse correnti di pensiero. Ciò che è certo è che sono piante che fioriscono sulla vegetazione dell’anno e quindi vanno potate all’inizio o alla fine dell’inverno. I fautori della prima versione sostengono che in questa maniera si evitino le muffe e la perdita di linfa, quelli della seconda asseriscono che la potatura primaverile favorisca la ripresa vegetativa. Ad ogni modo sono davvero sottigliezze. L’importante è procedere eliminando tutti i rami storti o danneggiati e riducendo la lunghezza degli altri di almeno i 2/3. È anche molto importante procedere entro aprile alla cimatura dei rami in maniera che la pianta risulti molto folta e di conseguenza fiorita. Si procede lasciando un solo nodo al di sopra della vecchia vegetazione. In questa maniera la pianta sarà maggiormente accestita.

Varietà

Fuchsia ibridi

Sono le cultivar che si trovano più spesso in commercio. Di solito derivano da incroci tra la Fucsia fulgens e quella magellanica. Si coltivano in vaso o in panieri sospesi e hanno portamento eretto o decombente. I colori sono i più vari e spessissimo il colore del petali è in contrasto con quello dei sepali. Vi sono cultivar con corolle semplici, seidoppie e doppie. Alcune addirittura hanno foglie di colori decorativi: gialle, bronzo, variegate, dorate. In genere sono poco rustiche.

Fuchsia excorticata

È originaria della Nuova Zelanda ed è una specie arbustiva. È di facile coltura, rustica e può raggiungere i 10 metri di altezza.

Fuchsia procumbens

Anche questa proviene dalla Nuova Zelanda, ha un portamento strisciante. È rustica e quindi in quasi tutta Italia può essere coltivata all’esterno anche in piena terra. Certamente però la collocazione che la valorizza di più è quella in cestini sospesi. È anche ottimo l’utilizzo come pianta d’appartamento.

Fuchsia magellanica

È molto rustica, originaria del Cile. Può raggiungere i 5 m. di altezza. I fiori sono a mazzi di 3 o 4, i tubi rosso intenso e i petali blu violetto.

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Garrya

La Garrya elliptica è un arbusto originario dell’America settentrionale e in età adulta raggiunge i 4-5 metri di altezza.

Ha tronco di colore marrone scuro, con corteccia leggermente fessurata, la chioma è tondeggiante, densamente ramificata; le foglie sono ovali, con margine ondulato, di colore verde scuro, grigiastre sulla pagina inferiore, hanno consistenza cuoiosa e sono leggermente cerose.

In gennaio-febbraio gli arbusti di Garrya elliptica producono lunghi amenti di colore giallastro, più lunghi negli esemplari di sesso maschile, divengono grigio-argento con il passare dei giorni; vengono prodotti all’apice dei rami, da cui ricadono penduli, lunghi anche 20-25 cm. In primavera dagli amenti si staccano piccoli semi scuri, ricoperti da una soffice peluria.

E’ una pianta sempreverde dal portamento eretto che viene spesso utilizzata a scopo ornamentale.

Esposizione
La Garrya elliptica va messa a dimora in luogo soleggiato, o preferibilmente semiombreggiato; queste piante sopportano molto bene il freddo, ma è consigliabile porle a dimora al riparo dai venti e dal sole estivo, soprattutto nelle regioni con temperature estive molto elevate.

Questa pianta per un sviluppo ottimale necessita di alcune ore di esposizione alla luce solare diretta, sempre che le temperature non siano troppo elevate. Quando sono previste temperature molto rigide sarebbe preferibile coprire la base della Garrya elliptica con foglie, paglia o pacciame per garantirle maggiore protezione.

Annaffiature
In genere questi alberi si accontentano delle piogge, poichè non hanno problemi neanche durante lunghi periodi di siccità. Per un mantenimento corretto potrete fornire acqua ogni 2-3 settimane, controllando che il terreno sia ben drenato e asciutto per evitare ristagni d’acqua.

In autunno interrare ai piedi del fusto del concime organico ben maturo.

Alla fine dell’inverno è possibile aggiungere alla terra che circonda la pianta del concime organico o del concime sintetico a lento rilascio. In primavera, poi, sarà possibile aggiungere ogni 15-20 giorni del concime all’acqua con cui si annaffiamo le piante. Il concime da utilizzare in questo periodo dovrà essere ricco di azoto e potassio così che questo favorisca lo sviluppo della nuova vegetazione e di fioriture più rigogliose.

Terreno

Questi arbusti preferiscono terreni ricchi, sciolti e ben drenati, anche se si possono sviluppare senza problemi in qualsiasi terreno, anche asciutto e molto povero. E’ sempre consigliabile aggiungere della sabbia, o altro materiale incoerente, al terreno quando si pongono a dimora queste piante, che temono i ristagni idrici.

Parassiti e malattie

La Garrya elliptica in genere non viene colpita dai parassiti, essendo una pianta piuttosto resistente all’attacco, ma bisogna porre particolare attenzione ai ristagni d’acqua che potrebbero provocarle dei pericolosi marciumi radicali che ne comprometterebbero l’integrità e la salute stessa. Se si ritiene utile è possibile praticare degli interventi preventivi che prevedano l’utilizzo di sostanze insetticide e fungicide per prevenire la possibilità che la pianta sviluppi funghi che la rovinino.

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Genista – Ginestra

Con il termine ginestra vengono indicati, in italiano, alcuni arbusti, sempreverdi o a foglie caduche, molto diffusi tra le piante dei nostri giardini, ed alcune anche nella macchia mediterranea; si tratta di piante appartenenti alla stessa famiglia, ma di generi diversi, e quindi non tutte hanno caratteristiche di coltivazione identiche. Vengono tutte dette ginestre perché la somiglianza dei fiori è assai marcata, tanto che spesso a prima vista si direbbero tutte la stessa pianta.

Il tratto distintivo delle ginestre sono i fiori: una esplosione d’oro, che ricopre l’intera pianta, nei mesi primaverili o estivi. Alcune ginestre sono adatte a vivere in tutta Italia, altre sono leggermente delicate, e necessitano di copertura durante le settimane più fredde dell’inverno; tutte però amano intensamente il sole, e sono perfette per le aiole più luminose e soleggiate del giardino, tanto che moltissime ginestre sono state posizionate come decorazione lungo le autostrade italiane. Oltre alle ginestre giallo oro, le più tipiche e diffuse, esistono ginestre di colori vari, spesso nei toni del rosa.

Il genere genista conta alcune decine di specie di arbusti, a foglia caduca, diffusi in tutta l’area mediterranea; il nome di questo genere deriva dal nome comune ginestra, e quindi forse sono proprio le geniste quelle che possono venire individuate a maggior titolo come ginestre.

In vivaio in genere troviamo soltanto genista lydia, una specie di origine mediorientale, molto apprezzata soprattutto per le dimensioni contenute. Queste ginestre hanno foglia piccole, ovali, che cadono durante i mesi freddi, ma possono restare sulla pianta in caso di inverni particolarmente miti; i fusti sono verdi, eretti, scarsamente ramificati, e tendono a ricadere agli apici; le ginestre tendono a svilupparsi in modo tondeggiante, fino ad una altezza di circa 60-80 cm. Prediligono posizioni molto soleggiate, con climi caldi; non temono la siccità, ma al contrario non amano gli eccessi di annaffiature; durante i mesi invernali non vanno annaffiate e possono sopportare temperature vicine ai -10°C. Da giugno fino a fine estate producono una profusione di piccoli fiori giallo oro. Si coltivano anche in vaso, in modo che nelle zone con inverni decisamente freddi sia possibile porle al riparo dal gel intenso.
Detto anche ginestra spagnola o ginestra profumata, lo spartium junceum è l’unica specie del genere spartium; si tratta di una pianta perenne arbustiva, che produce lunghi fusti cilindrici, semi legnosi, di colore verde chiaro, molto ramificati; il portamento dell’arbusto è assai ampio e ramificato, con gli apici dei rami arcuati. Spesso lo spartium, con il passare degli anni, tende a divenire eccessivamente disordinato, e quindi in genere in autunno viene potato a circa una trentina di centimetri dal terreno, in modo da ottenere, la primavera successiva , una pianta più compatta ed ordinata. Ha foglie minute, e produce in estate fiori dorati, dal caratteristico profumo, molto intenso, utilizzato anche in profumeria. Anche lo spartium è una pianta di origine mediterranea, presente in Italia anche allo stato selvatico; predilige posizioni ben soleggiate e terreni sciolti, molto ben drenati; una volta a dimora da un paio di anni si tratta di un arbusto che non necessita di cure, accontentandosi dell’acqua fornita dalle precipitazioni.

I citisi sono ginestre di origine mediterranea, presenti in Italia anche come piante selvatiche, i chamecitisi erano un tempo appartenenti al genere cytisus, e sono caratterizzati dall’avere fiori in genere lilla o rosati, e fusti prostrati o tappezzanti.

Queste ginestre sono molto diffuse in vivaio, anche perché sono stati prodotti alcuni ibridi, con fior i dal colore vario, dal bianco all’arancione, dal rosa al rosso. Esistono, oltre alle varietà, molte specie, presenti in coltivazione anche in giardino; alcune sono sempreverdi, altre sono a foglia caduca; alcune specie hanno piccole foglie trifogliate, altre fogliame ovale, di colore verde chiaro; la fioritura avviene in primavera oppure in estate, e non sempre si ripete nei mesi successivi. Pur sopportando tranquillamente la siccità, per avere una fioritura continua è consigliabile annaffiare regolarmente, attendendo però che il terreno asciughi perfettamente tra due annaffiature. Le specie e varietà con fusti poco ramificati, tendono con il tempo a lignificare nella parte bassa, sospendendo le fioriture, per questo motivo si sconsiglia di potare le piante a inizio autunno, lasciandole a circa 25-35 cm dal terra, in modo da favorire lo sviluppo di arbusti più compatti. Alcune specie di cytisus non amano il freddo inteso, e quindi in inverno vanno coltivate in serra fredda, o comunque ben coperte con agritessuto e pacciamate alla base del fusto.

 

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Hamamelis

Gli hamamelis sono arbusti di media grandezza, che non superano di norma i 5-6 metri di altezza; la gran parte delle specie sono originarie del nord America, con due specie invece asiatiche; la particolarità che accomuna tutte le specie, a parte hamamelis virginiana, è l’epoca di fioritura: gli hamamelis fioriscono in pieno inverno, con le piante ancora completamente prive di foglie; i fiori quindi spiccano sul legno nudo, e spesso sembrano quasi finti, visto che sbocciano anche con freddo intenso o neve e condizioni climatiche avverse. Hamamelis virginiana invece produce i suoi fiori in autunno; il nome della specie è dato proprio dal comportamento di Hamamelis virginiana: hamamelis significa “assieme ai frutti”; questa specie infatti produce i fiori quando sulla pianta sono maturi i frutti dell’anno precedente. In genere gli hamamelis producono arbusti ampi, a fusto multiplo, globosi e dalla chioma abbastanza disordinata, non regolare; le foglie sono ampie, ovali, di colore verde scuro, attraversare da vistose venature in rilievo. I fiori sbocciano privi di picciolo, quindi direttamente dal legno, e sono costituiti da alcune brattee di colore scuro, che sottendono i petali dal fiore, sottili, quasi lineari, e dall’aspetto stropicciato; il risultato finale è una sorta di pompon disordinato, di colore giallo limone. Esistono varietà e specie con fiori scuri, arancioni, rosati o porpora.

Coltivazione

In vivaio in Italia troviamo solo specie rustiche di hamamelis, e in genere si tratta di ibridi, che vanno sotto il nome di hamamelis x intermedia; si tratta di ibridi delle specie sopra elencate, e possono avere fiori gialli, arancioni, rosa o rossi. Tipicamente sono reperibili solo specie e varietà a fioritura invernale, in quanto questa caratteristica è quella che più contraddistingue queste piante. Questi grandi arbusti producono radici rizomatose, quindi per ben svilupparsi necessitano di un terreno soffice e profondo, che non impedisca alle radici d svilupparsi al meglio; non amano i terreni pesanti ed argillosi, e necessitano di un substrato leggermente acido, ottenuto mescolando alla terra da giardino del terriccio per piante acidofile, o della torba. Sono piante vigorose e rustiche, che dopo circa un paio di anni dopo la messa a dimora in genere non necessitano di molte cure; appena posti nel nostro giardino invece andranno annaffiati regolarmente, ma solo quando il terreno è ben asciutto. In primavera ed in autunno fertilizziamo il terreno attorno alla pianta, con del concime granulare a lenta cessione, che andrà leggermente interrato. Dopo la fioritura, a inizio primavera, è consigliabile potare gli apici dei rami, per favorire uno sviluppo più denso e compatto, e per evitare che, con il passare degli anni, il nostro hamamelis tenda a svuotarsi nella parte bassa. La maggior parte delle specie, piuttosto che svilupparsi come arbusto singolo, tendono con il tempo a produrre numerosi polloni basali, allargandosi a formare una sorta di boschetto; per evitare questo comportamento è consigliabile, in primavera o in autunno, rimuovere i polloni, prima che si sviluppino eccessivamente.

Prediligono posizioni soleggiate o semiombreggiate; la presenza di molte ore di luce solare diretta favorisce una fioritura più abbondante.

Usi

In genere la gran parte di noi ha sentito nominare l’Amamelide, ma non in quanto pianta ornamentale; estratti della corteccia di hamamelis (soprattutto Hamamelis virginiana) vengono infatti utilizzati in prodotti per la pelle, dai detergenti fino alle creme idratanti. Già i nativi americani utilizzavano il decotto di corteccia di amamelide nella loro medicina, in quanto risultava molto utile per fermare le emorragie e favorire la cicatrizzazione delle ferite. In effetti la corteccia di Amamelide contiene tannini, mucillaggini, flavonoidi ed altri principi attivi, che manifestano un effetto fortemente astringente, emostatico, vasocostrittore ed antisettico. L’hamamelis viene quindi utilizzato per favorire il miglioramento della pelle arrossata o infiammata, anche quando si tratta delle delicata epidermide dei bambini; ma si utilizza l’hamamelis anche in caso di escoriazioni, emorroidi, cellulite, couperose.

Varietà di Amamelide

Hamamelis virginiana

Hamamelis virginiana Questa specie è originaria dell’America settentrionale; ha grandi foglie obovate, decidue; la fioritura comincia quando la pianta è ancora colma di foglie, e prosegue fino ad autunno inoltrato, quando sulla pianta rimangono solo i fiori nuovi, ed i frutti dell’anno precedente, ovvero delle capsule legnose che contengono i semi. Arbusto decisamente rustico, che non teme il freddo, anche quando il gelo scende al di sotto dei -10°C.

Amamelide – Hamamelis virginiana
amamelide L’amamelide è un albero molto interessante e con molte virtù. Purtroppo nel nostro paese non sono molto diffusi ed è veramente un peccato: da vicino, infatti, sono davvero di una bellezza rara e hanno…
Amamelide coltivazione – Hamamelis
amamelide Al genere hamamelis appartengono meno di dieci specie di arbusti o piccoli alberelli, diffusi in natura in America (hamamelis virginiana) e in Asia (principalmente Hamamelis vernalis, Hamamelis japoni…

Hamamelis vernalis Altra specie originaria dell’America settentrionale, di dimensioni abbastanza contenute, è tra le specie più facilmente riscontrabili nei giardini e nei vivai italiani; le foglie sono ovali, dall’aspetto ruvido, di colore verde scuro, di solito permangono a lungo sulla pianta, anche nei primi mesi invernali. Producono i tipici fiori di amamelide, ma di colore scuro, anche arancione, a partire da gennaio fino alla primavera; i fiori sono molto profumati, e la fioritura è molto prolungata. Arbusto rustico, non necessita di grandi cure o di particolari attenzioni.

Hamamelis ovalis

Specie poco conosciuta e poco diffusa, in natura questi amamelidi sono presenti nella zona circostante il fiume Mississippi; la particolarità che li distingue dagli altri hamamelis è fondamentalmente da riscontrarsi nel colore dei fiori, che sono spesso rossi o rosati, con petali allungati. Questi arbusti sono abbastanza rustici, ma temono le gelate intense; difficilmente si trovano in vivaio in Italia. Il fogliame è grande, di forma ovale, e presenta le caratteristiche venature incise, che danno alle foglie un aspetto ruvido.

Hamamelis japonica

Specie diffusa in natura in Giappone, questo amamelide è rustico e resistente, con fogliame deciduo, di colore verde scuro. I fiori sono delicatamente profumati, e sbocciano in pieno inverno, fino alla primavera; la corolla è rosso scuro, quasi marrone, e i petali sono giallo oro; i fiori sbocciano a mazzetti, sul legno spoglio. Pianta difficile da reperire in vivaio, in effetti questo hamamelis viene molto utilizzato negli ibridi orticoli, e quindi è facile trovare varietà di amamelide che hanno H. japonica tra i progenitori. Le foglie in autunno divengono di colore rosso o arancio prima di cadere.

 

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Hedera  (Edera)

Hedera L., 1753 è un genere di piante della famiglia delle Araliaceae, comprendente numerose specie, tra cui la comunissima edera (Hedera helix), pianta lianiforme rampicante, comune nei giardini e nei nostri boschi dal mare al monte; ha fusti lignificati ramosi, aderisce facilmente al substrato grazie alle radici avventizie aggrappanti, raccolte in tipici fascetti, le foglie sono lungamente picciolate, coriacee, intere di colore verde scuro; mostra evidente eterofillia con foglie palmato-lobate sui rami vegetativi, e ovato-romboidali sui rami fioriferi che portano in settembre o inizio ottobre piccoli fiori verdastri; produce piccole bacche nerastre o giallognole contenenti due o tre noccioli.

Le specie coltivate come piante ornamentali sono varietà e ibridi ottenuti da Hedera helix a foglie variegate o da Hedera canariensis a foglie più grandi.

In Italia, l’edera è il simbolo del Partito Repubblicano Italiano.

Tassonomia

Comprende le seguenti specie e sottospecie:

Hedera algeriensis Hibberd
Hedera azorica Carr.
Hedera canariensis Willd.
Hedera colchica K. Koch
Hedera cypria McAllister
Hedera helix L.
H. helix subsp. helix
H. helix f. poetarum (Nyman)
H. helix subsp. rhizomatifera McAllister
Hedera hibernica Carr.
Hedera maderensis K. Koch ex Rutherford
Hedera maderensis subsp. maderensis
Hedera maderensis subsp. iberica
Hedera maroccana McAllister
Hedera nepalensis K. Koch
Hedera nepalensis var. sinensis Rehder
Hedera pastuchovii G. Woronow
Hedera rhombea Miq.
Tradizione e mitologia

L’edera è uno dei simboli arcaici di Dioniso, chiamato anche kissos in greco che è anche il nome della pianta. Il legame tra il dio e la pianta è ricordato da due racconti mitologici. Nel primo Dioniso viene abbandonato dalla madre Semele, ed egli si rifugia sotto un’edera da cui prenderà il nome. Nel secondo mito si dice che Kissos era figlio di Dioniso e che un giorno il giovane morendo venne trasformato per pietà dalla dea Gea nella pianta che da allora ne porta il nome. Dioniso era rappresentato con una corona di edera in testa mentre il tirso, un bastone nodoso, era avvolto dalle sue foglie. Siccome Bacco era considerato il dio del trasporto mistico ma anche di quello amoroso, l’edera divenne un simbolo di passione (la passione che brucia così come la pianta che secca l’albero che avvolge); così anche in India dove l’edera è considerata emblema della concupiscenza.

Un’usanza ancora praticata qualche decennio fa vedeva appendere frasche d’edera sull’uscio delle cantine per segnalare la mescita del vino, donato dal dio dell’ebbrezza agli uomini.
Coltivazione

Desidera posizioni fresche ai mezz’ombra o ombra, (come muri rivolti a Nord), terriccio di bosco leggero, ricco di humus, non necessita di cure particolari; per mantenere una forma compatta necessita di potature in primavera. La moltiplicazione avviene facilmente per semina o talea.
Proprietà medicinali
Avvertenza
Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.

Tutti i derivati dell’edera sono velenosi e da usarsi con estrema cautela, soprattutto nei bambini o in soggetti defedati.
Le foglie fresche pestate o ridotte in succo applicate per uso esterno sono detersive, antireumatiche, antinevralgiche.
Il decotto di foglie fresche viene utilizzato per bagni antireumatici, per la nevrite e l’artrite.
La pomata (ottenuta con il 15% di prodotto secco polverizzato e il restante 85% da grasso) viene usata per frizioni antidolorifiche.

L’edera è un arbusto assolutamente non commestibile in nessuna parte. Si usano le foglie per decotti, mentre i frutti sono velenosi. I principi attivi sono ederina, flavonoidi, ederagenina, acido clorogenico.

L’infuso di foglie raccolte in estate e fatte seccare lentamente, ha proprietà emmenagoghe, balsamiche ed espettoranti.
L’infuso di una manciata di foglie in circa due litri d’acqua, può essere usato dopo lo shampoo come trattamento per rendere i capelli più scuri e lucidi.
Il succo o il decotto delle bacche velenose, raccolte dall’inverno alla primavera, ha proprietà purgative, emetiche, antibiliari, sudorifere.

Il decotto di foglie di edera era usato nelle zone rurali per il lavaggio degli indumenti di lana.

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Hibiscus (Ibisco)

Arbusto a foglie caduche, originario dell’Asia, molto diffuso in coltivazione come pianta ornamentale, nei giardini e come arredo urbano. Ha portamento eretto, ben ramificato, e raggiunge i 2-3 metri di altezza; la corteccia è grigia, liscia, tende a divenire rugosa e profondamente segnata con il passare degli anni. Il fogliame è di forma ovale, presenta tre lobi di forma varia, più o meno evidenti a seconda dell’esemplare; di colore verde medio, le foglie sono seghettate. Dalla primavera inoltrata fino ai freddi autunnali produce, all’apice dei fusti, grandi fiori solitari, a forma di campana, di colore vario, nei toni del rosa, del bianco e del viola, con gola in colore contrastante; esistono numerose cultivar di ibisco, con fiori dai colori più vari, ed anche a fiore doppio o stradoppio. Queste piante hanno uno sviluppo abbastanza vigoroso, quindi è consigliabile potarle dopo la fioritura, prima dell’arrivo dell’inverno, ed intervenire anche a fine inverno, levando i rami rovinati o eccessivamente e disordinati; la potatura a fine inverno ha anche il vantaggio di favorire lo sviluppo di nuovi rami, che porteranno i fiori. Ai fiori seguono i frutti, grosse capsule semilegnose, di forma ovale, che contengono i semi.
E’ una pianta molto apprezzata per fini ornamentali, sia all’esterno che all’interno. Stiamo parlando dell’ibisco, specie erbacea che presenta dei fiori molto vistosi e altamente decorativi. Nei prossimi paragrafi, un’interessante scheda di coltivazione dedicata alle caratteristiche e alla cura dell’ibisco. L’ibisco, nome botanico hibiscus è una pianta erbacea a portamento e forma arbustiva. Questa specie appartiene alla famiglia delle Malvaceae ed è originaria dell’Asia. E’ diffusa praticamente in tutto il mondo, anche a Tahiti, come dimostrano anche dei dipinti del famoso pittore Gauguin. La pianta è a foglia caduca, ovvero perde l’apparato fogliare durante l’autunno. Nelle zone fredde viene coltivata all’interno, mentre nelle regioni con clima mite viene coltivata all’esterno, sia in giardino che su terrazzi e balconi. Alcune varietà di ibisco, come l’hibiscus rosainsensis, sono perenni, cioè sempreverdi.
Esposizione
L’ibisco è una pianta che ama molto la luce ed il caldo, predilige posizioni molto luminose, esposte direttamente ai raggi solari e ama le estati molto calde e lunghe. Può sopravvivere anche in condizioni avverse, anche se l’eccessiva ombra causa scarse fioriture, così come un’estate molto fresca. Alcune specie di ibisco non temono il freddo e possono sopportare senza problemi gelate intense anche di lunga durata, anche se può capitare che alcuni dei rami dissecchino a causa del freddo
Annaffiature
Annaffiare le giovani piante da poco messe a dimora, in modo da favorire lo sviluppo dell’apparato radicale; queste piante sono moto rustiche e di facile coltivazione: possono sopportare lunghi periodi di siccità, ed anche brevi periodi con presenza di acqua stagnante sulle radici. Per una buona fioritura annaffiamo quando il terreno rimane asciutto per troppo tempo, fornendo del concime per piante da fiore, ogni 15-20 giorni, mescolato all’acqua delle annaffiature.

Foglie e fiori
La pianta presenta grandi foglie verdi e ovali con margini dentati. I fiori, molto grandi e vistosi, presentano una forma a imbuto da cui sporgono i pistilli e gli stami, ovvero gli organi maschili. Queste infiorescenze hanno una colorazione che va dal rosso, al giallo, al rosa e all’arancione. I petali del fiore di hibiscus possono essere singoli o doppi, dipende dalla varietà. La fioritura avviene durante la stagione estiva.

Terreno
Si accontentano di qualsiasi terreno, anche povero e sassoso; prediligono terreni freschi, mediamente ricchi di humus, conun buon drenaggio. L’ibisco può essere coltivato in vaso, ponendolo in un recipiente capiente; va rinvasato ogni 2-4 anni. L’hibiscus gradisce terreni ricchi di humus, umidi, permeabili e ben drenati. La pianta può essere facilmente coltivata in vasi di grandi dimensioni. La sostituzione del contenitore, ovvero il rinvaso, deve avvenire ogni uno o due anni in primavera. Il vaso deve essere leggermente più grande del precedente. Si consiglia di non superare i trenta centimetri di diametro. Il terriccio del rinvaso deve essere uguale a quello usato per la prima messa a dimora.

Moltiplicazione

Avviene generalmente per seme, in primavera, l’ibisco tende con facilità ad autoseminarsi; in primavera si praticano anche talee, prelevandole dai rami che non hanno portato fiori; la talea si rende necessaria se si vuole propagare una cultivar con particolare fioritura, poiché da seme è difficile ottenere piante identiche alla pianta madre. L’ibisco si propaga per semina e per talea. La pianta è addirittura capace di autoinseminarsi. L’interramento dei semi però non garantisce un veloce sviluppo della pianta, ecco perché è meglio ricorrere alla propagazione per talea. Questa, di natura semilegnosa, va interrata in primavera in una miscela di sabbia e torba.

Parassiti e malattie

I nuovi germogli vengono molto spesso attaccati dagli afidi, che portano anche allo sviluppo di fumaggini; durante l’estate il fogliame può venire vistosamente rovinato degli acari, che si posano sulla pagina inferiore delle foglie.

Temperatura ed esposizione

La pianta gradisce le esposizioni luminose ma non al sole diretto. Bisogna anche posizionarla lontano dalle correnti d’aria. Non è detto che la pianta non resista anche al gelo e al freddo, ma in questo caso si assiste al disseccamento dei rami. L’hibuscus è infatti sensibile alle basse temperature, ecco perché in inverno bisogna coltivarlo in casa. Con il caldo e le temperature miti, invece, la pianta produce delle splendide fioriture. Un’estate fresca o un inverno freddo non causano la morte dell’ibisco, ma solo l’interruzione della fioritura. Durante l’estate bisogna anche ricordarsi di proteggerlo dai raggi del sole durante le ore più calde.
Potatura e malattie

L’hibiscus non necessita di potature eccessive. Basta rimuovere solo i fiori appassiti e le parti secche o danneggiate. Le foglie, invece, vanno semplicemente pulite usando un panno umido. In primavera, per rafforzare i rami, può essere utile eseguire una lieve potatura. L’hibiscus è una specie resistente alle malattie. Le avversità che possono colpirla sono i ristagni idrici, la caduta dei fiori, che non durano più di due giorni, gli afidi, che attaccano i germogli e causano anche la fumaggine, e gli acari che infestano la pagina superiore delle foglie.

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Hippophae

Il genere hippophae fa parte della famiglia delle Eleagneaceae e comprende 3 specie: l’H. rhamnoides, l’H. salicifolia, e l’h. tibetana. Solo la prima pianta, di cui parleremo in modo particolare, è molto diffusa in coltivazione perché è l’unica ad avere doti ornamentali. Il rhamnoides, che viene anche chiamato olivello spinoso, è un arbusto che si trasforma facilmente in albero. L’altezza può andare da 2 metri anche fino ai nove. In generale però si attesta sui 3.

È originario di tutta l’Europa e dell’Asia e il suo habitat ideale è la riva dei fiumi con un terreno sabbioso o comunque calcareo. I rami inizialmente sono fessurati verticalmente e di un color grigio spento, ma col tempo diventano nerastri. Sono muniti di spine apicali e laterali. Le foglie sono lunghe fino a 7 cm e larghe 1,5, non dentate, argentee e squamose sulle due pagine.

Fiorisce in maniera abbondante con fiori portati da corti racemi contemporaneamente alla comparsa delle foglie, nel mese di aprile. Essendo una pianta dioica vi sono esemplari che portano solo fiori maschili e altri che portano solo fiori femminili. Conseguentemente se in giardino si vogliono ottenere i frutti bisogna dotarsi di entrambe le piante. Questi sono a bacca ovoidale, lunga dai 6 agli 8 mm, arancioni e contengono un unico seme, marrone. Compaiono verso settembre, in grappoli densi che rivestono i rami. Sono molto persistenti e spesso durano per tutto l’inverno perché poco graditi agli uccelli.

Questi arbusti generalmente cominciano a produrre frutti dopo tre anni dall’impianto e entrano in piena produzione quando raggiungono i 7-8. I maschi fioriscono un po’ prima delle femmine per un periodo che dura dai 6 ai 12 giorni. Dal momento dell’impollinazione è necessario aspettare almeno 12 settimane perché i frutti giungano a maturazione.

Arbusto di media grandezza, con foglie caduche, originario dell’Europa e dell’Asia; ha crescita abbastanza rapida e può raggiungere i 3-4 metri di altezza. Il fusto è eretto, molto ramificato, i rami sono muniti di lunghe spine; gli esemplari giovani hanno chioma disordinata, che tende a divenire tondeggiante o ad ombrello con il passare degli anni. Le foglie sono opposte, lineari, lunghe 5-8 cm, di colore verde-grigiastro sulla pagina superiore, più chiare, quasi biancastre, sulla pagina inferiore. Si tratta di arbusti dioici, quindi i fiori maschili e quelli femminili sbocciano su piante separate, ed è quindi necessario avere almeno due esemplari, uno per sesso, di hippophae per ottenere i frutti. i fiori sono giallo-verdastri, poco decorativi, sbocciano prima che appaiano le foglie, in marzo-aprile. In estate gli esemplari femminili producono i frutti, molto simili ad olive, ma di colore giallo aranciato; i frutti di olivello spinoso si dispongono lungo i rami, sono commestibili, pur avendo un sapore abbastanza acido e si possono utilizzare per produrre sciroppi. Queste piante vengono utilizzate per siepi decidue o anche come esemplari singoli; la loro capacità di consolidare il terreno, con un apparato radicale ben sviluppato, e la presenza nelle loro radici di batteri azoto fissatori rende gli olivelli spinosi molto adatti anche per consolidare terreni franosi, o anche nelle aiole ai bordi delle strade.

Esposizione

porre a dimora in luogo soleggiato, o comunque molto luminoso; non temono il freddo e sopportano molto bene anche l’inquinamento e la presenza di sale marino nel terreno e nell’acqua di irrigazione.

Terreno

Si sviluppano senza problemi in qualsiasi terreno, anche nella comune terra da giardino, purché non sia eccessivamente arido.

Moltiplicazione

Avviene per seme, in primavera, oppure per talea, in primavera o a fine estate.

Parassiti e malattie

In genere non vengono attaccati da parassiti o da malattie.

 

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Hydrangea (Ortensia)

Hydrangea L. è un genere di piante floreali della famiglia delle Hydrangeaceae.
Il nome più diffuso di ortensia (nome volgare) deriva da un altro nome scientifico del medesimo genere, Hortensia, che gli fu attribuito dal naturalista Philibert Commerson che la “scoprì” nel 1771 durante un lungo viaggio di studio a Bougainville, in Asia e in Madagascar. Sembra che il nome sia stato dato in onore della signora Nicole-Reine Lepaute, familiarmente chiamata appunto Ortensia; ma la cosa non è appurata con certezza.[3]

Le due scoperte, una in Nordamerica, l’altra in Asia, corrispondevano a due specie diverse, ma le due specie furono riconosciute come appartenenti a uno stesso genere. Per il criterio di precedenza, prevalse il nome Hydrangea (ufficializzato nel 1753) su Hortensia (ufficializzato solo nel 1773). Il secondo nome, tuttavia, è rimasto nell’uso popolare come nome volgare, a spese del primo.
Descrizione

Il genere comprende diverse specie di piante legnose arbustive. La particolarità di questa pianta sono i fiori, riuniti in infiorescenze più o meno sferiche, dette corimbi o pannocchie, che portano fiori per lo più sterili, soprattutto quelli esterni, per cui sono sostituiti dai sepali, grandi e petaliformi, mentre le altre parti fiorali sono abortite.
Colore e acidità del suolo

Nella maggior parte delle specie i fiori sono bianchi, ma in alcune (come H. macrophylla), possono essere blu, rossi, rosa, violetto o viola scuro. Questi cambiamenti si devono al differente pH del suolo.[4][5] In particolare per la H. macrophylla e la H. serrata se il terreno è acido (pH inferiore a 6) si avranno fiori tendenti al blu. se invece è basico/alcalino (pH superiore a 6) i fiori saranno rosati.[6] Il cambiamento è dovuto al pigmento del fiore che è sensibile alla presenza di ioni d’alluminio.
Distribuzione e habitat

Il genere è particolarmente rappresentato nella flora naturale della Cina ma comprende anche specie di altre regioni dell’Asia orientale (p.es. Hydrangea petiolaris in Giappone e Corea, Hydrangea kawakamii endemica di Taiwan, Hydrangea anomala nell’Himalaia fino alla Birmania ecc.).

Inoltre appartengono a questo genere alcune specie americane, sia nella parte Nord (p.es. Hydrangea arborescens negli USA orientali) che più a sud (p.es. Hydrangea peruviana in Sudamerica e aree adiacenti dell’America Centrale).
Tassonomia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Specie di Hydrangea.

La specie Hydrangea macrophylla comprende numerose varietà con grosse infiorescenze globose bianche, rosa, rosse o azzurre, utilizzate per la produzione in vaso o nei giardini.
Altre specie del genere Hydrangea sono l’H. paniculata, arbusto con ramificazioni sottili e decombenti sotto il peso delle piccole infiorescenze bianche, che viene coltivata a forma di alberetto o cespuglio e si moltiplica per talea e l’H. arborescens, arbusto con foglie decidue e fiori profumati.

Descrizione

Il genere comprende diverse specie di piante legnose arbustive. La particolarità di questa pianta sono i fiori, riuniti in infiorescenze più o meno sferiche, dette corimbi o pannocchie, che portano fiori per lo più sterili, soprattutto quelli esterni, per cui sono sostituiti dai sepali, grandi e petaliformi, mentre le altre parti fiorali sono abortite.
Colore e acidità del suolo

Nella maggior parte delle specie i fiori sono bianchi, ma in alcune (come H. macrophylla), possono essere blu, rossi, rosa, violetto o viola scuro. Questi cambiamenti si devono al differente pH del suolo.[4][5] In particolare per la H. macrophylla e la H. serrata se il terreno è acido (pH inferiore a 6) si avranno fiori tendenti al blu. se invece è basico/alcalino (pH superiore a 6) i fiori saranno rosati.[6] Il cambiamento è dovuto al pigmento del fiore che è sensibile alla presenza di ioni d’alluminio.
Distribuzione e habitat

Il genere è particolarmente rappresentato nella flora naturale della Cina ma comprende anche specie di altre regioni dell’Asia orientale (p.es. Hydrangea petiolaris in Giappone e Corea, Hydrangea kawakamii endemica di Taiwan, Hydrangea anomala nell’Himalaia fino alla Birmania ecc.).

Inoltre appartengono a questo genere alcune specie americane, sia nella parte Nord (p.es. Hydrangea arborescens negli USA orientali) che più a sud (p.es. Hydrangea peruviana in Sudamerica e aree adiacenti dell’America Centrale).
Tassonomia
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Specie di Hydrangea.

La specie Hydrangea macrophylla comprende numerose varietà con grosse infiorescenze globose bianche, rosa, rosse o azzurre, utilizzate per la produzione in vaso o nei giardini.
Altre specie del genere Hydrangea sono l’H. paniculata, arbusto con ramificazioni sottili e decombenti sotto il peso delle piccole infiorescenze bianche, che viene coltivata a forma di alberetto o cespuglio e si moltiplica per talea e l’H. arborescens, arbusto con foglie decidue e fiori profumati.

Grandiflora

La più frequente è la Ortensia

Altezza: raggiunge i 300 centimetri

Foglia: ovale, verde scuro, seghettatura ai margini

Fioritura: da giugno a settembre

Infiorescenza: a forma di pannocchia, bianca, si tinge di uno splendido rosa

antico verso la fine della fioritura.

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Hypericum (Iperico)

L’iperico (L.) (nome scientifico Hypericum perforatum ma comunemente nota anche col nome di erba di San Giovanni), è una pianta officinale perenne semisempreverde appartenente alla famiglia delle Clusiaceae (Guttiferae) e al genere Hypericum. Fa parte della medicina tradizionale per via delle sue proprietà fitoterapeutiche, in particolare quelle antidepressive e antivirali. Le origini del suo uso come erba medicinale sono molto antiche e se ne trova traccia negli scritti di molti secoli fa.

Etimologia
Il nome specifico perforatum deriva dal fatto che le foglioline, controluce, appaiono bucherellate, effetto dovuto a ghiandole traslucide presenti anche nei sepali e nei petali.
I nomi comuni e volgari sono invece molti. Il più comune è Erba di San Giovanni. Questo epiteto è legato al fatto che la fioritura massima si ha verso il 24 giugno, ricorrenza di San Giovanni[2]. Il nome di erba dall’olio rosso è dovuto al colore dell’essudato rilasciato dai fiori ricco nel principio attivo ipericina; il nome “scacciadiavoli”, molto usato nei secoli passati, deriverebbe dal fatto che quest’erba consacrata a San Giovanni e dalle molteplici proprietà terapeutiche, si riteneva fosse efficace contro ogni tipo di male; un’altra spiegazione si ricongiungerebbe ad una delle teorie etimologiche del nome scientifico, ossia quella dell’uso di appenderla sopra le icone per scacciare gli spiriti maligni. Infine il termine pilatro sembra derivi dal greco pylè – “meato”, in riferimento alla bucherellatura delle

Morfologia
È una pianta perenne semi-sempreverde, glabra, con fusto eretto percorso da due strisce longitudinali in rilievo. È ben riconoscibile anche quando non è in fioritura perché le sue foglie in controluce appaiono “bucherellate”: si tratta in realtà di piccole vescichette oleose da cui deriva il nome perforatum; ai margini sono invece visibili dei punti neri, strutture ghiandolari contenenti Ipericina (un olio color rosso), queste strutture ghiandolari sono presenti soprattutto nei petali. Le foglie sono opposte oblunghe. I fiori giallo oro hanno 5 petali delicati e sono riuniti in corimbi.

Habitat
Preferisce boschi radi e luminosi, comunque all’aperto per tutto l’anno, poiché non teme il freddo. Originario dell’arcipelago britannico, è oggi diffuso in tutte le regioni d’Italia e nel resto del mondo. Predilige posizioni soleggiate o semiombreggiate e asciutte, come campi abbandonati ed ambienti ruderali.

Caratteristiche generali:

La famiglia include 1350 specie in 47 generi, comuni soprattutto nelle regioni tropicali ma anche in quelle delle regioni temperate. Sono per lo più alberi, suffrutici, liane e piante erbacee, con succo o lattice resinoso giallo o fortemente colorato. Include i generi una volta classificati nella famiglia Hypericaceae.

Il genere Hypericum comprende 400 specie, la cui altezza varia dai 30 ai 70 cm a seconda della specie.

Arbusto sempreverde, rustico, di piccole dimensioni, legnoso alla base, erbaceo nella parte superiore e dotata di corto rizoma.

E’ di facile coltivazione e presenta bellissime fioriture giallo vivo in estate.

Il singolo fiore possiede 5 petali e moltissimi stami vistosi.

Le foglie sono opposte, molto fitte e di forma oblungo ellittica.

Nel Giardino degli Angeli è presente l’Hypericum patulum “ Hidcote”

Forma un cespuglio compatto, dalla crescita veloce. Può raggiungere un’altezza di 1,50-1,70 mt. e una larghezza di 1,20-1,50 mt.

Semisempreverde ha foglie ovato-lanceolate verde scuro, glauche sulla pagina inferiore e fiori molto decorativi di colore giallo oro con stami evidenti arancione.

Epoca fioritura da luglio a ottobre.

E’ molto utile per il consolidamento delle scarpate. Non necessita di cure particolari essendo una specie molto rustica resiste fino a -30/-20 °C, ed adattabile.

La riproduzionesi esegue per talea.

Si prelevano, da luglio a settembre, talee lunghe 10-12 cm dai germogli laterali non fioriferi, preferibilmente con una porzione di ramo portante; si piantano in un miscuglio di torba e sabbia e si fanno svernare in un luogo riparato dal gelo. In aprile o in maggio si trapiantano in vivaio.
Coltivazione:

Non ha particolari esigenze di terreno, si adatta anche a substrati poveri e sabbiosi.

Può essere esposta sia a mezz’ombra che a pieno sole dove però prospera molto meglio.

Si piantano in ottobre o in aprile, con una densità di 3 piante al mq.

E’ molto resistente alla siccità.

In marzo e in giugno somministrare un fertilizzante completo.

La potatura avviene in marzo, accorciando i rami dell’anno precedente, lasciando una porzione del legno vecchio con poche gemme.

Potare al livello della terra in caso di imbrunimento di rami e foglie nel periodo invernale o in quello primaverile.
Malattie Parassiti Avversità:

La ruggine è l’unica malattia che può colpire la pianta, semplicemente curabile con medicinali specifici.

Se viene colpita, la pianta presenta foglie con piccole macchie gialle o arancioni e rallenta la sua crescita.
Uso in cucina:

Non trova impiego in ambito culinario ma, per le sue proprietà aromatiche e digestive è usato per produrre liquori.
Proprietà terapeutiche:

Le foglie e le sommità fiorite, sono raccolte in estate e fatte essiccare all’ombra. La droga che se ne ricava ha proprietà antidepressive, sedative, antibatteriche e lenitive.

L’olio di Iperico è utilizzato per la cura dei reumatismi ed in cosmesi per dare tono alla pelle avvizzita.
Curiosità:

E’ conosciuto genericamente come erba di San Giovanni.

In realtà l’erba di S. Giovanni è riferito all’ Hypericum perforatum .

Il 24 giugno viene effettuata la raccolta delle sue sommità fiorite. In alcune zone è noto anche con il nome di “erba scacciadiavoli”, veniva bruciata in casa proprio per allontanare spiriti maligni.

E’ stata considerata un’erba magica per secoli, in generale protettiva contro i fantasmi, i fulmini e la stregoneria.

I latini lo consideravano una delle piante più solari esistenti in natura. Il suo nome infatti significa “cum-hyperione” cioè il padre dell’aurora e del sole.
Zone del Giardino in cui si trova:
La Montagna.

 

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Ilex -(Agrifoglio)

L’agrifoglio è un alberello o un grande arbusto sempreverde, che può raggiungere i dieci metri di altezza, originario dell’Europa centrale e meridionale e di parte dell’Asia; in effetti in natura è più probabile incontrare agrifogli di dimensioni più contenute, intorno ai 3-5 m di altezza, strutturati come arbusti globosi, con una chioma piramidale e uno o più fusti principali. Il nome botanico è Ilex aquifolium; il fogliame è di colore verde scuro, e questi arbusti presentano una particolarità peculiare: le foglie giovani e nella parte bassa dell’arbusto sono munite di spine acuminate, che rendono il margine fogliare ondulato; le foglie più vecchie e nella parte alta dell’arbusto invece hanno margine lineare e hanno perso le spine, e quindi sono di forma ovale.

I fusti sono molto ramificati, a creare una chioma densa, i rami hanno corteccia liscia e sono di colore verde o grigio; in primavera l’agrifoglio produce piccoli fiori; trattandosi di una pianta dioica alcuni agrifogli hanno solo fiori maschili, di colore giallastro, mentre altri agrifogli hanno solo i fiori femminili, di colore bianco o rosato, riuniti in mazzetti all’ascella fogliare.

Solo i fiori femminili lasceranno il posto ai frutti: delle drupe tonde, di dimensioni minute e di colore rosso; quindi, se vogliamo coltivare agrifoglio che sia pieno di bacche, prima di tutto dovrà essere un esemplare femminile, e secondariamente, nei pressi dovrà per forza esserci almeno un esemplare maschile. Gli agrifogli vengono coltivati da secoli in Europa, sia come piante ornamentali, ma soprattutto come piante benauguranti, in quanto anticamente già gli antichi romani utilizzavano rami di questa pianta come ornamenti propizi durante le festività del solstizio d’inverno; questo uso si è mantenuto fino ai giorni nostri, visto che l’ilex aquifolium viene utilizzato per decorate le case nel periodo natalizio; il colore vivace del fogliame e delle bacche rosse sicuramente rende questa pianta molto gradevole, soprattutto nel giardino invernale, quando la maggior parte delle altre piante sono grigie e senza fogliame; nel bosco gli agrifogli spiccano solo in inverno, perché per il resto dell’anno passano del tutto inosservati.

La coltivazione nel corso degli anni ha portato alla creazione di svariati ibridi e cultivar; tipicamente nei giardini è difficile vedere un agrifoglio con fogliame verde scuro, tipicamente si preferiscono le varietà con il margine chiaro, in contrasto, o con il margine giallastro, o con foglie variegate. Esistono anche varietà nane, dallo sviluppo compatto, e varietà le cui foglie mantengono le spine per lungi anni.

Coltivazione

L’agrifoglio è un alberello o un grande arbusto sempreverde, che può raggiungere i dieci metri di altezza, originario dell’Europa centrale e meridionale e di parte dell’Asia; in effetti in natura è più probabile incontrare agrifogli di dimensioni più contenute, intorno ai 3-5 m di altezza, strutturati come arbusti globosi, con una chioma piramidale e uno o più fusti principali. Il nome botanico è Ilex aquifolium; il fogliame è di colore verde scuro, e questi arbusti presentano una particolarità peculiare: le foglie giovani e nella parte bassa dell’arbusto sono munite di spine acuminate, che rendono il margine fogliare ondulato; le foglie più vecchie e nella parte alta dell’arbusto invece hanno margine lineare e hanno perso le spine, e quindi sono di forma ovale.

I fusti sono molto ramificati, a creare una chioma densa, i rami hanno corteccia liscia e sono di colore verde o grigio; in primavera l’agrifoglio produce piccoli fiori; trattandosi di una pianta dioica alcuni agrifogli hanno solo fiori maschili, di colore giallastro, mentre altri agrifogli hanno solo i fiori femminili, di colore bianco o rosato, riuniti in mazzetti all’ascella fogliare.

Solo i fiori femminili lasceranno il posto ai frutti: delle drupe tonde, di dimensioni minute e di colore rosso; quindi, se vogliamo coltivare agrifoglio che sia pieno di bacche, prima di tutto dovrà essere un esemplare femminile, e secondariamente, nei pressi dovrà per forza esserci almeno un esemplare maschile.
Gli agrifogli vengono coltivati da secoli in Europa, sia come piante ornamentali, ma soprattutto come piante benauguranti, in quanto anticamente già gli antichi romani utilizzavano rami di questa pianta come ornamenti propizi durante le festività del solstizio d’inverno; questo uso si è mantenuto fino ai giorni nostri, visto che l’ilex aquifolium viene utilizzato per decorate le case nel periodo natalizio; il colore vivace del fogliame e delle bacche rosse sicuramente rende questa pianta molto gradevole, soprattutto nel giardino invernale, quando la maggior parte delle altre piante sono grigie e senza fogliame; nel bosco gli agrifogli spiccano solo in inverno, perché per il resto dell’anno passano del tutto inosservati.

La coltivazione nel corso degli anni ha portato alla creazione di svariati ibridi e cultivar; tipicamente nei giardini è difficile vedere un agrifoglio con fogliame verde scuro, tipicamente si preferiscono le varietà con il margine chiaro, in contrasto, o con il margine giallastro, o con foglie variegate. Esistono anche varietà nane, dallo sviluppo compatto, e varietà le cui foglie mantengono le spine per lungi anni.

Parassiti e malattie

Gli agrifogli o ilex aquifolium tendono ad adattarsi ad ogni condizione di coltivazione, per questo motivo, difficilmente un agrifogli si ammalerà, a meno che le condizioni avverse non perdurino per lunghi periodi di tempo; i parassiti fungini dell’agrifoglio sono in genere marciumi delle radici, che si sviluppano solo se il terreno attorno alla pianta rimane saturo d’acqua per mesi. Gli insetti che attaccano queste piante sono i più comuni diffusi nei nostri giardini: con clima caldo e secco si sviluppa la cocciniglia, che rimarrà sulla pianta anche in inverno; in primavera invece, sui giovani germogli, si annidano spesso gli afidi, rovinando le foglie nuove. Di solito il principale problema è la mancanza di bacche, assai sentito qualora si fosse acquistato un esemplare di questo genere proprio per godere dei frutti invernali; come dicevamo prima, solo gli esemplari femminili producono bacche, mentre quelli maschili non ne producono alcuna (in nessuna condizione); per sapere se l’agrifoglio che abbiamo posto a dimora è femmina, dovremo attendere che fiorisca, cosa che spesso avviene solo in esemplari che hanno almeno 4-5 anni di vita; per ovviare a questo problema, spesso in vivaio si cerca di acquistare agrifogli che abbiano già le bacche, per avere la certezza che li produrranno anche nel nostro giardino. Se però nel nostro stesso giardino, o in quello del vicino, non ci sono agrifogli maschi, non otterremo alcuna bacca in estate, perché i fiori del nostro esemplare femmina non potranno venire impollinati. Un altro problema degli agrifogli è legato al fatto che non amano venire spostati, travasati, estirpati; spesso, quando si mette a dimora un agrifoglio, questo perde tutto il fogliame: è un normale comportamento dovuto allo stress subito dalle radici; in genere nell’arco di qualche settimana la pianta si adatta alla nuova collocazione e si torna a riempire di foglie.

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Indigofera

Indigofera tinctoria L., 1753 è un arbusto della famiglia delle Fabacee (o Leguminose).
Dalla fermentazione delle sue foglie si ottiene l’indaco, colorante di origine vegetale.
Storia

La storia di questa pianta risulta essere molto antica; già nel 2000 a.C. gli Egizi e i popoli dell’Asia iniziarono ad utilizzarla per tingere gli indumenti.

Gli anni passavano e gli uomini cominciavano anche a scoprire utilizzi differenti. Nel Medioevo, infatti, questo pigmento veniva utilizzato dagli Europei nel campo della cosmetica, della medicina e dell’arte.

Il commercio di questa pianta risultava molto propizio per gli Asiatici fino allo sbarco di Vasco da Gama a Calicut. Da quel momento in poi gli Europei poterono importarla senza necessariamente intermediare con i mercati asiatici a prezzi più convenienti; eppure la sua produzione continuò anche sotto il dominio inglese dell’India.
Distribuzione e habitat

L’Indigofera tinctoria è una pianta che ben si adatta ai vari climi tropicali, cresce spontaneamente in Africa, in Oceania e in gran parte del Sud-est asiatico. È inoltre stata introdotta artificialmente in altre parti dell’Asia e nei Caraibi, creando un impatto ambientale a causa dell’abbondante riproduzione di questa al di fuori delle coltivazioni.
Componenti principali

All’interno delle foglie di Indigofera tinctoria sono state isolate varie sostanze chimiche come flavonoidi, terpenoidi, alcaloidi e tannini.

La sostanza presente nella pianta e più utile a creare il pigmento finale è però l’indicano, un glicoside che idrolizza in indossile e glucosio per azione di enzimi vegetali e soluzioni chimiche; l’indossile per azione dell’ossigeno atmosferico si trasforma quindi in indigotina (o indaco), la cui struttura contiene due gruppi indolici.

È stata inoltre estratta una sostanza, l’indirubina, che ha dimostrato una blanda azione antitumorale ed è colorata di rosso.
Proprietà

Oltre a fornire l’indaco, l’Indigofera tinctoria sembra avere diversi effetti curativi e viene utilizzata in alcune tinte per capelli.
Estrazione

L’Indigofera non contiene direttamente il pigmento, motivo per cui deve essere ricavato per mezzo di un lungo e complesso procedimento, il quale prevede una reazione di ossidoriduzione.
Fasi
Fermentazione delle foglie e dei fusti in una soluzione basica riducente (da cui l’ossigeno deve essere rimosso) per ottenere la cosiddetta forma “leuco”.
-Ossidazione dell’indossile ottenuto dalla fase precedente tramite esposizione all’aria. Da questo processo si otterrà l’indaco, pigmento insolubile in acqua.
-L’indaco si deposita quindi sul fondo del recipiente utilizzato.
-Viene riscaldato l’indaco per far evaporare completamente l’acqua.

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Kerria

Al genere Kerria appartiene solo la specie japonica, originaria dell’Asia; si tratta di un arbusto di medie dimensioni, che raggiunge i 200-250 cm di altezza, con forma arrotondata.

I fusti della kerria japonica sono sottili, arcuati, scarsamente ramificati, ogni pianta produce numerosi germogli basali, che tendono a svilupparsi abbastanza rapidamente.

Il fogliame è caduco, di piccole dimensioni, di colore verde scuro; le foglie presentano un margine seghettato o dentellato.

In primavera, da marzo fino a maggio, produce innumerevoli piccoli fiori di colore giallo dorato, a cinque petali, simili a piccole rose gialle.

In commercio si possono trovare numerose cultivar, la più diffusa è K. j. pleniflora, con fiori doppi, simili a piccoli pompon; esistono anche cultivar a fiore bianco, o con fogliame delicatamente variegato.

In genere la fioritura primaverile è molto abbondante, è seguita a fine estate da una seconda fioritura, con produzione di pochi boccioli sparsi. Pianta molto diffusa nei giardini del passato, soprattutto nel caso della varietà Pleniflora, ora sembra stia godendo di una seconda giovinezza, anche se negli ultimi anni si stanno diffondendo particolarmente le varietà a fiore semplice.

Esposizione
Le kerrie del giappone tollerano qualsiasi esposizione, dall’ombra completa fino al pieno sole. In genere le piante poste in ombra totale tendono a produrre pochi fiori, mentre i boccioli degli esemplari in pieno sole sono di breve durata e tendono a sbiancare con l’esposizione ai raggi solari.

La kerria japonica è un arbusto decisamente adatto alla mezz’ombra, dove la sua fioritura è abbondante e di lunga durata e lo sviluppo della pianta abbastanza vigoroso.

Queste piante fioriscono sui rami dell’anno precedente, si consiglia quindi di effettuare le potature dopo la fioritura primaverile.

Annaffiature
In genere le kerrie del giappone non sono molto esigenti per quanto riguarda le richieste idriche; se il clima è propizio tendono ad accontentarsi delle piogge; evitiamo che il terreno rimanga asciutto per periodi molto prolungai in primavera ed in autunno.

In febbraio è consigliabile aggiungere al terreno ai piedi dell’arbusto del concime organico ben maturo.

Terreno
Questa varietà japonica predilige i terreni di medio impasto, abbastanza profondi e ricchi, molto ben drenati. Evitare di porre a dimora questa pianta in luogo con ristagno idrico o con terreno molto pesante e povero.

Parassiti e malattie
Particolarmente pericolosi per le kerrie del Giappone sono i funghi del genere Cylindrosporium, che attaccano i germogli e portano al disseccamento delle foglie. La cosa migliore è tagliare sia gli apici che le foglie malate. Oltre a questa si segnala anche la presenza attualmente sporadica di infezioni da Blumeriella.

Tra gli insetti, i bruchi possono attaccare le radici e causare gravi danni.

 

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kolkwitzia

 

La Kolkwtzia è una pianta ornamentale facile da coltivare isolata in piena terra in giardino o in grandi vasi, perfetta anche come siepe di recinzione.

Caratteristiche

Si tratta di una pianta perenne a foglie caduche della famiglia delle Caprifoliaceae originaria della Cina che, con il tempo, tende ad espandersi in larghezza formando folti ed eleganti cespugli alti anche più di 1 metro.

Dalla radice di tipo fittonante e molto profonda, si originano rami flessibili leggermente arcuati, semilegnosi alla base ed erbacei alle estremità. Il colore dei rami varia dal grigio chiaro al grigio-rossastro.

Le foglie, simili a quelle del Filadelfo o Gelsomino bianco, sono opposite, ovate, glabre di colore verde scuro sulla pagina superiore e verde più chiaro su quella inferiore. I margini fogliari sono lisci e leggermente ondulati mentre le pagini sono percorse da varie nervature abbastanza marcate.

In autunno, prima di cadere, le foglie della Kolkwitzia, assumono una bellissima tonalità di colore giallo-oro o rossastro intenso.

I fiori, leggermente profumati e riuniti in densi grappoli, hanno la forma di piccole trombe con petali di colore bianco o rosa in leggero contrasto con la gola di colore giallo oro. I fiori della Kolkwitzia vengono spesso confusi con quelli della Pandorea e talvolta con quelli dell’Abelia.

I frutti, che maturano da agosto a settembre, sono capsule ovoidali pelose e ricche di spine contenenti dei piccoli semi di colore marrone scuro.

Fioritura

La Kolkwitzia fiorisce copiosamente in maggio o giugno a seconda delle zone climatiche.

Coltivazione Kolkwitzia
Esposizione

anche se si sviluppa abbastanza forte e vigorosa in luoghi semiombreggiati per fiorire copiosamente e per più settimane, richiede esposizioni in pieno sole e possibilmente al riparo dal vento. Tollera molto bene il clima caldo afoso e in inverno, periodo di riposo vegetativo, la Kolkwitzia resiste alle temperature rigide prossime ai -10° C, se la base del cespo viene protetta a livello del terreno con una leggera pacciamatura di paglia o di foglie secche.

Terreno

E’ una pianta che ama il terreno sciolto misto a sabbia e soprattutto ben drenato. Il substrato ideale di coltivazione ideale, indifferente ai valori di pH acido, neutro o alcalino, deve essere grasso, argilloso e soprattutto ricco di materia organica.

Annaffiature

Le giovani piante di Kolkwtzia o meglio di Linnaea necessitano dal momento dell’impianto di un substrato costantemente umido e pertanto le annaffiature devono essere frequenti ma non troppo abbondanti. Gli esemplari adulti vanno comunque regolarmente irrigati nei periodi di prolungata siccità e nel periodo della fioritura. Le piante di Kolkwtzia coltivate in vaso vanno annaffiare regolarmente per tutto il periodo vegetativo che va da marzo ad ottobre inoltrato.

Concimazione

La pianta va concimata in primavera e in autunno con del concime organico ben maturo. Successivamente, da marzo ad ottobre, saranno sufficienti fertilizzazioni mensili con un concime ternario ricco in azoto (N), fosforo (P) e potassio (K).

Moltiplicazione Kolkwitzia o Linnaea amabilis

La pianta si riproduce per seme ma può essere propagata più facilmente per via agamica mediante la divisione dei cespi o per talea.

Per ottenere piante con le stesse caratteristiche genetiche si fa ricorso alla propagazione per talea tecnica che si pratica in estate prelevando, con cesoie ben affilate e disinfettate dai rami dell’anno che non hanno prodotto fiori, porzioni apicali lunghe 18-20 cm.

Le talee, prelevate in estate tra luglio-agosto, vanno messe a radicare in un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali. A radicazione avvenuta, ossia quando le nuove piantine saranno abbastanza vigorose potranno essere trasferite singolarmente nei vasi ed allevate in essi fino al momento dell’impianto.

Moltiplicazione per divisione dei cespi

In autunno, si si dividono i polloni basali portanti radici ben sviluppate; si interrano al momento stesso del prelievo in vasi singoli contenenti un miscuglio di torba e sabbia. Le nuove piante così ottenute potranno essere messe a dimora dopo un anno dall’attecchimento.
Impianto o messa a dimora della Kolkwitzia

L’impianto a dimora definitiva si effettua in autunno. La pianta va interrata in una buca profonda e larga circa il doppio delle dimensioni del pane di terra che avvolge l’apparato radicale. Il terreno di coltivazione deve essere lavorato a fondo e, prima dell’impianto,è bene effettuare una concimazione somministrando sul fondo della buca dello stallatico ben maturo ricoperto da un leggero strato di sabbia per isolare le radici dallo sgrondo dell’acqua delle annaffiature.

Potatura

La Linnaea amabilis non richiede veri e propri interventi di potatura in quanti i fiori vengono portati dai rami dell’anno. Per contenere lo sviluppo della Kolkwitzia, per favorirne l’incespimento basale e per conferirle un’armonia di forma, si consiglia comunque di accorciare i rami sfioriti di circa 1/3 della loro lunghezza, utilizzando, come più volte detto, delle cesoie ben affilate e disinfettate con un batuffolo di cotone idrofilo intriso di alcol denaturato. La potatura va effettuata dopo la fioritura per evitare di recidere i getti floreali.

Rinvaso

Le piante di Kolkwitzia allevate in vaso necessitano di contenitori più grandi del precedente e del terriccio nuovo e fresco ogni qualvolta le radici fuoriescono dai fori di drenaggio dell’acqua di sgrondo. Si utilizzano via via dei nuovi vasi di dimensione più grande fino al momento in cui sarà possibile effettuare agevolmente il rinvaso. Quando, invece, le dimensioni del vaso saranno tali da non consentire un ulteriore rinvaso, si interviene asportando 2-3 centimetri di terriccio superficiale e lo si sostituisce immediatamente con uno nuovo, soffice e fertile.

Parassiti e malattie della Kolkwitzia

Si tratta di un arbusto resistente ai comuni parassiti animali come afidi e cocciniglie e alle malattie fungine come la ruggine.
Teme però il marciume delle radici se il substrato di coltivazione non è ben drenato e il mal bianco o oidio se il clima è eccessivamente umido o piovoso.
Cure e trattamenti

Evitare i ristagni idrici soprattutto nelle piante allevate in vaso e che si formino ristagni d’acqua.

I trattamenti antiparassitari o fungini vanno fatti solo in caso di necessità. Nelle zone climatiche caratterizzate da frequenti piogge si consiglia un trattamento preventivo contro il mal bianco.

 

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Laburnum

 

Il maggiociondolo è un piccolo albero deciduo originario dell’Europa centro meridionale, diffusosi anche in Asia e in alcune zone dell’Europa centro settentrionale; ha fusto eretto, talvolta flessuoso, e raggiunge i 6-10 cm di altezza. La chioma è ovale, abbastanza disordinata, la corteccia del fusto è di colore marrone grigiastro, liscia e dall’aspetto sericeo, i rami sono di colore grigio, lisci. Il fogliame è pinnato, costituito da tre piccole foglie ovali, di colore verde chiaro, con la pagina inferiore grigia o biancastra. In primavera inoltrata, in genere nel mese di maggio come suggerisce il nome comune della pianta, produce lunghi grappoli di fiori giallo oro, di forma papilionacea, ricordano le infiorescenze del glicine. Ai fiori seguono i frutti, lunghi baccelli scuri che contengono i piccoli semi fertili, simili a piselli marroni. Questi alberelli molto eleganti possono trovare posto in giardino, anche se sono facilmente riscontrabili anche in natura, nelle zone alpine di media altitudine. Nei boschi alpini di media altitudine è presente anche L. alpinum , più resistente al freddo.

Esposizione

Il Laburnum anagyroides predilige posizioni soleggiate, non teme il freddo, ma può temere climi eccessivamente caldi ed asciutti, come quelli delle zone meridionali ella nostra penisola. Esistono anche varietà ibridi, adatte anche ai luoghi con estati molto calde, come per esempio Laburnum x watereri, con fioritura molto abbondante. I semi del maggiociondolo sono molo velenosi, quindi si consiglia di evitare di porre a dimora queste piante in luoghi molto frequentati dai bambini o dagli animali al pascolo.

Annaffiature

Le piante di maggiociondolo messe a dimora da tempo, con un apparato radicale ben sviluppato, si accontentano delle piogge; i giovani alberi da poco posti a dimora vanno annaffiati durante la stagione estiva, attendendo sempre che il terreno sia ben asciutto tra un’annaffiatura e l’altra. In autunno interrare alla base della pianta del concime organico ben maturo, o del concime granulare a lenta cessione.

Terreno

Il maggiociondolo è una pianta che predilige terreni sciolti e profondi, preferibilmente calcarei, molto ben drenati; tende ad adattarsi abbastanza bene anche in terreni non proprio favorevoli e primitivi. Il maggiociondolo infatti è una pianta appartenente al genere delle Fabaceae, un gruppo di piante caratterizzate da radici molto speciali, che con la loro attività sono in grado di migliorare parecchio la qualità del suolo in cui si trovano.

Le Fabaceae infatti hanno sulle radici dei particolari batteri che, grazie ad una speciale simbiosi con le radici, possono produrre azoto. L’azoto è una sostanza organica fra le più importanti per le piante, una di quelle più utilizzate nella crescita e nella formazione di nuovi tessuti.

Moltiplicazione

La moltiplicazione del laburnum anagyroides avviene per seme, in primavera; i semi sono fertili solo previa scarificazione, prima di essere interrati è consigliabile passarli con della carta vetrata, per favorire la penetrazione dell’acqua all’interno del seme e permettere al germoglio di svilupparsi. In estate è possibile praticare talee legnose con buona percentuale di successo.

Parassiti e malattie

Il maggiociondolo è una pianta molto robusta che in genere non viene attaccata da parassiti o da malattie e non si segnalano particolari problemi di nessun tipo al momento.

La fioritura

Il laburnum anagyroides si chiama in gergo maggiociondolo per via degli spettacolari fiori color giallo intenso che produce proprio nel mese di maggio. La morfologia di questi fiori è quella tipica delle Fabaceae, con dei petali molto caratteristici simili a quelli del glicine, del loietto, della robinia e di altre piante di questo genere. Nei mesi della fioritura è impossibile non notare i cespugli e le piante di questa splendida pianta girando per parchi e colline.

In montagna si trova una varietà più rustica e resistente di questa specie, il maggiociondolo alpino, molto simile al laburnum normale ma più resistente al freddo ed all’escursione tipica della fascia montana.

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Laurus

L’alloro (Laurus nobilis L., 1753) è una pianta aromatica e pianta officinale appartenente alla famiglia Lauraceae e al genere laurus.
Descrizione
Si presenta, poiché spesso sottoposto a potatura, in forma di arbusto di varie dimensioni ma è un vero e proprio albero alto fino a 10 m, con rami sottili e glabri che formano una densa corona piramidale.

Il legno della pianta è aromatico ed emana il tipico profumo delle foglie. Il fusto è eretto, la corteccia verde nerastra.

Le foglie, ovate, sono verde scuro, coriacee, lucide nella pagina superiore e opache in quella inferiore, sono inoltre molto profumate.

L’alloro è una pianta dioica, cioè porta fiori, unisessuali, in due piante diverse, una con i fiori maschili e una con i fiori femminili (che portano poi i frutti). L’unisessualità è dovuta a fenomeni evolutivi di aborto a partire da fiori inizialmente completi. Nei fiori femminili infatti sono presenti 2-4 staminoidi (cioè residui di stami) non funzionali, analogo fenomeno accade per i maschili, che presentano parti femminili atrofiche (non funzionali ed atrofizzate). I fiori, di colore giallo chiaro, riuniti a formare una infiorescenza ad ombrella, compaiono a primavera, generalmente in marzo-aprile.

I frutti sono drupe nere e lucide (quando mature) con un solo seme. Le bacche maturano a ottobre-novembre. L’impollinazione è principalmente entomofila, ovvero ad opera di insetti. L’alloro è un arbusto sempreverde e latifoglia.
Distribuzione e habitat.
Diffuso lungo le zone costiere settentrionali del Mar Mediterraneo, dalla Spagna alla Grecia e nell’Asia Minore, passando per la Svizzera e l’Italia.

In Italia cresce spontaneamente nelle zone centro-meridionali e lungo le coste, mentre nelle regioni settentrionali è coltivato. La diffusione e l’uso ampio che se ne fa nella cucina siciliana hanno portato l’alloro ad essere inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (Mipaaf) come prodotto tipico siciliano.

L’ampia diffusione spontanea in condizioni naturali ha fatto individuare uno specifico tipo di macchia: la macchia ad alloro o Lauretum. Si tratta della forma spontanea di associazione vegetale che si stabilisce nelle zone meno aride dell’area occupata in generale dalla macchia.
Coltivazione

L’alloro è una pianta rustica, cresce bene in tutti i terreni e può essere coltivato in qualsiasi tipo di orto.

La diffusione avviene molto facilmente per seme (i semi sono diffusi dagli uccelli che predano i frutti), la moltiplicazione avviene molto facilmente in natura per polloni, fatto che produce agevolmente dei piccoli boschi prodotti da un solo individuo (cioè dei cloni dell’albero di partenza), oppure artificialmente per talea.
Usi

Si utilizzano le foglie e se ne possono fare vari usi: in cucina, per aromatizzare carni e pesci, come rimedio casalingo per allontanare le tarme dagli armadi (ottimo e più profumato sostituto della canfora), per preparare decotti rinfrescanti e dalle qualità digestive o pediluvi, o trattato con alcool per ricavarne un profumato e aromatico liquore dalle proprietà digestive, stimolanti, antisettiche ed è utile contro tosse e bronchite.

Dalle bacche si può ricavare un olio aromatico, l’olio laurino e con proprietà medicinali, ingrediente peculiare dell’antichissimo sapone di Aleppo. Veniva inoltre utilizzato per preservare libri e pergamene e per preparare le classiche coroncine d’alloro.

A marzo, quando fiorisce l’alloro, soprattutto nei climi temperati freddi dove non ci sono altre fioriture rilevanti, è un’importante fonte di nettare e polline per le api.

 

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Lavandula (Lavanda)

Tra le piante da giardino adatte alla creazione di siepi e bordure, troviamo la lavanda. Si tratta di una pianta comunemente diffusa nell’area mediterranea, specie nelle regioni con clima arido. La si può trovare spontaneamente presso i bordi di strade di campagna, nei paesaggi riarsi della Sicilia o della Calabria. In natura si contano circa quaranta specie di lavanda e alcuni ibridi realizzati dall’industria cosmetica per estrarne gli oli essenziali. La lavanda è nota sia come pianta da giardino che come pianta officinale, molto usata sia in erboristeria che nella cosmesi. Il suo nome deriva, infatti, dal latino “lavandula”, che significa “lavare”. I fiori di lavanda venivano usati nel Medioevo per pulire il corpo. Anche oggi troviamo numerosi prodotti cosmetici a base di estratti di lavanda, tra cui shampoo e persino detersivi per lavare il bucato. Tantissimi ammorbidenti per i capi in lavatrice, contengono proprio estratti di lavanda. Ma questa specie, nella sua semplicità e bellezza, è adatta a decorare i giardini a cui si vuole dare uno stile rustico o campestre.

Caratteristiche

La lavanda appartiene alla famiglia della Lamiaceae. Tipica dei Paesi mediterranei, questa pianta cresce spontaneamente e annovera diverse specie, di cui alcune molto note e usate sia nel giardinaggio che nell’industria cosmetica. La differenza tra una specie e l’altra dipende dalla colorazione e dalla profumazione dei fiori, poiché le caratteristiche botaniche della lavanda sono simili in tutte le varie specie. La pianta è perenne, sempreverde, con uno stelo eretto e lungo al massimo un metro. Le foglie sono di colore verde chiaro, talvolta verde grigio, ricoperte di una lieve peluria, mentre i fiori sono raggruppati in spighe che ne contengono un numero variabile, con colori che vanno dal viola al blu e dall’intensa profumazione. Le specie di lavanda maggiormente conosciute ed apprezzate sono: lavanda angustifolia, lavanda spica od officinalis, lavanda latifolia, lavanda dentata e lavanda stoechas. La lavanda agustifolia ha delle infiorescenze blu raccolte in una spiga che si forma sulla parte apicale dello stelo. La lavanda officinalis ha infiorescenze più grandi, lunghe circa dieci centimetri e colorate di azzurro che vira verso il grigio. La lavanda latifoglia non cresce facilmente allo stato spontaneo; i suoi fiori sono piccoli e di colore blu pallido, con una profumazione simile alla canfora. La lavanda dentata ha infiorescenze colorate di blu viola. Intensamente colorati di viola sono, invece, i fiori della lavanda stoechas. Nel campo del florovivaismo si sono anche realizzati degli ibridi con fiori colorati di rosa e rosso e dalla caratteristica profumazione. Le infiorescenze delle varietà ibride sono molto usate in campo cosmetico per produrre profumi femminili. La lavanda fiorisce tra la primavera e l’estate. Il periodo della fioritura cambia in base alla specie.

Coltivazione

La lavanda non è una specie che presenta eccessive necessità colturali. Si adatta bene alle alte temperature ed ai climi secchi, per cui una giusta quantità di acqua e di luce saranno sufficienti a farla crescere in maniera sana e regolare. La lavanda non ama i terreni acidi, le specie spontanee crescono, infatti, su terreni calcarei o silicei. Per la coltivazione della pianta in giardino, il suolo può essere corretto con concimi che ne modificano l’eccessiva acidità . Il terreno deve essere ben drenato e senza umidità, che può causare il marciume delle radici. Per la crescita sana dalla lavanda possono funzionare anche i terreni argillosi. Una buona miscela di terriccio per coltivare la pianta può essere composta da sabbia e torba. Per il resto, va bene l’esposizione al sole diretto, che dona alla lavanda un aspetto rustico ed irresistibile. Il terriccio va naturalmente irrigato, ma mai inzuppato, e tra un’innaffiatura e l’altra è meglio aspettare che il suolo si sia interamente asciugato.

Siepi e bordi

Come già detto, la lavanda è ideale per comporre delle siepi e delle bordure. Le varietà che maggiormente si adattando a queste composizioni vegetali sono quelle più basse e con uno stelo inferiore al metro di altezza. La specie di lavanda che si adatta a decorare il viale di un giardino è quella angustifolia, con foglie strette, lanceolate ed infiorescenze lunghe non più di sei centimetri. Per creare una siepe di lavanda, magari circondata da una recinzione in legno, si piantano più di cinque o sei esemplari per lato, in modo da creare una massa vegetale. La lavanda può essere abbinata anche ad altre piante aromatiche, come il rosmarino, o alle stesse varietà di lavanda, per creare un ambiente rustico tipico dei giardini di campagna. Nel mondo anglosassone sembra sia molto diffusa l’abitudine di creare siepi e bordure con la lavanda. Nelle zone più fredde vengono però utilizzate delle varierà che resistono anche alle basse temperature, come la lavanda stoechas, la lavanda dentata e la lavanda lanata, con fiori color lilla. Queste varietà resistono fino a temperature di meno cinque gradi. Nelle zone più calde, oltre alla lavanda angustifolia, si possono piantare anche lavanda pinnata, lavanda maroccana, lavanda multifida e l’ibrido lavanda christiana, che ha una fioritura molto prolungata. Queste ultime varietà hanno infiorescenze che vanno dall’azzurro al blu intenso. Se si dispone di uno spazio grande, si possono alternare tra loro le varie specie di lavanda, in modo da creare siepi e bordure multicolore.

Irrigazione

La lavanda no ha eccessive esigenze di innaffiatura. Anzi, la pianta non ama l’umidità eccessiva, tantomeno le inzuppature del terriccio, che possono far marcire le sue radici. La frequenza delle irrigazioni deve essere bilanciata e moderata. Il metodo per distribuire la giusta quantità di acqua alla pianta è di innaffiare solo dopo che il terreno si è completamente asciugato. Lo stesso dicasi tra un ‘irrigazione e l’altra. Quella successiva dovrà essere effettuata dopo la perfetta asciugatura dello stesso. L’acqua ideale per irrigare la lavanda può anche avere una certa quantità di calcare, visto che questa specie non rientra affatto tra le amanti dei terreni acidi. Anzi, la lavanda sembra gradire parecchio i terreni alcalini con presenza di calcare o silicio. Naturalmente il consiglio che ci sentiamo di dover dare è quello di usare saggezza e moderazione anche nella distribuzione dell’acqua, troppo calcare potrebbe creare degli accumuli basali che potrebbero impedire la traspirazione della pianta.

Concimazione

La lavanda non ha bisogno di essere concimata. Il substrato per la coltivazione della pianta, già fertilizzato, garantisce alla pianta tutto il nutrimento di cui ha bisogno. Senza contare che proprio l’alcalinità del terreno mantiene più a lungo le sostanze nutritive all’interno del substrato che viene a contatto con le radici della pianta stessa. Se proprio si vuole concimare questa specie, lo si può fare a primavera, preferibilmente nel mese di aprile, con fertilizzanti bilanciati per piante a fiore ( le dosi e le modalità di somministrazione sono indicate nella confezione di acquisto) o con stallatico maturo.

Potatura

La lavanda si pota al termine della fioritura. Questa pianta fiorisce tra la primavera e l’estate e l’epoca esatta per la comparsa delle spighe fiorali dipenderà sempre dalla specie coltivata. La potatura della lavanda consiste nella cimatura dei germogli apicali e nell’accorciamento dello stelo. Entrambi questi metodi servono a favorire l’emissione di nuovi getti ed a migliorare il portamento e la struttura della pianta. Gli steli fiorali possono essere tagliati in maniera più drastica, cioè possono essere ulteriormente accorciati, in caso di pianta che rischia di seccarsi o fortemente debilitata per condizioni esterne avverse. Gli attrezzi per potare la lavanda ( e non solo) vanno puliti e disinfettati prima e dopo l’uso.

Propagazione

La lavanda si moltiplica per talea. Le talee sono rappresentante da rami senza fiori, nati da un anno. Le talee, lunghe 10, 15 centimetri, si tagliano assieme a una parte legnosa e usando un coltello ben affilato e disinfettato. I rametti vanno poi privati delle foglioline basali e collocati su un contenitore riempito di una polvere che favorisce l’emissione delle radici. Dopo l’immersione nella polvere, le talee vanno piantate in un vaso riempito di sabbia e torba. Su questo terriccio si praticheranno tante buche quante sono le talee da mettere a dimora. Per garantire una corretta propagazione, i vasi vanno coperti con un telo in plastica, che non va messo in caso di temperature eccessive. Il telo va aperto ogni mattina per controllare lo sviluppo delle talee e per rimuovere la condensa dalla plastica. Entro poche settimane le talee dovrebbero iniziare a mettere le radici. In questo caso si toglie la copertura in plastica e si spostano i vasi in luoghi ben illuminati, ma al riparo dal freddo e dalle correnti d’aria. La moltiplicazione della lavanda si effettua a fine estate, mentre le nuove piantine si svilupperanno nella primavera successiva.

Malattie

La lavanda può essere colpita da infezioni funghine e da virus. I funghi possono provocare macchie biancastre sulle foglie e marciumi alla base dello stelo e sulle radici. Gli agenti responsabili di queste infezioni appartengono a diverse famiglie di miceti e si combattono con antifunghini specifici. I marciumi possono essere prevenuti evitando le innaffiature eccessive ed i ristagni di umidità. Altre malattie della lavanda sono provocate da temibili virus responsabili di una forma di cancro vegetale chiamata mosaico. Nella lavanda, il mosaico virale si manifesta con macchie giallastre sulle foglie, deformazione della parte apicale e arresto dello sviluppo della pianta. Non esistono ancora cure per combattere i virus vegetali, l’ unico metodo, per risparmiare alla pianta le sofferenze procurate da malattie virali, è la prevenzione, da effettuarsi disinfettando gli attrezzi per i tagli e le potature. Quando l’infezione si manifesta, non si può far altro che ricorrere alla completa eliminazione della pianta e del terriccio che la ospitava.

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Lavatera

 

Il genere lavatera comprende numerose piante erbacee annuali e perenni, originarie dell’Europa, dell’America e dell’Asia; Lavatera trimestris, conosciuta anche come malva regina è una specie annuale, originaria dell’Europa mediterranea, che costituisce ampi cespugli. Ha grandi foglie pentalobate, verde scuro, che crescono lungo uno stelo carnoso, eretto, verde brillante, sul quale, in estate, sbocciano bellissimi fiori a campanula, rosa, bianchi o rossi, con venature in colore contrastante. Lo stelo raggiunge i 90-100 cm di altezza, ma esistono molti ibridi da giardino più compatti e con foglie piccole. L. olbia è una varietà di lavatera perenne, con fiori rosa.

Esposizione

Le piante di malva regina necessitano di molto sole per crescere senza problemi e produrre molti fiori; non disdegna le posizioni semi ombreggiate. Per fare in modo di poter avere delle fioriture abbondanti è necessario esporre la pianta di lavatera trimestris in luoghi in cui possa ricevere la luce diretta del sole per alcune ore nell’arco della giornata. Se viene coltivata in un luogo ombreggiato, avrà una fioritura molto più contenuta.

Annaffiature

La malva regina non necessita di annaffiature troppo frequenti, sopportando senza problemi anche brevi periodi di siccità, annaffiare quindi quando il terreno è ben asciutto, senza eccedere nella quantità. Controllare che non si formino ristagni d’acqua, che sono poco salutari per lo sviluppo della pianta e possono provocare malattie fungine o marciumi radicali.

Ogni 15-20 giorni aggiungere del concime per piante da fiore all’acqua delle annaffiature.

Le piante di lavatera trimestris preferiscono terreni sciolti, molto ben drenati, ricchi di materia organica; utilizzare del terriccio bilanciato, mescolato con sabbia e argilla espansa o perlite, per aumentare il drenaggio, fattore determinante per la corretta crescita degli esemplari. i terreni troppo compatti e che consentono il formarsi di ristagni d’acqua sono sconsigliati dato che non permettono lo sviluppo della malva regina.

Moltiplicazione

La moltiplicazione di questo genere di pianta avviene per seme, utilizzando in primavera i semi dell’anno precedente; seminare in semenzaio in febbraio o in marzo, in piena terra da maggio a giugno. Nel porre a dimora le piantine di lavatera trimestris fare molta attenzione a non danneggiare le delicate radici, lasciando intatto il pane di terra che le ricopre, per evitare che essi si rovinino e non permettano l’attecchimento delle nuove piantine.

Malattie e parassiti

Talvolta questa varietà viene colpita dagli afidi, che rovinano i fiori e le foglie. Se si notano i segni della loro presenza, è bene intervenire con tempestività per evitare che questi parassiti possano provocare l’insorgenza di patologie gravi, dato che essi vanno ad indebolire le difese della pianta. In commercio esistono numerosi prodotti specifici che possono essere usati con profitto, ma è anche possibile ricorrere a rimedi naturali, come un preparato a base di acqua in cui si sarà fatta macerare una testa d’aglio, da vaporizzare sulle piante che mostrano segni di attacco. Un altro composto naturale può essere preparato con acqua e sapone di marsiglia nella quantità di un cucchiaino per litro di acqua, sempre da vaporizzare sugli esemplari colpiti.

 

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Lespedeza = Desmodium

Lespedeza bicolor è una pianta della famiglia delle leguminose, originaria del Giappone.

Si presenta come un arbusto dal portamento eretto con piccoli fiori dal bianco al viola-fucsia. Viene utilizzata a scopo ornamentale; tollera l´ombra e che viene talvolta impiegato per combattere l´erosione del suolo.
CARATTERISTICHE: arbusto a foglia caduca dal portamento compatto con rami arcuati; le foglie sono piccole ovali di color verde e lungo i rami sbocciano i piccoli ma particolari fiori
ALTEZZA: la pianta adulta di Lespedeza thunbergii può raggiungere 150 cm di altezza per 150 cm di larghezza
FIORITURA: la fioritura abbondante in tarda estate è costituita da piccoli fiori di color viola che sbocciano lungo i rami arcuati, formando delle vere e proprie cascate in fiore
MESSA A DIMORA: arbusto che predilige esposizioni soleggiate, terreni ricchi ed asciutti, in inverno in zone a clima freddo è consigliata una potatura a circa 20 cm da terra ed una pacciamatura di protezione.
Origine: Giappone, Cina
Portamento: arbusto a fusti arcuati
Foglie: arcuate allargate
Fiori: rosa-rosso porpora in grandi panicoli terminali
Epoca di fioritura: Settembre, Ottobre
Terreno: ben drenato
Clima: temperato
Temperatura Minima: -30/-20 °C

 

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Leucothoe

La Leucothoe fontanesiana è un arbusto di piccole o medie dimensioni, sempreverde, originario dell’America settentrionale; a questo genere appartengono alcuni arbusti sempreverdi, o a foglia caduca, diffusi in Asia ed in America settentrionale. Ha portamento ricadente o strisciante, produce lunghi fusti legnosi, scarsamente ramificati, che danno alla pianta un aspetto disordinato; il fogliame è di forma ovale o lanceolata, di colore verde scuro, cuoioso e leggermente spesso.

Durante i mesi invernali il fogliame assume colorazione rossastra, molto decorativa. In primavera dalla parte inferiore dei rami pendono numerosi grappoli di fiori a campanula, di piccole dimensioni, di colore bianco o rosato, delicatamente profumati. Esistono numerose cultivar, con portamento particolarmente compatto, o con foglie colorate.

La cultivar più diffusa è L. f. “Rainbow”, con fogliame verde scuro, screziato di giallo e di rosa. Per mantenere una forma compatta si consiglia di potare la pianta dopo la fioritura, asportando circa un terzo della lunghezza dei rami.

La leucothoe è un arbusto divenuto popolare e diffuso in particolar modo negli ultimi anni. Le sue carte vincenti di sono state il portamento, la buona capacità di adattarsi alle zone d’ombra, ma, soprattutto, la stupenda colorazione del fogliame che dona luminosità e una gradevole atmosfera al giardino in ogni periodo dell’anno.

È infatti persistente in quasi tutte le cultivar e le sue sfumature vanno dal verde intenso, durante la bella stagione, al ramato o bronzeo, da novembre fino al risveglio vegetativo.

Questa acidofila può essere impiegata in piccoli o grandi spazi verdi, ma non trova difficoltà ad adattarsi alla vita in contenitore, su balconi e terrazzi.

Esposizione

Le piante di Leucothoe fontanesiana si coltivano con maggiore successo in posizione ombreggiata o semiombreggiata, comunque al riparo dai raggi del sole nelle zone con clima estivo molto caldo. Possono comunque adattarsi facilmente in ambienti diversi, con caratteristiche non ottimali. Sono una varietà di piante piuttosto resistenti e non temono il freddo, potendo così essere coltivate anche in zone in cui le temperature invernali sono piuttosto rigide.

Il posizionamento ideale per la leucothoe è senz’altro la mezz’ombra, magari con il massimo della luce durante le ore mattutine. In questa maniera la pianta crescerà abbastanza vigorosamente, ma il sole non sbiadirà anzitempo le belle sfumature del suo fogliame. Inoltre in queste condizioni si riesce a godere anche di una abbondante produzione fiorale.

I venti sono però i nemici più temibili, specialmente quelli gelidi alla fine dell’inverno. Possono infatti rovinare le gemme in formazione e compromettere la crescita dell’annata. Per ovviare a questa sensibilità è consigliabile scegliere una collocazione riparata da un muro o attorniare la leucothoe con altre essenze.

In vaso valgono le stesse regole, anche se una posizione ancora più riparata, sia nei confronti del sole sia del gelo, è consigliata, se viviamo in un’area il cui clima risulti estremamente caldo in estate o freddo in inverno.

Per quanto riguarda la necessità di fornire sufficiente acqua, da marzo a settembre è consigliabile annaffiare le piante di Le piante di Leucothoe fontanesiana ogni 10-15 giorni, soprattutto in caso di prolungata siccità, attendendo sempre che il terreno sia ben asciutto tra un’annaffiatura e l’altra, per evitare il formarsi di ristagni idrici che comprometterebbero la salute della pianta.. Evitare le annaffiature durante i mesi freddi.

Nella stagione vegetativa fornire del concime per piante da fiore ogni 20-30 giorni, o intervenire con concime organico verso la fine dell’inverno.

Accertiamoci che l’area non risulti mai eccessivamente asciutta. Per facilitare la ripresa vegetativa e un veloce sviluppo è bene seguire con una certa accortezza la pianta per almeno due anni dal momento dell’impianto, irrigando almeno una volta alla settimana in mancanza di piogge. In seguito, specialmente al Nord, interverremo solamente nel caso di siccità prolungata durante la stagione estiva. Nelle regioni meridionali e in vaso si dovrà invece essere sempre attenti sotto questo aspetto. Un aiuto ci può venire da una spessa pacciamatura, che eviti l’eccessiva evaporazione.

Annaffiature

Per quanto riguarda la necessità di fornire sufficiente acqua, da marzo a settembre è consigliabile annaffiare le piante di Le piante di Leucothoe fontanesiana ogni 10-15 giorni, soprattutto in caso di prolungata siccità, attendendo sempre che il terreno sia ben asciutto tra un’annaffiatura e l’altra, per evitare il formarsi di ristagni idrici che comprometterebbero la salute della pianta.. Evitare le annaffiature durante i mesi freddi.

Nella stagione vegetativa fornire del concime per piante da fiore ogni 20-30 giorni, o intervenire con concime organico verso la fine dell’inverno.

Accertiamoci che l’area non risulti mai eccessivamente asciutta. Per facilitare la ripresa vegetativa e un veloce sviluppo è bene seguire con una certa accortezza la pianta per almeno due anni dal momento dell’impianto, irrigando almeno una volta alla settimana in mancanza di piogge. In seguito, specialmente al Nord, interverremo solamente nel caso di siccità prolungata durante la stagione estiva. Nelle regioni meridionali e in vaso si dovrà invece essere sempre attenti sotto questo aspetto. Un aiuto ci può venire da una spessa pacciamatura, che eviti l’eccessiva evaporazione.

Terreno

Gli arbusti di Leucothoe fontanesiana prediligono terreni con ph acido, è bene quindi utilizzare un terriccio specifico per piante acidofile, mescolato a poca materia organica e poca sabbia, per aumentare il drenaggio. E’ possibile coltivare questi arbusti in vaso, avendo cura di rinvasarli ogni anno, così da fornire loro un terreno ricco di sostanze nutritive.

La leucothoe deve crescere in terreno da acido a subacido. È importante quindi dotarla di un substrato con queste caratteristiche, composto per lo più da terra di foglie, di bosco e torba a cui si potrà aggiungere un poco di compost o stallatico sfarinato ben decomposto e circa 1/3 di terra di campo. Assicuriamoci che la mescola ottenuta sia in grado di drenare l’acqua in maniera efficiente, ma anche di mantenersi fresca a lungo.

Nel caso il nostro substrato sia limoso o argilloso, e quindi non drenante, possiamo sempre estrarlo in profondità e sostituirlo con un prodotto acquistato più adatto (per acidofile) e amalgamato come spiegato sopra.

Per evitare che nel tempo il pH e la tessitura del terreno cambino possiamo inserire nella buca un grosso vaso in cemento forato sul fondo(che creerà una zona più isolata dal contesto). Può inoltre essere utile spargere regolarmente del solfato di ferro, degli aghi e della corteccia di conifere.

Parassiti e malattie

Le piante di Leucothoe fontanesiana sono resistenti e piuttosto rustiche ed, in genere, non soffrono per l’attacco di parassiti o di malattie. Possono risentire della presenza di ristagni idrici sul terreno, che possono provocare l’insorgenza di marciumi radicali o di muffe che ne compromettono la salute. Per questo motivo è bene piantare in terreno ben drenato e controllare che esso sia asciutto prima di procedere con una nuova annaffiatura.

È una pianta molto sana e raramente sia ammala. Gli unici fastidi ci possono derivare da un terreno asfittico e poco drenante che può causare marciumi radicale e crescita stentata.

Leycesteria

La Leycesteria formosa è un arbusto a foglia caduca, originario dell’Asia centrale. Ha sviluppo disordinato e i fusti sottili, di colore verde vivace, sono poco ramificati, e tendono a crescere prevalentemente verso l’alto, raggiungendo rapidamente i 100-150 cm di altezza. Le grandi foglie, ovate sono di colore verde brillante, ma esistono cultivar con germogli gialli o aranciati. A fine estate-inizio autunno, le leycesterie producono lunghe infiorescenze pendule, costituite da piccoli fiori bianchi, delicatamente profumati, sottesi da brattee di colore rosso-violaceo. Ai fiori seguono delle bacche tondeggianti, color porpora, molto gradite agli uccelli. Per ottenere un cespuglio compatto e un’abbondante fioritura é consigliabile potare la pianta in primavera, accorciando l’intero cespo di almeno un terzo.

Gli arbusti di Leycesteria formosa si sviluppano al meglio in luogo soleggiato, possono però sopportare anche collocazioni in zone d’ombra, anche se si sviluppano meglio in zone dove possono ricevere alcune ore di sole al giorno. Questo tipo di pianta è molto rustica e resistente e non ha particolari problemi a sopportare le rigide temperature degli inverni, anche se è bene coprire la base della pianta con del materiale da pacciamatura, come foglie secche o paglia, nelle regioni con inverni molto freddi e lunghi

Annaffiature

Le piante di Leycesteria formosa, in genere, si accontentano delle piogge, ma le piante appena messe a dimora in primavera vanno annaffiate con una certa regolarità, se il terreno si asciuga eccessivamente.

In caso di siccità prolungata durante i mesi estivi bagnare il terreno in profondità, almeno una volta a settimana.

E’ bene controllare che il terreno mantenga la corretta umidità, senza però che si formino dei ristagni idrici, che possono risultare pericolosi per la salute della pianta.

Terreno

Le piante di Leycesteria formosa vanno poste a dimora in un terreno soffice e ricco di humus, molto ben drenato.

Il terreno perfetto per questo tipo di pianta è costituito da materiale umido e fresco che non trattenga troppo a lungo l’acqua in eccesso, per evitare che si formino ristagni d’acqua.

In autunno ed in primavera è consigliabile spargere alla base dell’arbusto del concime organico ben maturo o del concime granulare a lenta cessione che darà alla pianta tutte le sostanze nutritive necessarie al corretto sviluppo.

Moltiplicazione

Per quanto riguarda la moltiplicazione di questo tipo di pianta, nel periodo primaverile è possibile procedere a dividere i cespi di radici per poter ottenere delle nuove piante da mettere a dimora; in estate si possono preparare talee semilegnose, in autunno è consigliabile estrarre dai frutti i semi freschi. I semenzai preparati vanno poi tenuti in luogo temperato, ad almeno 15-20°C, oppure è possibile conservare i semi per la semina primaverile.

Ligustrum (Ligustro)

Originario dell’Europa centro meridionale e dell’Africa settentrionale, il genere comprende 45 specie di arbusti e piccoli alberi sempreverdi o decidui usati per formare siepi.

Spontaneo in Italia, è un arbusto sempreverde alto da due a cinque metri, spesso coltivato come siepe. Il ligustro è un genere di piccoli arbusti o alberi della famiglia delle oleaceae. Sono originari principalmente dell’Asia, ma anche dell’Europa, dell’Africa del Nord e dell’Australia. Le foglie possono essere caduche, semisempreverdi o sempreverdi a seconda delle specie. Vengono utilizzati molto comunemente per creare delle siepi formali. In tutta Europa è diffuso spontaneamente il ligustro comune (vulgare) che è indigeno. Il nome deriva dal latino ligare: fa riferimento alla possibilità di usare i suoi rami flessibili per legature in diversi lavori agricoli. In genere nei giardini si possono trovare più comunemente il genere lucidum e japonicum. Varietà molto interessanti del lucidum sono l’excelsum superbum (le cui foglie hanno il margine variegato color crema) e il tricolor (le foglie giovani hanno sono di un delicato rosa).

Foglie

Le foglie del ligustro sono opposte, semplici, ovate lanceolate, glabre e lucenti. Si tratta di foglie molto coriacee e persistenti nella maggior parte delle varietà di questa pianta.

Descrizione ligustro

Parleremo in linea generale del ligustrum lucidum visto che è il più diffuso nei nostri giardini.
È, come abbiamo detto, un arbusto o piccolo albero.

Abitualmente raggiunge in coltivazione al massimo i 5-6 metri, anche se spontaneizzato può arrivare anche a 12 metri. In quel caso assume, come albero, una forma a colonna larga. Ha foglie ovate, lunghe fino a 10 cm e larghe 5, affusolate all’apice, con punta sottile e non dentate. Da giovani hanno una colorazione rossastra per divenire poi verde scuro e lucide nella pagina superiore e opache e più chiare in quella inferiore. La corteccia è liscia e sul grigio. Dall’estate all’autunno (ha un periodo fiorale piuttosto lungo e per questo è prediletto nei giardini) porta dei pannicoli lunghi fino a 20 cm di fiori bianco-crema, profumatii. Da questi poi si sviluppano delle bacche nere con diametro di circa 1 cm. Bisogna prestare particolare attenzione (specie in presenza di bambini e animali) perché sono velenose. È originario della Cina (ma da noi si è anche spontaneizzato), in particolare di zone collinose e montane.

Fiori
piccoli e profumati, di colore bianco avorio, ermafroditi, disposti in pannocchie ovate terminali ed erette. Fioriscono da aprile a giugno seguiti da bacche piccole, globose dalla polpa oleosa, prima verdi e a maturità nere.

Esposizione

Le piante di ligustro necessitano di un’esposizione soleggiata o parzialmente ombreggiata. Sono ideali gli angoli del giardino esposti e illuminati e le zone più aeree.

Temperatura

Dal punto di vista delle temperature il ligustro non è una pianta che ha problemi. Nel complesso tollera il freddo invernale e qualche breve periodo di gelo senza problemi. Vegeta in maniera ottimale con temperature notturne superiori ai 12°C.

Annaffiature

Le annaffiature del ligustro devono essere regolari per tutto l’anno in modo che il terreno sia sempre umido.

Fertilizzazione

Per quanto riguarda la concimazione del ligustrom è necessario arricchire il terreno con letame ogni primavera. All’inizio della bella stagione concimiamo con del letame maturo ma senza esagerare. Possiamo utilizzare anche dello stallatico pellettato o sfarinato da spargere sul terreno.

Moltiplicazione

in settembre ottobre si prelevano talee legnose e si piantano in un miscuglio di torba e sabbia. Le talee radicate si trapiantano nell’aprile successivo.

Terreno

Il ligustro preferisce i terreni fertili e freschi e possibilmente calcarei.

Malattie e parassiti

gli insetti minatori scavano gallerie nelle, foglie che si ricoprono di macchie bluastre.

Usi

Il ligustro viene prevalentemente usato per la realizzazione di siepi di media altezza (qualche metro), di solito formali. È possibile però anche farlo crescere ad alberello, visto che è molto decorativo per le foglie e per la lunga fioritura.

Potatura e formazione di siepi di ligustro

Il ligustro è il re delle siepi perché sopporta molto bene il taglio e la sua crescita è molto rapida. Per mantenere giovane una siepe è consigliabile tagliare i rami più vecchi alla base per favorire la crescita di nuovi rami nuovi. Possiamo però dare anche alcune indicazioni per il taglio di una siepe da poco messa a dimora. Bisogna avere a disposizione dei picchetti, delle corde e delle cesoie da siepe (o un tagliasiepe elettrico). Se la siepe è molto alta è consigliabile usare una scala o, meglio ancora, una impalcatura o trabatello. È infatti importante riuscire a lavorare essendo alla stessa altezza del livello di taglio. In questa maniera si otterrà un taglio dritto, preciso e uniforme. Si consiglia anche di scendere più volte per verificare il livello del taglio.

Bisogna iniziare piantando dei picchetti ad ogni estremità della siepe, al livello del taglio verticale. Bisogna piazzarne anche alcuni intermedi ogni 4-5 metri. Si deve poi tendere una fune all’altezza del taglio perché risulti il più possibile rettilineo. Con le cesoie o il tagliasiepi cominciate sempre a tagliare la parte alta della siepe liberandovi sempre dei rami tagliati perché la visibilità sia perfetta. Si devono poi tagliare i lati. Per rispettare la verticalità si possono anche tendere ulteriori funi tra i picchetti a differenti altezze. Tagliate cominciando dal basso e andando verso la parte alta. In questa maniera i rami tagliati cadranno senza impigliarsi in quelli sottostanti. Se i rami fossero troppo grossi per essere tagliati dalle cesoie o dal tagliasiepi si può intervenire con un troncarami o con una motosega.

Il ligustro è un arbusto in genere sempreverde. È quindi consigliabile intervenire spesso in maniera che sia stimolato continuamente a produrre nuovi rami e foglie. Quelli prodotti in autunno rimarranno molto belli per tutta la durata della stagione fredda.

Parassiti e malattie
Si tratta di una pianta molto robusta, ma, alle volte, può essere colpita comunque da problematiche di vario genere. Qualche attenzione e qualche accorgimento in più saranno un rimedio sufficiente.

Una delle problematiche più comuni è l’oidio. Di solito colpisce piante poste in zone troppo ombreggiate, con rami troppo compatti o in zone poco aerate.

Prima di tutto sarebbe meglio intervenire potando in maniera che l’aria possa circolare meglio all’interno della pianta. Se poi non dovesse essere sufficiente si possono usare prodotti specifici contro l’oidio. Un nemico abbastanza comune è anche l’oziorrinco. La sua presenza viene evidenziata da foglie tagliate ai margini. Le larve si nutrono delle radici e la pianta di conseguenza diventa sempre più debole. Bisogna usare dei prodotti specifici che eliminino soprattutto le larve.

Un altro nemico può essere il freddo eccessivo. Questo può causare la caduta delle foglie anche nelle varietà che dovrebbero essere sempreverdi. Più di frequente, però, capita che gelino soltanto le punte dei rami. Di solito con l’arrivo della primavera tutto torna a posto e dovrebbe essere sufficiente una buona potatura per eliminare le parti più danneggiate.

 

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Lonicera

 

Al genere lonicera appartengono decine di specie, sempreverdi, decidue e rampicanti; nelle bordure da giardino si utilizzano prevalentemente due specie, L. pileata e L. nitida. Si tratta di arbusti sempreverdi, originari dell’Asia; hanno piccole foglie alterne, di colore verde scuro, lucide e cerose; in maggio-giugno producono piccoli fiori color crema, a cui seguono delle bacche scure. Le lonicere hanno uno sviluppo abbastanza lento e raggiungono i 70-90 cm di altezza; hanno portamento semiprostrato e forma allargata, con ramificazioni molto disordinate ma dense e compatte. Viene utilizzata nelle siepi e nelle bordure basse. Esistono varietà a foglia variegata o di colore giallo limone. Per mantenere una forma arrotondata è consigliabile potare le piante a fine inverno o in autunno; le siepi di lonicera sono adatte anche per l’arte topiaria.

La lonicera, comunemente conosciuta come caprifoglio, è una pianta del genere delle caprifoliaceae. Si tratta in linea generale di rampicanti o arbusti di solito a foglia caduca che possono raggiungere anche i 25 metri di altezza (anche se generalmente vanno dai 2 metri fino agli 8).

Bisogna dire che tutti gli esponenti di questo genere hanno grandi virtù. In alcuni la maggiore è la bellezza estetica di rami e fiori. In altre, (in particolar modo la Lonicera caprifolium) è il profumo, simbolo della primavera stessa e ancora oggi utilizzatissimo in ambito profumiero per le sue note calde e avvolgenti.

La coltivazione del caprifoglio non è per nulla difficile. Per riuscire bene bisogna semplicemente cercare di riprodurre il più possibile le condizioni in cui cresce spontaneamente in natura. Questo significa una zona non troppo esposta al sole e al caldo, un substrato ricco e umido, ma comunque ben drenato.

Esposizione

Si pongono a dimora in luogo soleggiato o semiombreggiato; non temono il freddo ed il calore estivo; per la grande resistenza alla salsedine ed all’inquinamento atmosferiche questi arbusti vengono molto utilizzati anche nelle aiole cittadine, anche nei pressi de mare.

L’esposizione migliore è quasi sempre Nord-Ovest. Va trattata come tutte le piante da bosco e quindi l’ideale è riuscire a collocarla dove abbia il piede all’ombra e la chioma al sole. In questa maniera le radici risulteranno sempre al fresco, mentre la parte aerea riceverà abbondante luce favorendo così una buona crescita e fioritura.

Evitiamo ad ogni modo le collocazioni troppo calde che potrebbero favorire l’avvento di parassiti (quali afidi o ragnetto rosso). In particolar modo non utilizziamo questa essenza per ricoprire muri assolati.

Annaffiature

Di solito si accontentano delle piogge, sopportando senza problemi periodi anche lunghi di siccità. Le piante appena poste a dimora necessitano di annaffiature regolari almeno per la prima estate. Fare attenzione ad evitare gli eccessi di annaffiature.

Le irrigazioni dovranno sempre essere abbondanti, durante la stagione vegetativa (in particolar modo in assenza di precipitazioni). Accertiamoci che il substrato risulti sempre leggermente umido (ma senza ristagni). In particolar modo durante l’estate questo può comportare numerosi interventi settimanali, specie se viviamo in pianura, nel Centro-Sud o in aree costiere.

Terreno

Le lonicere si sviluppano in qualsiasi terreno, anche nella comune terra da giardino. Preferiscono terreni ricchi, sciolti e ben drenati e mal si adattano ai terreni che trattengono molta umidità.

Non sono arbusti particolarmente esigenti. Possiamo dire che per avere ottimi risultati bisogna dare loro sicuramente un substrato ricco in humus, profondo, capace di trattenere l’umidità, ma non pesante.

Sono quindi da evitare soltanto i suoli troppo poveri (come quelli sabbiosi) oppure troppo compatti o argillosi. L’ideale è una terra di bosco ricca di materia organica e con un pH neutro o leggermente acido.

Parassiti e malattie

In genere sono abbastanza resistenti a parassiti e malattie; talvolta possono venire colpite da marciume radicale o dagli afidi.

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Magnolia

Magnolia L. è un genere di piante della famiglia delle Magnoliaceae. Comprende oltre 80 specie, arboree e arbustive, a lento accrescimento, ma che in alcune specie come la Magnolia campbellii e la Magnolia officinalis possono superare i 20 m di altezza, caratterizzate da interessanti fioriture, originarie del Nord e Centro America, dell’Asia e dell’Himalaya.
Storia

Viene considerato dai botanici un fiore primitivo, tanto che erroneamente per molto tempo si è ritenuto che le Magnoliaceae fossero state le prime Angiosperme apparse sulla terra (il fossile più antico di questa famiglia risale a 95 milioni di anni fa). Il nome del genere è stato attribuito da Charles Plumier, in onore di Pierre Magnol (Montpellier, 1638-1715) medico e botanico francese, direttore del giardino botanico di Montpellier, che introdusse la nozione di famiglia nella classificazione botanica.
Descrizione

Le Magnolia hanno foglie alterne, ovali o ellittiche, generalmente grandi e coriacee, perenni sempreverdi o decidue, fiori solitari e molto grandi, generalmente a forma di coppa, con perianzio formato da 6-9 petali petaloidi (petali e sepali indifferenziati) di vari colori a seconda delle specie, gli stami numerosi sono lamellari, i carpelli sono disposti a cono sul ricettacolo. I frutti ovoidali in infruttescenze conoidi, contengono dei semi lucidi rossastri o arancio.
Specie coltivate

Le specie più conosciute in Italia come piante ornamentali sono:

La Magnolia precia originaria dell’Asia orientale, dai fiori bianchi e profumati a fogliame caduco.
La Magnolia glauca originaria dell’America con fiori a forma di tulipano di colore bianco-crema, profumati, dalla fioritura estiva.
La Magnolia grandiflora dai fiori bianchi e profumati a fogliame coriaceo persistente sempreverde, originaria del sud-est degli Stati Uniti.

Arbusti

La Magnolia liliiflora arbusto con foglie decidue, alto fino a 3 m, con fiori profumati, aperti di colore bianco-rosato internamente, rosso-porpora all’esterno.
La Magnolia stellata originaria dell’Asia orientale, arbusto dallo sviluppo limitato alto fino a 5 m, foglie decidue, fiori bianchi e profumati con petali aperti e sottili di aspetto leggero. La Magnolia stellata esiste anche nella varietà a fiore rosa: Magnolia stellata var. Leonard Messel, ha lo stesso sviluppo della varietà a fiore bianco in più è profumatissima. Le Magnolie stellate sono adatte ad essere utilizzate nelle siepi anche miste e a portamento spontaneo, anche se ne esistono degli esemplari alti anche 5 metri di regola non arrivano a 300 cm.
La Magnolia soulangeana, pianta a foglia caduca, di altezza imponente: in base alle varietà arriva fino ai 6 metri e più. La fioritura è abbondante e limitata alla primavera.
Sono note le seguenti varietà:
M. solangeana var. alba superba definita da molti coltivatori anche M. soulangeana julan: ha fiori bianco puro e di grandi dimensioni, foglie verde chiaro che raggiungono le dimensioni di 14 cm e larghe 10 cm.
M. solangeana var. soulangeana: stesse caratteristiche della precedente, si diversifica solo per il colore del fiore: bianco rosato.
M. solangeana var. satisfaction: nuova varietà introdotta dagli olandesi, fiori poco più piccoli, petalo interno di colore rosa chiaro e petalo esterno di colore rosa carico.
M. solangeana denutada var. yellow river: nuova varietà introdotta dagli olandesi, fiori generalmente poco più piccoli rispetto alle classiche soulangeane; la sua caratteristica consiste nel colore: giallo.
M. solangeana var.red lucky: stupendo calice sfondo rosa chiaro con striature di rosa carico che partono dalla base del fiore e sfumano nel salire.

Diffusa in parchi e giardini come piante isolate gruppi e siepi, può essere coltivata in vaso sui terrazzi, per il portamento e le copiose fioriture primaverili o estive.

Il legno chiaro e facile da lavorare viene molto apprezzato per lavori di falegnameria.

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Mahonia

Le mahonie sono arbusti molto apprezzati, in quanto sempreverdi, ben resistenti al freddo ed al caldo, difficilmente attaccati da parassiti, con una bella fioritura a fine inverno. Sono arbusti di media grandezza, e in genere in Italia si coltivano poche specie, tra cui la mahonia aquifolium, di origine nordamericana, e la mahonia japonica, di origine asiatica.

Si pongono a dimora in giardino, in vaso o in piena terra, dove raggiungono in genere dimensioni massime vicine ai tre metri di altezza e di larghezza; le mahonie si possono utilizzare come esemplari singoli, o per comporre una siepe. Le foglie sono di colore verde scuro, lucide e ovali, con il margine caratterizzato da alcune spine acuminate; il fusto è scuro e liscio, e la pianta tende a ramificare bene, dando origine a un arbusto abbastanza disordinato e denso.

Verso la fine dell’inverno produce pannocchie apicali di fiori a stella giallo oro, molto profumanti, che attirano api e altri insetti utili; il profumo della mahonia è facilmente percettibile nel giardino di marzo, anche perché poche sono le piante già in fiore. Ai fiori susseguono i frutti, bacche ovali, simili a piccole olive, di colore viola-nero, commestibili.Coltivazione
La Mahonia si coltiva in giardino, preferibilmente in piena terra; non teme il gelo e può essere lasciata all’aperto anche inca so di gelate intense e durature. Si posiziona in luoghi possibilmente semi-ombreggiati, evitando la luce solare diretta per molte ore al giorno, soprattutto in estate.

Ama terreni freschi e sciolti, molto ben drenati, ma tende ad adattarsi a qualsiasi condizione, anche in caso di terreni sassosi o eccessivamente compatti.

Necessita di annaffiature solo nei primi anni dopo l’impianto, e soltanto nella stagione calda, in quanto una volta ben radicata e sviluppata, è una pianta priva di necessità, e tende a sopportare molto bene la siccità. Le piante a dimora da tempo possono accontentarsi dell’acqua delle intemperie.

Si annaffia solo quando il terreno è asciutto da qualche giorno; nella stagione vegetativa si fornisce del fertilizzante mescolato all’acqua delle annaffiature, oppure si sparge attorno alla pianta del concime granulare a lenta cessione.

In genere hanno sviluppo abbastanza lento, e difficilmente necessitano di potature vigorose; occasionalmente, a fine estate, si asportano i rami che portavano i frutti, ed eventualmente i rami secchi, rovinati o poco sviluppati.

Si evita la potatura a fine inverno, per non potare tutti i fiori, ed anche quella autunnale perché la pianta sta già preparando i boccioli per l’anno successivo.

Le bacche da giardino
Molti arbusti da giardino producono bacche decorative di vario tipo, alcune delle quali molto decorative, persistenti sulle piante per mesi e mesi.

La Mahonia è tra queste, le sue bacche scure sono molto decorative, e rimangono sulla pianta per tutta estate; il vantaggio è decorativo per il giardino, anche per il fatto che spesso queste bacche sono zuccherine, e quindi attirano molti uccelli, che le mangiano liberamente, come avviene per il sorbo degli uccellatori.

Molte di queste bacche, oltre ad essere belle e utili, sono anche commestibili, e soprattutto buone; un tempo, quando frutta e verdura erano un privilegio e non un comune bene di consumo, la maggior parte delle piante da bacca venivano considerate una vera e propria risorsa, perché i piccoli frutti venivano utilizzati per preparare confetture e conserve.

In effetti anche le bacche della mahonia possono essere usate in questo modo, anche se hanno un sapore poco zuccherino, leggermente aspro, e quindi la confettura di mahonia ha un gusto particolare, abbastanza aspro.
Confetture e consigli
La passione per il buon cibo, che ci ha portato negli ultimi anni a riscoprire il gusto del formaggio abbinato alla frutta, ed è qui che si parla della mahonia.

Oltre alle bacche di mahonia si preparano confetture anche con le bacche di rosa canina, quelle belle rosse e vivaci, che decorano il giardino; anche con pyracantha e cotoneaster si prepara una particolare composta, dolce e zuccherina, che ricorda vagamente la composta di mele, lo stesso dicasi per le bacche del sorbo, che la pianta produce in grandi quantità.

Spesso si mescolano tali frutti a della polpa di mele o di mele cotogne, per evitare di dover raccogliere grosse quantità di bacche da piante ornamentali che in genere non vengono coltivate in grandi numeri. Ricordiamoci che il fatto che una bacca o un frutto siano belli, colorati e polposi, non significa che siano anche commestibili; in giardino, oltre a questi tesori della gastronomia, coltiviamo anche piante dai frutti velenosi, evitiamo quindi di assaggiare a caso una bacca di una pianta sconosciuta. Ad esempio i frutti scuri dell’edera, spesso prodotti in grande quantità, sono tossici, e anche le bacche rosse e carnose dell’aucuba; sono invece buone e molto consumate le bacche dell’amelanchier, molto utilizzate nel nord America per produrre confetture e salse, come se fossero mirtilli.

Cura e annaffiatura della mahonia

La bellezza dei fiori, dei frutti e delle foglie non è la sola ragione che ci porta ad apprezzarle così tanto. Un altro punto a loro favore è senz’altro nelle cure davvero sporadiche che richiedono. Dovremo dedicarci a loro con un po’ più di frequenza solamente nei primi anni dalla messa a dimora.

Irrigazione

Amano i terreni secchi, ma non lesiniamo acqua durante le prime due estati specialmente se viviamo nel Centro – sud e la posizione non è particolarmente ombrosa. In mancanza di precipitazioni irrighiamo almeno ogni 15 giorni.

Per evitare interventi frequenti è consigliato approntare una spessa pacciamatura.

Protezione dal freddo

Anche le varietà più delicate, da adulte, sono in grado di sopportare agevolmente temperature fino a -12°C. I recenti impianti necessitano invece di protezione, specialmente nel Centro-nord e nelle aree montane. Si consiglia quindi di coprire il piede del cespuglio con abbondante materiale organico isolante. Anche la parte aerea andrebbe coperta con appositi teli, per proteggere dal freddo e dai venti rigidi.

Le forti nevicate possono causare la rottura dei rami: evitiamo gli eccessivi accumuli intervenendo per tempo.
Concimazione della mahonia

Per ottenere una buona crescita e favorire fioritura e fruttificazione è importante distribuire con regolarità ammendanti e concimi. In autunno è buona norma coprire il piede con stallatico sfarinato, incorporando poi in primavera, aggiungendo del fertilizzante equilibrato. Per le varietà più sensibili al calcio preferiamo un prodotto per acidofile.

Potatura

Gli interventi di potatura non sono necessari. Possono essere utili se vogliamo mantenere più compatto un esemplare, se vogliamo svecchiarlo o in seguito a malattie o traumi di vario genere.

Sui soggetti giovani è bene intervenire dopo la fine della fioritura eliminando la parte apicale: ciò stimolerà un’ulteriore ramificazione, ottenendo esemplari meglio accestiti e più fitti.

Una volta raggiunta la dimensione e la compattezza richiesta le potature si faranno più sporadiche: eliminiamo alla base solamente i getti più vecchi o quelli che vadano nella direzione sbagliata.

Le infiorescenze appassite vanno tagliate solo se non vogliamo che si trasformino in “bacche”.

Parassiti e malattie

Non è raro che gli apici si ricoprano di afidi: la pianta risulterà debilitata e in breve tempo le foglie si copriranno di melata. Interveniamo con prodotti specifici ai primi segnali di infestazione.

Anche l’oidio e la ruggine sono frequenti e possono causare importanti cascole fogliari.

Per il primo è importante usare prodotti specifici per la prevenzione ed evitiamo di bagnare il fogliame.

La ruggine colpisce le parti basse e può essere prevenuta con un rameico.

 

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Malus (Melo da fiore)

Pianta d’origini antichissime proveniente dalle regioni transcaucasiche, diffusa in moltissime parti del mondo. La sottospecie più conosciuta è il malus communis pumila, da cui si sono ottenute gran parte delle varietà di mele presenti sul nostro mercato. Altre specie sono utilizzate per la produzione di piantine da portainnesto. La coltivazione del melo è molto diffusa anche in Italia, infatti, prediligendo i climi umidi e freddi, la maggior concentrazione dei frutteti da produzione si trova in tutto l’arco alpino. Il melo può raggiungere gli 8-10 metri d’altezza, ha foglie di color verde scuro di forma ovale con il margine seghettato, i fiori sono composti da cinque petali di color bianco rosato. Produce frutti di forma tondeggiante le cui dimensioni e colore variano secondo le numerosissime varietà attualmente coltivate. Negli ultimi anni c’è stata una tendenza a suggerire vecchie varietà di melo ormai abbandonate, le quali hanno ottime caratteristiche organolettiche e soprattutto una grandissima resistenza alle più diffuse malattie. Le mele, oltre che per il consumo fresco, sono utilizzate dall’industria per la produzione di marmellate, succhi, gelatine e per l’essiccazione.

Sono numerosissimi i portainnesti utilizzati per il melo, i più diffusi sono il franco, il dolcino, il paradiso, e i vari portainnesti clonali. L’innesto sul franco dà un grande sviluppo, rendendo la pianta molto longeva ed esaltando le caratteristiche dei frutti, entra però in produzione molto tardi. Il dolcino e il paradiso sono utilizzati per ottenere forme molto ridotte con il vantaggio di avere abbondanti e precoci produzioni, infatti, con questi portainnesti si possono raccogliere le mele già dal primo anno dopo l’impianto. Gli altri portainnesti ottenuti da cloni di dolcino e paradiso, sono classificati in base alla vigoria che danno alle piante innestate su di loro, sono utilizzati esclusivamente per i frutteti da produzione e la loro scelta varia in conformità del tipo di varietà, dal tipo di terreno e dal clima della zona su cui si deve realizzare il frutteto.

Concimazione
Come per molte altre piante, anche per il melo è consigliata la concimazione, fatta possibilmente ogni anno, con letame ben maturo o altri concimi d’origine organica, integrandoli con concimi chimici complessi a base di azoto, fosforo, potassio e microelementi, usando percentuali più alte di azoto e fosforo in primavera, per favorire lo sviluppo della pianta sia nella parte aerea sia in quella radicale, con percentuali più alte degli altri elementi durante l’estate fino a settembre, per favorire la messa a frutto, ricordando che il potassio ha una spiccata influenza sulla colorazione dei frutti.

Parassiti e malattie
I parassiti animali che attaccano il melo sono: gli afidi, che si annidano sui germogli e sulle foglie accartocciandole; le cocciniglie che possono danneggiare i rami, le foglie e i frutti indebolendo sensibilmente la pianta; la tignola che è una larva che si nutre dei germogli e delle foglie ed infine la carpocapsa, una larva che si nutre dei frutti danneggiandoli irrimediabilmente. Per quanto riguarda le malattie di origine fungina più note, segnaliamo l’oidio che è una muffa bianca che si manifesta sulle foglie e sui germogli e la ticchiolatura che colpisce foglie e frutti con macchie brune necrotiche.

A) Allevamento ad alberello
Per formare un melo ad alberello è necessario piantare un pollone, il quale si dovrà subito tagliare ad un’altezza che può variare dai 120 ai 170 cm dal suolo. Da qui, nel corso del primo anno, saranno emessi altri rami. All’inizio del secondo anno si dovrà conservare almeno tre di questi rami accorciandoli a venti cm che, nel corso della stagione vegetativa, emetteranno a loro volta altri rami. All’inizio del terzo si dovranno tagliare anche quest’ultimi a venti cm, così facendo sarà data una solida struttura portante per la chioma. Per questo tipo di forma è consigliato che il portainnesto il franco, oppure un clonale di elevata vigoria.

b) Allevamento a vaso nano

E’ una delle forme più adatte per i piccoli giardini e per la facilità di realizzazione, si dovrà perciò piantare un pollone di un anno e tagliarlo subito a 40 cm dal suolo, il quale durante il primo anno vegetativo produrrà altri rami. L’anno successivo si conserveranno almeno tre rami vigorosi, che verranno anch’essi tagliati a 20 cm dal punto di partenza, dai quali si otterranno, nel corso del secondo anno, sei rami disposti in maniera circolare attorno al fusto. Questi rami, una volta spuntati nell’estremità, produrranno la chioma definitiva. Per questa forma è consigliato che il portainnesto sia un clonale di bassa vigoria.

C) A palmetta o spalliera

Questo tipo di forma è molto utile nel caso in cui si vogliano guarnire dei muri o delle recinzioni. In questo caso si dovrà piantare un pollone di un anno, tagliato a 50 cm da terra e l’anno successivo conservare almeno quattro rami, disponendoli su due piani e ancorati ad un sostegno, che può essere un filo di ferro sostenuto da due paletti ai lati della pianta oppure ad un traliccio. Per questo tipo di forma è consigliato utilizzare meli innestati su portainnesti clonali di media vigoria

Albero melo
Il nome botanico della pianta di mele è malus; questa pianta fiorisce, di solito, nel mese di maggio e i suoi frutti possono assumere differenti colorazioni in base alla varietà di appartenenza. Le piante di questo tipo vanno impiantate nel terreno nel periodo autunnale, di solito nel mese di novembre, anche se, se sono presenti condizioni meteorologiche avverse, che portano un elevato grado di umidità, è bene rimandare la messa a dimora al mese di gennaio. Per calcolare a quale distanza mantenere le piante, occorre sapere a quale varietà appartengono. Nel caso di piante di malus di altezza contenuta, è possibile distanziarli di circa 2 metri, mentre per quelle di grandi dimensioni occorrerà prevedere almeno 3/4 metri. Nei primi anni dopo la messa a dimora è bene controllare che il terreno circostante non venga invaso da piante infestanti; per questo è possibile intervenire con materiale pacciamante, utile anche per mantenere il giusto grado di umidità per il terreno.

Melo – Malus: Malus coltivazione

Per ottenere degli alberi di mele sane e rigogliose è bene metterle a dimora in un terreno dal buon potere drenante, ricco di elementi nutritivi e con la presenza di poco calcare. Queste piante vengono coltivate con successo in zone montane o di collina, in quanto questi alberi non hanno problemi a resistere alle basse temperature. Questi alberi possono essere piantati anche in pieno sole, avendo però l’accortezza di sistemarli in una zona piuttosto riparata dal vento, soprattutto nel caso di zone particolarmente ventose.

Per avere un buon raccolto può essere necessario intervenire, dopo la fioritura, per togliere i frutti in eccesso, in quanto essi potrebbero contrastarsi nella crescita e svilupparsi poco. L’operazione andrebbe effettuata nel mese di luglio, ma è opportuno procedere con cautela per evitare di togliere i frutti migliori.

 

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Nandina

La Nandina domenstica è un arbusto sempreverde, o semisempreverde,originario dell’Asia; ha forma tondeggiante, i fusti sono eretti, scarsamente o per nulla ramificati, e portano grandi foglie pennate, costituite da piccole foglie ovali o lanceolate; nel complesso il fogliame ha un aspetto molto elegante e delicato, così come la pianta intera. Ogni singolo fusto porta foglie solo nei due terzi superiori, mentre la base è spoglia; l’aspetto compatto della pianta è dovuto al fatto che dall’apparato radicale spuntano costantemente nuovi polloni, che quindi contribuiscono a mantenere folta la aperte inferiore della pianta. Le foglie sono sottili, leggermente coriacee, di colore verde chiaro; durante i mesi invernali assumono colorazione aranciata o rossa.

In commercio è frequente trovare varietà con colorazione rosso bronzea, anche nella nuova vegetazione. In primavera produce piccoli fiori bianchi, con antere gialle, riuniti in ampi grappoli, seguiti da bacche rosse che rimangono sulla pianta anche durante i mesi invernali.

Origine e curiosità Nandina

La Nandina, detta anchè “Bambù Sacro” ha le sue origini in Asia dove viene ancora oggi ampiamente coltivata. In oriente è infatti considerata un simbolo beneaugurante e per questo viene piantata nei templi sacri e utilizzata a decorazione degli altari. Fu William Kerr, un nobile scozzese, ad importarla a Londra da Canton nel 1804 e da quel momento fece breccia nel cuore digli inglesi che cominciarono a coltivarla nei loro giardini. Il nome “Nandina” le fu assegnato da un botanico svedere (Carl Peter Thunberg) allievo di Linneo che distorse il nome con cui viene chiamata in Giappone, ovvero “Nan-Ten”.

Esposizione

Le piante di Nandina domenstica sono arbusti rustici, che non soffrono il freddo, e possono sopportare anche temperature molto rigide per periodi prolungati di tempo. L’esposizione ideale per questo tipo di pianta è quella in ambiente ben soleggiato e luminoso, in modo tale che possa ricevere la luce diretta del sole nelle ore più fresche. Essendo una pianta rustica e resistente può sopportare un clima freddo, ma, se coltivata in vaso, va ricoverata in ambiente riparato o protetti all’arrivo dei primi rigori invernali.

Annaffiatura

Gli esemplari giovani di questa varietà di pianta devono essere annaffiati regolarmente durante la stagione calda, attendendo sempre che il terreno sia ben asciutto tra un’annaffiatura e l’altra. Le piante da tempo a dimora possono accontentarsi dell’acqua fornita dalle piogge, anche se può essere necessario intervenire con leggere annaffiature durante l’estate, in caso di siccità prolungata. Un discorso diverso va fatto per le piante coltivate in vaso, che richiedono una fornitura d’acqua maggiore, dato che non possono sfruttare l’umidità naturale della piena terra.

Terreno

Le piante di questa particolare varietà ornamentale prediligono terreni sciolti, soffici e molto ben drenati, in quanto possono risentire dei pericolosi ristagni d’acqua che possono formarsi. Si tratta di arbusti poco esigenti, che si possono adattare anche alla comune terra da giardino, senza necessità di terriccio particolarmente ricco.

Moltiplicazione

La moltiplicazione di queste piante avviene in genere per seme, in autunno; è anche possibile propagare la nandina asportando alcuni polloni dalla base della pianta, provvedendo a controllare che ogni pollone presenti alcune radici ben sviluppate. E’ possibile procedere nella stagione autunnale anche alla moltiplicazione attraverso talee semilegnose, avendo cura di proteggere le nuove piantine in un luogo riparato in modo che possano svilupparsi e acquistare forza prima della messa a dimora definitiva.

Parassiti e malattie

Le piante di nandina domenstica, pur essendo rustiche, possono essere colpite dagli afidi, soprattutto durante i mesi primaverili; con il caldo estivo sotto le foglie possono annidarsi gli acari.

Un altro problema è quello legato alle malattie fungine che possono insorgere per un’eccessiva umidità e che possono compromettere anche in maniera irreparabile la salute della pianta.

La Nandina è impiegata solitamente nei giardino come siepe, in vaso oppure in pieno campo. Se coltivate la Nandina in vaso la crescita potrebbe essere più lenta e potrebbero essere necessarie più irrigazioni e comcimazioni.

L’ideale sarebbe coltivarla in terra, scavando delle buche e mettendo a dimora le piantine acquistate, avendo cura di rispettare una distanza media tra le varie piante di almeno 50-60 cm; questa esigenza è dovuta al fatto che è un arbusto che raggiunge una altezza abbastanza elevata. Per avere una bellissima siepe di Nandina fiorita il terreno oltre ad essere ben drenato, deve essere esposto al sole o a mezz’ombra.

Una fioritura abbondante assicurerà una bellissima produzione di bacche rosse che si manterranno sulla pianta per tutto il periodo invernale rendendo magico il vostro giardino durante le festività natalizie.

Tossicità

La Nandina è caratterizzata dalla tossicità di tutte le sue parti che contengono acido cianidrico. Tale acido è molto velenoso e potrebbe essere fatale per ingestione. La pianta è considerata non tossica per l’uomo, tuttavia le bacche sono molto tossiche per gli animali domestici e per gli animali da pascolo.

La tossicità delle bacche è dovuta alla presenza di alcaloidi come la nantenina, una molecola che blocca gli effetti della MDMA negi animali. Le bacche non sono invece tossiche per gli uccelli che anzi, cibandosene, contribuiscono alla dispersione dei semi della pianta attraverso i loro escrementi. In ogni caso, anche per gli uccelli, una indigestione di bacche di Nandina può essere fatale.

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Osmanthus

L’Osmanto è una pianta originaria dell’Asia, appartenente ad un genere che comprende 15 specie di arbusti di specie sempreverdi. L’osmanto è un arbusto o piccolo albero originario dell’Asia orientale e in particolare della Cina: qui è conosciuto, apprezzato e impiegato, per le sue virtù aromatiche e medicinali, almeno da 2000 anni. Il nome osmanthus deriva dal greco e sottolinea proprio la sua caratteristica peculiare di avere fiori e foglie deliziosamente profumati.

In Italia è conosciuto da molto tempo ed è diventato un arbusto di uso comune, specialmente nelle aree dal clima temperato, quindi nel Centro-Sud, sulle coste e in prossimità dei grandi laghi.

Foglie

osmanthus decorus Le foglie dell’Osmanto sono opposte e dentellate. Per quanto riguarda invece i fiori:, sono piccoli, bianchi, riuniti in grappoli e compaiono sia nell’ascella delle foglie che alla fine dei rami.

Parlando dei frutti di questa specie invece, sono carnosi e ovoidali di colore bluastro.
Caratteristiche

Il genere Osmanthus comprende circa 50 specie di arbusti o alberi appartenenti alla famiglia delle Oleaceae, la stessa dell’ulivo. Dal punto di vista orticolo le caratteristiche peculiari sono il fogliame persistente, la fioritura primaverile e autunnale (non sempre vistosa) e il potente aroma che rilascia nell’aria.

Vi sono varietà più o meno compatte: le dimensioni definitive si possono attestare dai 40 cm fino a 4 metri. È quindi una pianta che si adatta a molti usi e collocazioni diverse.

In generale è piuttosto resistente e adattabile in quanto a terreno e necessità idriche. Alcune specie sono invece abbastanza delicate per quanto riguarda l’esposizione alle basse temperature: è bene quindi valutare bene questo aspetto prima di inserirne uno nel nostro spazio verde.

Questo arbusto si riconosce facilmente grazie alle sue foglie persistenti, coriacee e molto lucide. Alcune hanno il bordo liscio, altre invece presentano delle dentellature e delle spine che le rendono molto simili a quelle dell’agrifoglio (che però le ha alterne). I fiori, raccolti in mazzi o pannocchie ascellari o apicali, sono per lo più bianchi o aranciati. La produzione primaverile avviene sui rami dell’anno precedente, quella autunnale sui rami cresciuti nell’annata. La maturazione dei frutti, anch’essi decorativi, avviene verso ottobre. Hanno l’aspetto di bacche dal violaceo al marrone, simili a piccole prugne o olivette, dotate di nocciolo interno.

I fiori

Compaiono in settembre-ottobre (fine agosto nelle zone più calde) e sono profumati, bianchi, tubolosi, riuniti in grappoli ascellari.

I frutti sono di colore blu scuro.

Esposizione

in pieno sole o semiombreggiata al riparo dai venti freddi. Temperatura: nelle regioni con inverni freddi è necessario ritirarlo in ambiente chiuso. Annaffiature: abbondanti in primavera e estate; In linea generale l’osmanto, e in particolare le specie più profumate, predilige climi caldi e secchi.

Al Nord e nelle zone pedemontane è consigliata l’esposizione in pieno sole e possibilmente a ridosso di un muro, in maniera che la pianta risulti un poco protetta dal freddo invernale e dai venti.

Al Centro-Sud e sulle coste è invece possibile (o in alcuni casi consigliabile) un’esposizione leggermente più ombreggiata, magari ad Ovest.

Terreno

Gli osmantus crescono in tutti i terreni da giardino, ma preferiscono quelli acidi e un po’ sabbiosi. Il suolo ideale deve essere profondo, neutro, ben drenato, ma non eccessivamente povero: in questa maniera sarà stimolata anche la crescita vegetativa, che diversamente risulterebbe veramente lenta.

La pianta si adatta bene comunque anche a suoli poveri, calcarei, sassosi o eventualmente anche limacciosi. Per questo è ideale, per esempio, da inserire nei giardini costieri e si sposa alla perfezione con le essenze della macchia mediterranea.

Vanno assolutamente evitanti, invece, i substrati umidi, mal drenati e freddi che porterebbero l’esemplare a sicuro deperimento.

Concimazioni

in primavera si dispone sopra le radici una strato di torba o di letame indecomposto. Se la crescita è troppo lenta somministrare un fertilizzante completo.

Moltiplicazione

in luglio si tagliano talee di legno maturo o semimaturo lungo 10 cm e si piantano in cassone a letto caldo a circa 20 gradi in un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali. Le talee radicate si trapiantano in vasi, con terriccio universale e si fanno svernare in cassone freddo. Nell’aprile successivo si piantano e si coltivano per due anni prima di metterle a dimora.

Parassiti

Non sono soggette all’attacco di parassiti. Raramente vengono attaccate da parassiti, ma il più frequente è senz’altro la cocciniglia.

Potatura

Come abbiamo detto l’osmanto ha una crescita moderata e perciò raramente necessita di interventi sotto questo punto di vista. Si può tranquillamente decidere di non potarlo.

I primi anni dalla messa a dimora è assolutamente preferibile astenersi da qualsiasi intervento per lasciare alla pianta il tempo di adattarsi e cominciare a crescere.

Ecco come eventualmente procedere a partire dal terzo anno, sia sugli esemplari singoli, sia sulle siepi.

– Le varietà a fioritura primaverile (prodotta sui rami vecchi) vanno riequilibrate e pulite dai rami danneggiati dal freddo subito dopo l’appassimento dei boccioli. In questa maniera la pianta potrà crescere ancora fino all’autunno e fiorire nuovamente l’anno a seguire.

– Su quelle a fioritura autunnale o tardiva è bene intervenire alla fine dell’inverno, visto che producono i boccioli sui rami sviluppati nell’annata in corso. L’ideale è ridurne la lunghezza di 1/3 al massimo.

Se la fioritura non ci interessa e perseguiamo una siepe formale o l’arte topiaria, possiamo intervenire in ogni momento visto che l’osmanto, sotto questo punto di vista, è davvero tollerante.

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Perovskia

La Perovskia atriplicifolia è una varietà erbacea perenne che sviluppa un arbusto legnoso, originaria dell’Asia.

Produce fusti legnosi o semilegnosi, abbastanza ramificati, che danno origine ad un piccolo arbusto tondeggiante, alto anche 90-100 cm; il fogliame è di colore verde-grigiastro, semisempreverde, con lamina fogliare profondamente divisa, abbastanza spessa e rugosa; se stropicciate le foglie emanano un intenso profumo di salvia. Dalla primavera inoltrata, fino all’estate, all’apice dei fusti sbocciano piccoli fiori di colore blu, simili ai fiori di lavanda, riuniti in lunghe spighe. La lunga fioritura ed il fogliame decorativo rendono la perovskia una pianta molto apprezzata nelle piccole siepi, ma anche come esemplare singolo.

Esposizione

La Perovskia atriplicifolia ama il sole ed è consigliabile porre a dimora in luogo soleggiato, o che goda di almeno 4-6 ore di sole diretto al giorno; queste piante non temono il freddo, anche se può capitare che inverni molto rigidi causino il completo disseccamento della parte aerea, in genere poi la pianta si sviluppa senza problemi con il caldo primaverile.

Per le piante più giovani e sensibili è consigliato proteggerle in caso di inverni particolarmente rigidi e freddi, ricoprendo il terreno circostante con paglia e foglie secche che mitighino il rigore invernale.

Per mantenere l’arbusto più compatto e denso è consigliabile tagliare le piante fino a 15-20 cm dal terreno, in gennaio-febbraio.

Le perovskia sono arbusti piuttosto rustici e resistenti e non necessitano di annaffiature molto frequenti; infatti riescono anche a possono senza problemi periodi anche prolungati di siccità. In genere durante i mesi primaverili possono accontentarsi delle piogge, necessitando di annaffiature sporadiche durante i mesi estivi, soprattutto in periodi siccitosi o con temperature molto elevate.

Naturalmente, se sono poste a dimora in vaso, allora richiederanno una maggiore quantità di acqua.

Terreno

Questo tipo di pianta si coltiva anche nella comune terra da giardino, preferisce comunque terreni sabbiosi, molto ben drenati, con una buona quantità di materiale organico.

L’importante è che la terra non trattenga troppa acqua, perchè i ristagni d’acqua risultano piuttosto pericolosi per la sua salute.

E’ bene controllare che il terreno consenta un corretto drenaggio, altrimenti è molto facile incorrere in problemi legati all’insorgenza di muffe o di un marciume radicale che può far morire la pianta.

Parassiti e malattie

La Perovskia atriplicifolia è una pianta piuttosto rustica e resistente, poco soggetta a parassiti e malattie; occasionalmente viene attaccata dagli afidi. In questo caso è possibile procedere con un intervento a base di prodotti specifici che contrastino efficacemente il problema, essi possono essere chimici, comunemente reperibili in commercio, o naturali come, per esempio, un preparato realizzato facendo bollire dell’aglio all’interno dell’acqua che poi verrà spruzzata direttamente sulle piante.

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Philadelphus

Il Philadelphus, noto anche con il nome di fiore dell’angelo, è un albero originario delle zone a clima temperato e appartiene alla famiglia delle Hydrangeaceae. Esso comprende circa 60 specie di varietà che presentano alcune caratteristiche in comune. La crescita è molto variabile, infatti, si possono notare esemplari di circa 1 metro d’altezza e piante che arrivano anche ai circa 5 metri. Essendo una pianta rustica, il Philadelphus si adatta a ogni clima. Dal punto di vista estetico, presenta un fusto costituito da una corteccia squamosa, il fogliame tende a cadere durante la stagione autunnale e le foglie, crescono in direzioni opposte. Tra maggio e giugno è possibile osservare la bellezza e sentire il profumo d’infiorescenze molto particolari. Esse sono di colore bianco e possono crescere sia in coppia e sia da sole.

Varietà

Tra le principali varietà appartenenti alla specie di Philadelphus, tutte con caratteristiche estetiche molto simili tra loro, ci sono: il P. coronarius, il P. inodorus, il P. microphillus e il P. pubescens.

Il Philadelphus coronarius può raggiungere dimensioni massime di circa 3 metri; predilige le zone semiombreggiate e il fogliame, inizialmente ha un colore giallo che con l’arrivo dell’estate diventa verde. Il Philadelphus inodorus ha delle foglie ellittiche e molto scure; le infiorescenze sono bianche e sbocciano tra maggio e giugno. Il Philadelphus microphillus predilige terreni molto rocciosi, ha un fogliame appuntito ed è originario delle zone sud-orientale dell’America settentrionale. Infine, il Philadelphus pubescens, originario degli Stati Uniti, può raggiungere dimensioni massime di circa 5 metri; i fiori sono color crema e si sviluppano durante il mese di giugno.

Coltivazione

Il Philadelphus è una pianta rustica in grado di sopportare temperature che si aggirano attorno ai – 15°C e i – 20 °C. Possono essere messi a dimora sia in zone semiombreggiate e sia il pieno sole. Si adattano a qualsiasi tipo di terreno, anche se preferiscono quello calcareo o alcalino (ciò che importa è, metterlo a dimora in un terreno ben drenato). La concimazione va fatta verso la fine della stagione invernale, con dello stallatico e, per agevolare lo sviluppo delle infiorescenze, alla fine della stagione primaverile, è conveniente porre alla base del Philadelphus un concime maturo. Per quanto riguarda le annaffiature, la pianta necessita di acqua quando è appena stata messa a dimora e nel caso in cui le piogge siano scarse. Fare molta attenzione ai ristagni idrici.

Malattie e parassiti

Tra i principali parassiti che possono attaccare il Philadelphus ci sono: gli afidi, le cetonie, i coleotteri e, fare molta attenzione al seccume. Quest’ultimo, deve essere trattato con della poltiglia bordolese e la polvere caffaro. Gli afidi, sia verdi e sia neri, portano a gravi danni del fogliame in quanto si nutrono della linfa in esso presente e, vengono debellati con specifici insetticidi. Le cetonie e i coleotteri danneggiano i fiori e anch’essi, si eliminano utilizzando dei prodotti specifici, acquistabili presso qualsiasi rivenditore specializzato nel giardinaggio. Infine, il Philadelphus può essere attaccato da funghi, i quali, se non vengono trattati subito, portano alla morte della pianta. Essi si debellano con anticrittogamici e fungicidi prevalentemente a base di zolfo.

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Paeonia (Peonia)

La Paeonia è l’unico genere di pianta appartenente alla famiglia delle Peoniacee e che comprende sia specie erbacee perenni con radici tuberose, sia arbusti a foglie caduche.Le due specie preponderanti per l’utilizzo come piante ornamentali sono le paeonie erbacee che presentano fiori con colorazioni bianche o rosse, oppure paeonie legnose o arboree delicate, ma in grado di resistere a periodi di siccità. Durante i mesi primaverili dalle radici tuberose si sviluppano lunghi steli con grandi foglie con un bordo frastagliato e una colorazione verde brillante. I fiori delle paeonie hanno colorazioni che variano tra il rosso, il rosa, il bianco e il borgogna. I fusti, formano cespi tondeggianti, che possono raggiungere altezze di circa 90-100 cm. La paeonia viene utilizzata come pianta officinale.
La Peaonia lactiflora è originaria della Mongolia e della Siberia, è una specie erbacea che ha foglie con una colorazione variabile tra il verde chiaro e quello scuro. Questa pianta ha fiori con una larghezza di circa 10 cm con una colorazione bianca e stami gialli, che sbocciano nel mese di maggio. Esistono moltissime varietà di Paeonia lactiflora: paeonie a fiore semplice, giapponesi, a fiori semidoppi, a fiori d’anemone, a fiori doppi. La Paeonia lactiflora dovrebbe essere posizionata in un luogo esposto alla luce solare diretta, sopportano bene temperature rigide. Necessitano di una regolare irrigazione, maggiore in estate che in autunno-inverno, perché hanno bisogno di un terreno umido, ma privo di ristagni d’acqua. Si dovrebbe utilizzare un concime organico o granulare a lento rilascio.
La Paeonia suffruticosa è una pianta originaria della Cina e del Tibet, a carattere arbustivo con foglie decidue. Ha foglie di colore verde chiaro e fiori macchiati di rosa, di rosso o porpora. Predilige posizioni che abbiano alcune ore di luce diretta, ed essendo piante rustiche possono essere coltivate in giardino durante tutto l’arco dell’anno. Possono resistere a gelate, anche se sarebbe opportuno coprire le piante durante inverni particolarmente rigidi con del tessuto apposito. La Paeonia suffruticosa necessita di una concimazione alla fine dell’inverno con del fertilizzante organico o granulare a lenta cessione, un ulteriore intervento potrebbe essere effettuato alla fine dell’estate. Le annaffiature dovrebbero essere abbondanti in estate e ridotte o quasi assenti in autunno e in inverno.
Coltivazione
Le peonie prediligono un terreno leggero, con un adeguato drenaggio e ricco di sostanze organiche. Prima della messa a dimora delle piantine sarebbe opportuno interrare del concime organico maturo ad una profondità di circa 30-35 cm. La riproduzione potrebbe avvenire tramite semina, talea o per divisione dei cespi. Il periodo migliore per la messa a dimora delle nuove piantine dovrebbe essere l’autunno. Nel primo anno di coltivazione potrebbe essere necessario provvedere ad una adeguata pacciamatura (con paglia, foglie o fieno) per proteggere i rizomi dalle condizioni climatiche. Da evitare assolutamente la pacciamatura con stallatico maturo che potrebbe essere un terreno fertile per la crescita di funghi. La potatura dovrebbe essere effettuata per eliminare i rami secchi, quelli spezzati o quelli malati.

 

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Photinia

Realizzare una siepe di photinia per pigrizia o per passione? Chi sceglie questa pianta di solito lo fa per entrambi i motivi. La photinia, infatti, ha poche necessità colturali e presenta una particolare colorazione delle foglie che rende la siepe molto decorativa. Per le sue caratteristiche, la photinia è l’arbusto più usato per la creazione di siepi private o pubbliche. Nelle nostre zone ormai quasi sempre miti e temperate, la pianta trova il suo habitat ideale, anche se non disdegna le zone fredde. L’unica cosa che infastidisce la photinia è l’umidità e il ristagno idrico. Per il resto, con questa pianta si possono anche creare bordure, siepi basse, siepi di media altezza o alte, ma anche singoli alberelli in vaso o composizioni di alberi su grandi fioriere. L’uso principale della photinia è comunque nella siepe, dove la pianta esprime la sua massima bellezza e il suo più intenso vigore. La photinia viene preferita ad altre specie perché in primavera si colora di foglie rossastre e di piccoli fiori bianchi, dando un vivace tocco di colore e di contrasto all’ambiente circostante. La creazione di una siepe di photinia è dunque un’esperienza da fare non solo per “pigrizia”, ma anche per passione. Curando attentamente la siepe di photinia, si avrà sempre una barriera sana, compatta, schermante ed altamente decorativa.
Caratteristiche
La photinia è un arbusto o un piccolo albero sempreverde di origine asiatica. In commercio si trovano ormai tanti ibridi di questa pianta, ibridi che sono in grado di resistere a parassiti, malattie e ad altre avversità di natura ambientale o climatica. La photinia sopporta bene anche l’inquinamento ed assorbe senza danni le polveri sottili e inquinanti emesse dalle fabbriche o dalle auto. In questo senso, la siepe di photinia svolge un importante ruolo di conservazione e di protezione dell’ambiente. Per questa sua caratteristica, la siepe di photinia trova sempre piùspazio negli ambienti urbani e nei contesti pubblici. L’uso continuato e ripetuto di photinia da siepe sta forse inflazionando la fama di questa bellissima pianta, ma ciò non esclude che la stessa possa essere usata anche per creare una normale siepe da giardino. La photinia, infatti, viene usata per creare siepi miste, rustiche, informali e decorative. La pianta è in grado di raggiungere un’altezza di tre, quattro metri. Morfofologicamente si presenta con foglie ovali lanceolate, non troppo abbondanti, che a primavera, nella fase del germoglio, si colorano di rosso, per poi diventare verde scuro. Il fenomeno si verifica a marzo, mentre a maggio, proprio alla fine della primavera, la pianta produce piccoli fiori bianchi riuniti in sottili rametti.
Creazione
La photinia è l’arbusto ideale per creare siepi semplici, ornamentali e protettive. Le piante di photinia da siepe si piantano su buche scavate nel terreno. Il terreno che dovrà accogliere la siepe va vangato, zappato e lavorato alla stessa maniera di quando si prepara quello per il prato. Si procede dunque a togliere detriti e sassi e si effettua una concimazione di fondo. Le buche devono permettere di piantare le piante a una distanza di circa sessanta od ottanta centimetri l’una dall’altra. La pianta non va collocata troppo in profondità, per evitare l’accumulo di ristagni idrici nelle radici.

Il terriccio ideale per la siepe di photinia può essere quello normale da giardino, anche se è meglio aggiungere della sabbia per evitare l’accumulo di ristagni idrici. La photinia ama, infatti, i terreni ben drenati, soffici e ricchi di sostanza organica. La photinia da siepe (da mettere a dimora in primavera) può essere collocata in posizione soleggiata o all’ombra; l’ideale sarebbe una posizione a mezz’ombra che garantisca alla pianta una certa esposizione al sole per qualche ora del giorno.
Cura

La photinia da siepe non richiede cure particolari: la pianta, infatti, non ha particolari esigenze colturali e si adatta bene a qualsiasi condizione climatica. In inverno, in caso di stagione troppo rigida, conviene effettuare una pacciamatura alla base della siepe. La tecnica consiste nel ricoprire di foglie secche , terriccio o corteccia, la zona attorno alle radici. In tal modo, il gelo o la neve non intaccheranno l’apparato radicale e non lo faranno marcire. La photinia, comunque resiste bene anche alle basse temperature e a quelle alte.

La pacciamatura invernale va effettuata solo a titolo precauzionale. La photinia va innaffiata ogni dieci giorni quando è giovane, mentre quando è adulta può essere innaffiata anche solo tramite la pioggia. In caso di stagione estiva arida e secca, conviene sempre distribuire un po’ d’acqua anche alla pianta adulta. La photinia resiste bene anche ai parassiti e alle malattie. Per prevenirle, basta somministrare a fine inverno un insetticida ad ampio spettro. La photinia va potata in tarda primavera, dopo la fioritura, eliminando i fiori e i rami appassiti e tagliando i rami troppo lunghi. La photinia da siepe può anche essere concimata con fertilizzante organico o compost. Da ricordare, che la varietà di pianta più usata per le siepi è la Photinia Fraseri Red Robin.
Malattie e parassiti
La photinia è una pianta molto resistente e solitamente non necessita di particolari cure e attenzioni in quanto si sa difendere bene da parassiti e possibili malattie. Tuttavia, può capitare di trovare la pianta in condizioni non ottimali e rilevare la presenza di piccoli puntini scuri sulle foglie, degli afidi o ancora, delle cocciniglie. Si tratta di piccoli insetti che colpiscono le foglie delle piante e le rendono deboli e spente. In questi specifici casi è importante acquistare un buon insetticida per eliminare e sconfiggere una volta per tutte il problema. Per l’acquisto di prodotti per la cura delle proprie piante è sufficiente recarsi nel vivaio più vicino a casa: qui vi sapranno dare tutti i consigli necessari e vi sapranno aiutare se non siete dei veri e propri esperti di giardinaggio.

 

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Physocarpus

Il Physocarpus, Spirea rossa americana, è un arbusto da fiore facile da coltivare in piena terra e in vaso, apprezzato per la bellezza del suo fogliame di colore rosso – porpora e per le sue vistose infiorescenze a corimbo bianco-rosate. E’ ideale per per realizzare siepi e bordure arbustive.

Caratteristiche

Il Physocarpus, conosciuto anche come Spirea rossa americana, è un arbusto della famiglia delle Rosaceae, originario dell’America del nord, che in condizioni climatiche ottimali può superare anche i 3 metri di altezza e i 2 metri di larghezza.

Si tratta di un arbusto caducifoglio a portamento globoso, dotato di un robusto apparato radicale che dà origine a numerosi rami eretti che tendono leggermente ad incurvarsi verso gli apici sotto il peso dei fiori.
I rami più giovani sono glabri e di colore rosso-marrone mentre i fusti delle piante adulte hanno la corteccia rosso-aranciata che con il tempo tende a sfaldarsi in falde sottili e verticali.

Le foglie caduche e simili a quelle del ribes sono ovali, trilobate e con margini dentellati. Il colore delle foglie, come quelle della Photinia, in estate è rosso porpora.
In autunno le foglie prima di cadere assumono delle bellissime sfumature rosso fiammeggianti.

I fiori, riuniti in grandi infiorescenze a corimbo di colore bianco – rosate, sono piccoli ed ermafroditi. L’impollinazione è entomofila.
I frutti, molto decorativi e persistenti, sono capsule lobate di colore rosso-verdastro simili a vescichette che a maturazione completa diventano brunastre e si aprono liberando dei piccoli semi.

Fioritura dello Pysocarpus: fiorisce copiosamente in estate, da giugno e luglio.

Esposizione: anche se si sviluppa forte e rigoglioso anche nei luoghi parzialmente ombreggiati predilige l’esposizione in pieno sole e al riparo dal vento. Tollera molto bene il freddo e resiste, nel periodo di riposo vegetativo, a temperature oltre i -20 gradi.

Terreno: ama il terreno umido, ricco di sostanza organica e ben drenato. Il terreno ottimale di coltivazione deve essere subacido. Nei terreni basici e calcarei il Physocarpus è soggetto a clorosi ferrica.

Annaffiature: il Physocarpus coltivato in piena terra si accontenta delle piogge ma va comunque irrigato con continuità nel primo anno d’impianto e periodicamente nei periodi di prolungata siccità e in estate. La pianta allevata in vaso va annaffiata con maggiore frequenza evitando però i ristagni idrici.

Concimazione: in primavera e in autunno somministrare ai piedi dell’arbusto un concime granulare a lenta cessione specifico per piante da fiore bilanciato in macroelementi come azoto (N), potassio(K) e fosforo (P) e che contenga anche i microelementi indispensabili per la crescita e lo sviluppo.
Moltiplicazione Physocarpus

La pianta può essere propagata per talea in estate o più raramente per divisione dei polloni basali in primavera o in autunno.

Potatura

Si potano i rami vecchi o danneggiati e, ogni 3 anni, al fine di favorire l’emissione di nuovi getti basali si accorciano di circa 1/3 i rami troppo lunghi e disordinati. La pianta di Physocarpus allevata in vaso sopporta anche potature molto drastiche.
Parassiti e malattie Physocarpus

Si tratta di un arbusto perenne resistente agli attacchi della cocciniglia e raramente viene attaccato dagli afidi. Soffre l’oidio o mal bianco se il clima è troppo umido o piovoso ed è sensibile la clorosi ferrica se il terreno è troppo calcareo.

 

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Potentilla

Il nome di questa pianta è nato grazie alle grandi virtù medicinali che le si attribuivano anticamente. Infatti il nome generico Potentilla deriva dal vocabolo latino potens (= potenti proprietà curative) o portentum (= prodigiose possibilità sprigionate dalla pianta) e dal diminutivo illa, quindi potenti proprietà curative in un piccolo fiore.
Questo genere era conosciuto fin dal Rinascimento: basterebbe citare alcuni scritti di botanici di quell’epoca come Otto Brunfels (1488, Magonza – 1534, Berna) oppure Pietro Andrea Mattioli (1501, Siena – 1577, Trento). I nomi che più frequentemente si usavano per questo gruppo di piante erano (oltre a Poternilla): Portentilla o Tanacetum silvestre se veniva usato il latino, oppure Tansey se si usava l’inglese, o Genserich per il tedesco e Taunagi saluage per il francese. Probabilmente, in origine, questi nomi erano usati per la specie che ora noi chiamiamo Potentilla anserina, la prima ad essere studiata e conosciuta di questo genere.
A quell’epoca l’interesse, per queste piante, era dovuto soprattutto alle loro sovradimensionate supposte proprietà medicinali; ridotte ora ad una leggera azione astringente e a qualche altra blanda azione terapeutica. Carl von Linné (1707, Rashult – 1778, Uppsala) comunque riprende questo nome (Potentilla) e lo assegna all’intero genere nella sua opera Species Plantarum pubblicata nel 1753.
Morfologia

In genere sono piante di tipo erbaceo perennanti (cioè con radici carnose che si mantengono vitali per anni mentre la parte aerea scompare ogni anno); l’aspetto può essere eretto, ma spesso sono rampanti. Normalmente non superano i 60 cm di altezza. La forma biologica prevalente è emicriptofita scaposa (H scap), ossia sono piante con gemme svernanti al livello del suolo e protette dalla lettiera o dalla neve e dotate di un asse fiorale eretto o prostrato con poche di foglie.
Radici

Le radici sono di tipo secondario.
Fusto

I fusti possono avere una parte sotterranea legnosa; mentre la parte aerea può essere prostrata, ascendente o eretta. Possono essere presenti anche fusti di tipo stolonifero.
Foglie

Le foglie sono profondamente pennate, divise in tre-cinque-sette o più distinti segmenti palmati chiamati lobi o foglioline. I lobi in genere hanno una forma lanceolata più o meno ovata e sono dentati sui bordi. Alla base delle foglie, adnate al picciolo, sono presenti delle stipole di tipo fogliaceo e normalmente a forma lanceolata-stretta. Il colore delle foglie in genere è verde chiaro; alcune hanno la superficie tomentosa.
Infiorescenza

L’infiorescenza è composta da fiori su cime dicotomo- corimbose o anche da fiori solitari su cime terminali generalmente originatesi all’ascella delle foglie.
Fiori

I fiori sono ermafroditi, attinomorfi, pentaciclici (sono presenti i 4 verticilli fondamentali delle Angiosperme: calice – corolla – androceo (con doppio verticillo di stami) – gineceo) e normalmente tetrameri o pentameri. Il ricettacolo è piatto (discoidale) e asciutto nonché fruttifero.

Formula fiorale:

* K 4-5 + 4-5, C 4-5, A molti, G molti (supero)

Frutti

Il frutto ha una struttura multipla composta da diversi piccoli e secchi acheni ovoidali (aggregato di acheni); questi possono essere scabri o rugosi, glabri o villosi. Il frutto si trova inserito in modo sessile nel ricettacolo che è persistente.
Distribuzione e habitat

Le piante di questo genere crescono in tutte le regioni temperate e fredde dell’Emisfero Boreale (Eurasia, Stati Uniti e Canada, ma anche Groenlandia) e su rilievi a latitudini più basse (nelle regioni intertropicali). Due sole sono le specie diffuse nell’Emisfero Australe. In Italia e sulle Alpi sono presenti ovunque, anche ad altitudini non indifferenti: basta citare la Potentilla dubia a 3160 m s.l.m. sull’Antelao (provincia di Belluno) o la Potentilla aurea a 3260 m s.l.m. sul Piz Languard (in Svizzera). Fuori dall’Europa una zona ricca delle piante di questo genere sono le pendici dell’Himalaya.

Della cinquantina di specie spontanee della nostra flora 39 vivono sull’arco alpino. La tabella seguente mette in evidenza alcuni dati relativi all’habitat, al substrato e alla diffusione di queste 39 specie alpine.

 

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Prunus

Il genere “Prunus” comprende:

Prunus armeniaca L. Albicocco
Prunus avium L. Ciliegio
Prunus dulcis (Miller) Mandorlo
Prunus persica (L.) Batsch Pesco
Prunus domestica L. Susino

Consultabili singolarmente nella pagina dedicata alle “piante da frutto” –
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Pyracantha

 

L’agazzino o pyracantha è un arbusto sempreverde, originario dell’Asia e dell’Europa, che ha una crescita piuttosto veloce e raggiunge abbastanza rapidamente i 2-3 m di altezza.

Ha portamento eretto, i sottili fusti di colore marrone scuro tendono a svilupparsi in maniera abbastanza disordinata, producendo una densa chioma tondeggiante; sono munite di lunghe spine acuminate.

Le foglie dell’agazzino sono di piccole dimensioni, di colore verde scuro, ovali, lucide, leggermente coriacee; in primavera produce innumerevoli piccoli fiori a stella, di colore bianco, profumati, che attirano gli insetti impollinatori.

In autunno sulla pianta maturano i piccoli frutti tondeggianti, riuniti in grappoli, di colore arancione; i frutti della pyracantha sono commestibili, e talvolta rimangono sulla pianta fino alla primavera successiva.

Queste piante vengono spesso usate per costituire siepi impenetrabili, ma sono molto decorative anche come esemplari singoli. E’ possibile reperire in commercio numerosi ibridi e cultivar, ad esempio p. Navaho che ha dimensioni medio piccole e da origine ad arbusti abbastanza ordinati, tondeggianti.

La pyracantha Red Column produce bacche rosse, mentre la p. Soleil d’Or produce bacche gialle. Si consiglia di potare gli arbusti in primavera, asportando gli eventuali frutti ancora presenti e regolando i fusti che fuoriescono eccessivamente dalla chioma; in estate è spesso necessario intervenire sulle piante utilizzate come siepi, accorciando le crescite verdi così da mantenere la siepe ordinata e con un andamento preciso. Le potature sono necessarie perchè questo tipo di pianta presentano una crescita molto veloce che può dare un aspetto disordinato all’insieme.

Origine della Pyracantha

L’origine della Pyracantha è riconducibile ad alcune regioni dell’Asia minore, del bacino del Mediterraneo, della Cina e dell’Himalaya. I Greci la chiamavano “spina di fuoco” e da qui l’origine del nome “Pyra” fuoco e “akanta” spina.

L’inizio della sua coltivazione risale al 1500 quando si scoprì che le bacche, opportunemente cotte, potevano essere consumate sottoforma di marmellate e salse. Altre notizie riportano che in tempo di guerra i semi della Pyracantha venissero utilizzati per fare una sorta di caffè.

In ogni caso, in bibliografia ci sono notizie discordanti circa la velenosità della Pyracantha: nel dubbio meglio non assaggiarla! Oggi la Pyracantha è utilizzata solo a fini ornamentali.

Esposizione

L’agazzino va posto a dimora in luogo soleggiato; queste piante sono molto rustiche e non temono il freddo. Possono essere sistemate anche in zone semi ombreggiate ma per garantire il corretto sviluppo è necessario che possano ricevere almeno alcune ore di luce; in caso contrario presenteranno una crescita minore e saranno meno rigogliose.

Questi arbusti sopportano senza problemi anche l’inquinamento atmosferico e la salsedine; se poste a dimora in luogo eccessivamente ombreggiato tendono a produrre pochi fiori.

Annaffiature

La pyracantha sopporta senza problemi periodi anche prolungati di siccità; di solito, gli esemplari più adulti si accontentano dell’acqua derivante dai periodi di pioggia mentre per favorire l’attecchimento delle piante da poco poste a dimora, queste vanno annaffiate più frequentemente, tenendo conto però che l’acqua va fornita quando il terreno è ben asciutto.

E’ necessario evitare i possibili ristagni d’acqua che potrebbero pregiudicarne la salute.

Vengono coltivate anche in vaso o come bonsai, in questo caso le annaffiature dovranno essere regolari.

In primavera è consigliabile interrare ai piedi dell’arbusto del concime organico maturo, o una buona dose di concime granulare a lenta cessione.

Terreno

Queste piante si accontentano anche di terreni molto asciutti e poveri di materia nutritiva, purché si tratti di substrati ben drenati. Essendo piante rustiche riescono ad adattarsi a tipologie di terreno diverse, la cosa importante è che non siano troppo compatti, tanto da non favorire il drenaggio; questo perchè l’agazzino può sopportare senza problemi periodi prolungati senz’acqua ma soffre in presenza di ristagni d’acqua che possono portare a dei pericolosi marciumi radicali.

Parassiti e malattie

Le pyracantha sono piante piuttosto rustiche e resistenti però, spesso, vengono colpite dagli afidi e dalla cocciniglia. Quando si nota l’attacco di questi parassiti è necessario intervenire tempestivamente con l’utilizzo di prodotti insetticidi specifici che aiutino a contrastare efficacemente lo sviluppo di patologie che potrebbero anche portare alla morte della pianta.

E’ possibile anche intervenire con un trattamento prevenivo alla fine dell’inverno con l’impiego di prodotti insetticidi mirati che aiutino ad evitare l’insorgere di malattie.

 

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Rhamnus

Rhamnus L., 1753 è un genere di piante della famiglia Rhamnaceae, che include circa 100 specie. Il sottogenere Frangula è talvolta trattato distintamente.

L’alaterno (Rhamnus alaternus L. subsp. alaternus) è un arbusto autoctono presente su quasi tutto il territorio italiano.

Descrizione

Le piante di questo genere possono essere cespugli o piccoli alberi alti da 1 a 10 m, molto più raramente fino a 15 m. Le specie di piante di questo genere possono essere sia decidue sia sempreverdi. Le foglie sono semplici, lunghe da 3 a 15 cm e disposte o alternate o a coppie opposte. Un carattere distintivo di molte piante di questo genere è la maniera in cui le venature della foglia curvano verso l’alto in direzione della punta della foglia. I frutti sono bacche di colore blu scuro. Il nome inglese buckthorn è dato dalle spine legnose presenti in molte specie alla fine di ogni ramo. Queste piante sono utilizzate come piante nutrici dalle larve di alcune specie di Lepidoptera.

La fioritura che si protrae sino ad aprile. I fiori sono unisessuali, piccoli e gialli, poco visibili.

Profumati, attraggono le api mellifere e allietano l’olfatto con la loro fragranza delicatamente dolce. Compaiono all’ascella delle foglie in piccoli grappoli, da febbraio ad aprile, a seconda della latitudine.

La pianta può raggiungere i 5 metri di altezza, ma più spesso non supera i 3.

Ha fogliame sempreverde. Le foglie sono alterne o sub opposte. La lamina fogliare è coriacea, glabra, con nervatura a reticolo in rilievo su entrambe le facce, quella superiore molto brillante e di un verde scuro, l’inferiore più opaca e più chiara. Il margine varia da intero a seghettato o dentellato, l’apice è acuto.

Ad un occhio inesperto le foglie potranno sembrare simili a quelle della Phyllirea latifolia, che però sono opposte e molto più coriacee.

I frutti sono drupe (bacche) di 4-6 mm, succose e contenenti 3 semi. Sono tossici per l’uomo. Compaiono fin dall’inizio primavera quando sono di colore verdastro, diventano poi rossicci per passare infine al nero a piena maturazione, che avviene da luglio a settembre a seconda della latitudine, dell’esposizione e dell’andamento stagionale.

E’ una specie localmente comune. Diffusa in tutta l’Europa Mediterranea, si insinua anche in alcune località a clima più mite dell’area continentale (Colli Romagnoli e Bolognesi, Trentino, Veneto) dove però è raro e localizzato.

Il legno è molto duro, viene utilizzato per lavori di tornitura o ebanisteria, è di colore giallo-brunastro ed ha un caratteristico odore che emana appena tagliato (da cui il nome popolare di Legno puzzo).

Nell’industria dei coloranti viene utilizzato per l’estrazione dei pigmenti noti come verde di vescica. Anticamente si utilizzava per tingere di giallo i tessuti. Come tutti i Rhamnus ha usi farmaceutici per i quali però, rimando a testi specialistici.

In giardino

In epoche passate l’alaterno è stato intensamente usato per la realizzazione di siepi e macchie nei parchi delle ville nobiliari di tutt’Italia. In giardino da grande soddisfazione, perché è pianta frugale, rusticissima che non ha preferenze di suolo, si adatta all’acido come al calcareo e persino al salmastro. Resiste bene alla siccità ed all’umidità, temendo solo i freddi molto intensi soprattutto se accompagnati a forti ristagni idrici. Nei parchi e giardini può essere facilmente coltivata, per la realizzazione di siepi o di esemplari singoli.

Consigli di coltivazione

Per favorire un migliore accestimento dei cespugli si possono effettuare delle cimature durante la fase vegetativa, favorendo così l’emissione di getti laterali avventizi. Se annaffiata e concimata cresce molto velocemente.

Non ha parassiti specifici, resiste a tutte le più comuni malattie fungine e di conseguenza non necessita di trattamenti anticrittogamici.

Non necessita di cure particolari e sopporta bene le potature che possono essere effettuate in tutti i mesi dell’anno, evitando solo periodi di gelo più intenso.

Per chi ama moltiplicare le proprie piante consigliamo la riproduzione da seme.

In questo caso però è necessario procurarsi una pianta femmina ed una maschio, poiché l’alaterno è una pianta dioica.

 

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Rhus

Il Sommaco americano o Rhus Typhina è un arbusto, o piccolo albero, a foglie caduche, originario dell’America settentrionale.

Ha tronco eretto, generalmente corto, e chioma molto ramificata, disordinata, tondeggiante, molto appiattita; la corteccia è liscia, di colore grigio-marrone, tende a rompersi in scaglie con il passare degli anni.

Le foglie sono di colore verde, composte da 10-15 piccole foglie lanceolate, appuntite; in autunno divengono di colore rosso-arancio, prima di cadere.

In piena estate produce pannocchie erette, alte 15-20 cm, costituite da piccoli fiori bianchi; in tarda estate sulle stesse pannocchie compaiono i frutti, piccole drupe rossastre, ricoperte da una leggera peluria; le pannocchie di frutti rimangono sull’albero per molte settimane, risaltando molto in inverno sugli alberi completamente privi di foglie.

Le radici del sommaco americano sono rizomatose, quindi produce numerosi polloni basali, che è bene asportare per permettere una crescita equilibrata alla pianta.

Esposizione
Il Rhus Typhina andrebbe messo a dimora in un luogo ben soleggiato, anche se la pianta può svilupparsi abbastanza bene anche in zone di mezz’ombra, ma non ama l’ombra piena e in quel caso non potrà svilupparsi correttamente. Non teme il freddo e può sopportare temperature anche inferiori ai -15°C. Negli inverni particolarmente rigidi è consigliabile proteggere la pianta, sistemando alla sua base delle foglie o della paglia, così da riparare le radici e il fusto dalle ondate di gelo più intenso.

Annaffiature
In generale il Sommaco americano si accontenta della pioggia, potendo sopportare senza alcun problema periodi anche lunghi di siccità; allo stesso modo si sviluppano anche in zone umide.

Ovviamente se coltivati in giardino è possibile fornire loro dell’acqua ogni due o tre settimane, avendo cura di controllare che il terreno sia ben asciutto tra un’irrigazione e l’altra. Se il Rhus Typhina viene coltivato in vaso, allora, sarà necessario annaffiarlo più frequentemente.

All’inizio della primavera è bene fornire alla pianta del concime ricco in azoto, sotto forma di concime organico o come concime granulare a lenta cessione.

Terreno

Il Rhus Typhina non ha particolari esigenze per quanto riguarda il terreno, sviluppandosi senza problemi sia in suoli acidi, sia in suoli a ph elevato; nello stesso modo cresce sia nei suoli ricchi di materia organica, sia in suoli molto poveri; l’unico accorgimento utile per permetterne il massimo sviluppo è quello di garantirgli un terreno ben drenato, così da evitare possibili dannosi ristagni d’acqua.

Moltiplicazione
La moltiplicazione di questo arbusto avviene per seme o per talea; è anche possibile prelevare i polloni basali che radicano con grande facilità; questi andranno messi a dimora in autunno mentre le talee in estate.

Sommaco americano – Rhus Typhina: Parassiti e malattie

In genere il sommaco americano non viene attaccato da parassiti o da malattie, anche se talvolta sulle infiorescenze si possono notare numerosi afidi. Per questo motivo può essere utile, in primavera, mettere in atto un trattamento preventivo con un insetticida ad ampio spettro che possa prevenire il possibile attacco dei parassiti; potrebbe essere una buona idea anche quella di utilizzare un prodotto fungicida per prevenire la formazione di funghi che potrebbe essere favorita dal clima fresco e umido.

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Ribes

Ribes L., 1753 è un genere della famiglia delle Grossulariaceae.

Comprende piante coltivate a scopo alimentare (come il ribes rosso, l’uva spina, e il cassis utilizzato in Francia per la crème de cassis) e a scopo ornamentale.
Distribuzione e habitat
Sono arbusti diffusi in quasi tutta l’Europa e in gran parte del Nordamerica.
È presente anche in tutta l’Asia a nord di una linea che collega il Caucaso al Giappone meridionale, in aree ristrette del Nordafrica e lungo le Ande fino alla Terra del Fuoco.
Nel 1922 il pilota Gaspare Bona ha scoperto un tipo di Ribes (mai visto prima) a Carignano, in Piemonte: il Ribes Temmia.

Sistematica

Secondo la classificazione APG, Grossulariaceae appartengono all’ordine delle Sassifragali e in queste sono le più vicine, evolutivamente, alle Sassifragacee.
Tassonomia

Il genere Ribes comprende tante specie.
Coltivazione e usi
Le specie del genere Ribes si propagano facilmente per talea, margotta o semina. Le talee daranno frutti in 2 o 3 anni, mentre la semina in 4-5 anni.
Com’è fatto il ribes

Si tratta di un arbusto alto fino a 1,70 cm se nero (Ribes nigrum), 1,50 cm se rosso e 1,40 cm se bianco (entrambi Ribes rubrum), con diametro inferiore di un terzo rispetto all’altezza.
Ha foglie palmate a 3-5 lobi, alterne sui rametti, più grandi nel ribes nero e via via a scalare; nel nero portano nella pagina inferiore numerose ghiandole che secernono un odore penetrante e sgradevole.

Le infiorescenze a piccolo grappolo, di colore verde-rosato nel nero e verde-giallastro nel rosso e nel bianco, ermafrodite e insignificanti (tranne che nel ribes da fiore, Ribes alpinum, dove sono grappoli rosa acceso), nascono dalle gemme situate sui rami dell’anno precedente.
Da ciascun grappolo di fiori si sviluppano parecchi frutti (bacche), più grandi nel nero (fino a 1,2 cm di diametro), di colore nero opaco oppure a polpa trasparente avvolta da una pellicola color rosso rubino, o giallastro o bianco.
La polpa, che contiene vari semi, è intensamente odorosa, aromatica e dolce-acidula solo nel ribes nero, mentre nel rosso è acidula e aromatica, e nel bianco è dolciastra e poco aromatica.
La raccolta del ribes

Avviene in più riprese a partire dal mese di giugno e sino all’inizio di agosto, a seconda delle varietà e a partire dai grappoli più soleggiati. Con l’unghia si recide alla base il picciolo del grappolo.

Le bacche si conservano a temperatura ambiente per 2 giorni al massimo, in frigorifero per 7-10 giorni.
Le varietà di ribes

Il ribes rosso può produrre frutti rossi, ma anche bianchi o giallastri a seconda della varietà; il ribes nero produce sempre frutti neri a maturazione.

Tra le varietà più interessanti, a frutto rosso ci sono Fertile di Bertin, Jonkeer Van Tets e Rondom; a frutto bianco Versaillaise Blanche e Weisseperle; a frutto nero Noir de Bourgogne e Silvergieters Schwarze.

La coltivazione del ribes

Il ribes non teme il gelo (fino a –15 °C) ma non ama il caldo (max 30 °C) né la salsedine, non è quindi indicato per zone costiere, mentre è adattissimo alle Alpi e agli Appennini.
Il ribes nero preferisce un suolo di medio impasto, sciolto, con molto humus, piuttosto acido, profondo, permeabile e molto fertile; non sopporta i terreni argillosi. Il ribes rosso è più adattabile, ma non alla terra argillosa. Richiedono una posizione a mezzo sole in estate, sempre riparata dal vento.
La piantagione si effettua in marzo-aprile, ponendo nella buca concime organico e minerale. Le annaffiature sono indispensabili se non piove durante la primavera-estate. La concimazione va ripetuta ogni anno in primavera con un fertilizzante minerale per piccoli frutti. Si propaga per talea, tolta dai rami di un anno, e radicata in vaso per due anni.
Quanto alla forma di allevamento, il ribes rosso necessita spesso di sostegni, mentre il nero va contenuto nella sua esuberanza; è bene quindi creare un sistema di palatura collegato da fili di ferro robusto per legare i rami. L’ideale è la forma a vaso, da creare conservando i rami esterni, anche per arieggiare l’interno. In un giardino, il ribes può servire anche come piccola siepe o come esemplare isolato.
La potatura si deve limitare solo ai rami troppo vecchi, troppo sviluppati, quelli che tendono a crescere verso l’interno del cespuglio a formare un groviglio, e a quelli che si abbassano troppo verso terra.
Avendo bisogno di freddo, non necessita di alcuna protezione invernale. Richiede viceversa una protezione nei confronti del forte sole estivo: può essere sufficiente un albero che lo ombreggi, altrimenti serve una struttura d’incannucciato.
Il ribes rosso può essere coltivato in contenitore, di diametro 24 cm per pianta alta 40 cm, avendo cura di annaffiare molto spesso in estate e di concimare in abbondanza anche in autunno.
Le malattie e i parassiti più temibili sono due malattie fungine, l’oidio e la muffa grigia, che vanno combattute con poltiglia bordolese da irrorare in autunno, in inverno, due volte in primavera (non in fioritura) e una in estate dopo la raccolta.

Le proprietà nutrizionali del ribes
ribes nero
I frutti del ribes nero sono più sgranati e hanno un sapore molto intenso che non a tutti piace.

I ribes rossi e bianchi contengono quantità eccezionalmente elevate di polifenoli, stimabili intorno ai 4-5 grammi per chilo, mentre il ribes nero, conosciuto anche come “la perla della gemmoterapia”, occupa il primo posto per contenuto di vitamina C. Ha un’azione protettiva nei confronti delle malattie vascolari e dei fenomeni degenerativi e di invecchiamento delle cellule,ma soprattutto è noto per una sua particolare proprietà. Il preparato ottenuto dalla macerazione delle gemme fresche di Ribes nigrum in alcool è infatti in grado di stimolare le ghiandole surrenali, deputate alla produzione di cortisone endogeno: in pratica è il più potente preparato fitoterapico per combattere l’insorgenza e attenuare la violenza delle allergie stagionali.
Il ribes rosso è invece specialmente adatto a fare svaporare il senso di spossamento e stanchezza che soprattutto in inverno ci colpisce. Esiste una cura semplice e poco impegnativa, da osservare per 15 giorni consecutivi: mettete in infusione, in una tazza di acqua bollente, 1 cucchiaio di foglie secche di ribes rosso sminuzzate; aspettate 20 minuti; filtrate e bevete.

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Rosmarinus (Rosmarino)

Il rosmarino (Salvia rosmarinus Schleid.) è una pianta perenne aromatica appartenente alla famiglia delle Lamiaceae.

Originario dell’area mediterranea dove cresce nelle zone litoranee, garighe, macchia mediterranea, dirupi sassosi e assolati dell’entroterra, dal livello del mare fino alla zona collinare, ma si è acclimatato anche nella zona dei laghi prealpini e nella Pianura Padana nei luoghi sassosi e collinari.
Descrizione

Pianta arbustiva sempreverde che raggiunge altezze di 50–300 cm, con radici profonde, fibrose e resistenti, ancoranti; ha fusti legnosi di colore marrone chiaro, prostrati ascendenti o eretti, molto ramificati, i giovani rami pelosi di colore grigio-verde sono a sezione quadrangolare.

Le foglie, persistenti e coriacee, sono lunghe 2–3 cm e larghe 1–3 mm, sessili, opposte, lineari-lanceolate addensate numerosissime sui rametti; di colore verde cupo lucente sulla pagina superiore e biancastre su quella inferiore per la presenza di peluria bianca; hanno i margini leggermente revoluti; ricche di ghiandole oleifere.

I fiori ermafroditi sono sessili e piccoli, riuniti in brevi grappoli all’ascella di foglie fiorifere sovrapposte, formanti lunghi spicastri allungati, bratteati e fogliosi, con fioritura da marzo ad ottobre, nelle posizioni più riparate ad intermittenza tutto l’anno.
Ogni fiore possiede un calice campanulato, tomentoso con labbro superiore tridentato e quello inferiore bifido; la corolla di colore lilla-indaco, azzurro-violacea o, più raramente, bianca o azzurro pallido, è bilabiata con un leggero rigonfiamento in corrispondenza della fauce; il labbro superiore è bilobo, quello inferiore trilobo, con il lobo mediano più grande di quelli laterali ed a forma di cucchiaio con il margine ondulato; gli stami sono solo due con filamenti muniti di un piccolo dente alla base ed inseriti in corrispondenza della fauce della corolla; l’ovario è unico, supero e quadripartito.

L’impollinazione è entomofila, cioè è mediata dagli insetti pronubi, tra cui l’ape domestica, che ne raccoglie il polline e l’abbondante nettare, da cui si ricava un ottimo miele.

I frutti sono tetracheni, con acheni liberi, oblunghi e lisci, di colore brunastro.
Coltivazione
I fiori

Richiede posizione soleggiata al riparo dai venti gelidi; terreno leggero sabbioso-torboso ben drenato; poco resistente ai climi rigidi e prolungati.

Si può coltivare in vaso sui terrazzi, avendo cura di porre dei cocci sul fondo per un drenaggio ottimale, rinvasando ogni 2-3 anni, usando terriccio universale miscelato a sabbia, concimazioni mensili con fertilizzante liquido miscelato all’acqua delle annaffiature, che saranno controllate e diradate d’inverno.

In primavera si rinnova l’impianto cimando i getti principali, per ottenere un aspetto cespuglioso, senza dover ricorrere ad interventi di potatura.

Si moltiplica facilmente per talea apicale dei nuovi getti in primavera prelevate dai germogli basali e dalle piante più vigorose piantate per almeno 2/3 della loro lunghezza in un miscuglio di torba e sabbia; oppure si semina in aprile-maggio, si trapianta in settembre o nella primavera successiva; oppure si moltiplica per divisione della pianta in primavera.

Per effetto dei meccanismi di difesa dal caldo e dall’arido (tipici della macchia mediterranea), la pianta presenta, se il clima è sufficientemente caldo ed arido in estate e tiepido in inverno, il fenomeno della estivazione cioè la pianta arresta quasi completamente la vegetazione in estate, mentre ha il rigoglio di vegetazione e le fasi vitali (fioritura e fruttificazione) rispettivamente in tardo autunno o in inverno, ed in primavera. In climi più freschi ed umidi le fasi di vegetazione possono essere spostate verso l’estate. Comunque in estate, specie se calda, la pianta tende sempre ad essere in una fase di riposo.
Usi

Oltre agli usi medicinali illustrati più sotto il rosmarino viene utilizzato:

Come pianta ornamentale nei giardini, per bordure, aiuole e macchie arbustive, o per la coltivazione in vaso su terrazzi
Nell’industria cosmetica come shampoo per ravvivare il colore dei capelli o come astringente nelle lozioni; nelle pomate e linimenti per le proprietà toniche. In profumeria, l’olio essenziale ricavato dalle foglie, viene utilizzato per la preparazione di colonie, come l’Acqua d’Ungheria
Come insettifugo o deodorante nelle abitazioni (se ne bruciano i rametti secchi)
Per la produzione di un miele monoflorale in quanto i fiori sono particolarmente bottinati dalle api, perché piante mellifere
In campo alimentare, sotto forma di estratto, viene usato come additivo dotato di proprietà antiossidante ed etichettato con la sigla E392. Se ne conoscono 5 tipi designato con acronimi:

AR: estratto ottenuto da un estratto alcolico di rosmarino parzialmente aromatizzato;
ARD: estratto ottenuto da un estratto alcolico di rosmarino aromatizzato;
D74: estratto ottenuto da foglie secche di rosmarino per estrazione con anidride carbonica supercritica;
F62: estratto ottenuto da foglie secche di rosmarino per estrazione con acetone;
RES: estratto ottenuto da per estrazione con esano ed acetone e poi decolorato e dearomatizzato.

Birra gruit
In europa settentrionale si usava per fare la birra gruit con achillea millefoglie e mirto di palude.

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Rubus (Mora o Rovo)

Il rovo (Rubus ulmifolius Schott, 1818) è una pianta spinosa appartenente alla famiglia delle Rosaceae.
Descrizione

Si presenta come pianta arbusto perenne, sarmentosa con fusti aerei a sezione pentagonale lunghi anche oltre 6 metri, provvisti di spine arcuate.

È una semicaducifoglia; infatti, molte foglie permangono durante l’inverno.

Le foglie sono imparipennate, variabilmente costituite da 3 a 5 foglioline a margine seghettato di colore verde scuro, ellittiche o obovate e bruscamente acuminate, pagina superiore glabra e pagina inferiore tomentosa con peli bianchi e spine nella nervatura principale.

I fiori, bianchi o rosa, sono composti da cinque petali e cinque sepali. Sono raggruppati in racemi a formare infiorescenze di forma oblunga o piramidale. Il colore dei petali varia da esemplare a esemplare con dimensioni comprese tra i 10 e 15 mm. La fioritura compare al principio dell’estate, in giugno.

Il frutto commestibile, la mora, è composto da numerose piccole drupe, verdi al principio, poi rosse e infine nerastre a maturità, derivanti ognuna da carpelli separati ma facenti parte di uno stesso gineceo. In Italia il frutto è maturo in agosto e settembre; il gusto è variabile da dolce ad acidulo.

La moltiplicazione della pianta avviene per propaggine apicale o talea.
Distribuzione e habitat
Rubus ulmifolius in Europa

Il suo areale comprende quasi tutta l’Europa, il Nordafrica e il sud dell’Asia. È stata introdotta anche in America e Oceania.

La pianta è indicativa di terreni profondi e leggermente umidi. La riproduzione è sessuale attraverso i semi contenuti nelle drupe, ma anche vegetativa attraverso l’interramento di rami che danno origine ad una pianta nuova.

È considerata una infestante in quanto tende a diffondere rapidamente e si eradica con difficoltà. Né il taglio né l’incendio risultano efficaci. Anche gli erbicidi danno scarsi risultati. Poiché è una pianta eliofila, tollera poco l’ombra degli altri alberi, pertanto si riscontra ai margini dei boschi e lungo i sentieri, nelle siepi e nelle macchie.

Spesso nei boschi i rovi formano delle vere barriere intransitabili. Specialmente in associazione con la vitalba, essi possono creare dei grovigli inestricabili spesso a danno della vegetazione arborea che viene in pratica aggredita e soffocata. Tali situazioni sono quasi sempre l’espressione di un degrado boschivo.
Etimologia
Foglie

Il nome scientifico di questa specie è composto dal nome di genere Rubus e da quello di specie ulmifolius.

Rubus (dal latino ruber, rosso) potrebbe far riferimento al colore dei frutti maturi di altre specie dello stesso genere, come il lampone, o direttamente alla forma immatura del frutto di questa specie stessa.

Ulmifolius (dal latino ulmus, olmo e folia, foglia) deriva dalla similitudine con le foglie dell’albero Ulmus minor.

Usi
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Mora (frutto).

La pianta è utilizzata anche per delimitare proprietà e poderi, con funzioni principalmente difensive, sia per le numerose e robuste spine che ricoprono i rami, sia per il fitto e tenace intrico che essi formano, creando una barriera pressoché invalicabile.

Altre funzioni delle siepi di rovo sono nella fornitura di nettare per la produzione del miele anche monoflorale, in Spagna e Italia, e ancora nella associazione di specie antagoniste di parassiti delle colture (ad esempio le viticole), e nella formazione di corridoi ecologici per specie animali.

Il frutto, annoverato tra i cosiddetti frutti di bosco, ha discrete proprietà nutrizionali con marcata presenza di vitamine C e A. Cento grammi di more fresche contengono infatti 52 kcal, 0,7 g di proteine, 0,4 g di lipidi, 12,8 g di glucidi, 32 mg di calcio, 0,6 mg di ferro, 6,5 er (equivalente in retinolo) di vitamina A, 21 mg di vitamina C. Presenta indicazioni in erboristeria per le sue proprietà astringenti e lassative.

Si tratta di un frutto delicato, che mal si presta a lunghe conservazioni. È commercializzato per scopi alimentari al naturale e come guarnizione di dolci, yogurt e gelati, oppure nella confezione di marmellate, gelatine, sciroppi, vino e acquavite (ratafià).

Nell’uso popolare, i giovani germogli, raccolti in primavera, sono ottimi lessati brevemente e consumati con olio, sale e limone, al pari di molte altre erbe selvatiche primaverili.

I germogli primaverili, colti quando il sole è alto, lavati e lasciati a macerare in una brocca di acqua fredda tutta la notte, producono una bevanda rinfrescante.
Usi
Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Mora (frutto).

La pianta è utilizzata anche per delimitare proprietà e poderi, con funzioni principalmente difensive, sia per le numerose e robuste spine che ricoprono i rami, sia per il fitto e tenace intrico che essi formano, creando una barriera pressoché invalicabile.

Altre funzioni delle siepi di rovo sono nella fornitura di nettare per la produzione del miele anche monoflorale, in Spagna e Italia, e ancora nella associazione di specie antagoniste di parassiti delle colture (ad esempio le viticole), e nella formazione di corridoi ecologici per specie animali.

Il frutto, annoverato tra i cosiddetti frutti di bosco, ha discrete proprietà nutrizionali con marcata presenza di vitamine C e A. Cento grammi di more fresche contengono infatti 52 kcal, 0,7 g di proteine, 0,4 g di lipidi, 12,8 g di glucidi, 32 mg di calcio, 0,6 mg di ferro, 6,5 er (equivalente in retinolo) di vitamina A, 21 mg di vitamina C. Presenta indicazioni in erboristeria per le sue proprietà astringenti e lassative.

Si tratta di un frutto delicato, che mal si presta a lunghe conservazioni. È commercializzato per scopi alimentari al naturale e come guarnizione di dolci, yogurt e gelati, oppure nella confezione di marmellate, gelatine, sciroppi, vino e acquavite (ratafià).

Nell’uso popolare, i giovani germogli, raccolti in primavera, sono ottimi lessati brevemente e consumati con olio, sale e limone, al pari di molte altre erbe selvatiche primaverili.

I germogli primaverili, colti quando il sole è alto, lavati e lasciati a macerare in una brocca di acqua fredda tutta la notte, producono una bevanda rinfrescante.
Nutrienti nei semi
Le more rappresentano un’eccezione tra le altre bacche della specie Rubus per via dei semi grandi e numerosi, non sempre apprezzati dai consumatori. Essi contengono grandi quantità di acidi grassi omega-3 (acido alfalinolenico) e omega-6 (acido linoleico), proteine, fibra alimentare, carotenoidi, ellagitannini e acido ellagico.

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Salix (Salice)

Il genere Salix L., 1753 appartiene alla famiglia delle Salicacee. Originario dell’Europa, Asia e Nord America, comprende circa 300 specie di alberi, arbusti e piante perenni legnose o fruticose, generalmente a foglia caduca; le specie arboree arrivano ai 20 metri di altezza.
Etimologia

Il latino salix, -icis risale a una radice indoeuropea con alternanza *səlik (in latino), *selik (nel greco ἑλίκη helíkē), *sol(i)k (nell’area germanica cfr. antico alto tedesco salaha, tedesco Salweide, anglosassone sealh); la voce latina è collegata anche con l’irlandese sail.

Nei dialetti italiani il nome della pianta è perlopiù derivato dall’accusativo salicem in forma sincopata salce (salice è un latinismo), con passaggio alla declinazione in -o (salcio) e spesso in forma femminile: abruzzese sàucia, laziale sarcia o sàucia, elbano salgo, pitiglianese la salce; il ligure ha il maschile saxo. In area romanza, da saliceus derivano il solandro salécia, il bolognese salìz, il francese saule, il provenzale saletz; dalla forma tarda *salicārius il catalano salguer, il portoghese salgueiro, lo spagnolo salguera, il veneziano salghèr, il friulano salgàr (cfr. i cognomi italianizzati Salgari e Saligari); da *salicum il rumeno sargǎ, il guascone saligo, ligo, lo spagnolo sarga.
Specie spontanee in Italia

Le specie spontanee della nostra flora sono poco più di 30, molte di difficile identificazione grazie alla notevole facilità con cui si formano ibridi con caratteristiche intermedie, tra le più note ricordiamo:

il S. alba L., noto volgarmente col nome di “Salice da coliche” o “Salice bianco”;
il S. caprea L., noto col nome di “Salicone” o “Salcio di montagna”;
il S. myrsinites L.
il S. helvetica Vill.
il S. herbacea L.

Salici bianchi in inverno – Filicaja – Montaione (FI)

il S. reticulata L.,
il S. retusa L.,
il S. purpurea L., chiamato volgarmente “Salice rosso” o “Brillo”
il S. cinerea L., chiamato volgarmente “salice cinerino”

Specie naturalizzate in Italia

Numerose specie esotiche si sono acclimatate in Italia:

il S. viminalis L.
il S. babylonica L., noto col nome comune di “Salice piangente”

Uso

Come pianta ornamentale nei giardini o per decorare grandi vasche, stagni e le rive dei corsi d’acqua.
I vinchi vengono impiegati in agricoltura per legare le viti, mentre i vincastri sono utilizzati per realizzare cesti, stuoie, oggetti vari.
Il legno bianco rosato, tenero, leggero, pieghevole, poco resistente, si presta per realizzare casse da imballaggio, attrezzi e sculture, per la produzione di truciolati e cellulosa, utilizzato come combustibile (apprezzato soprattutto nella fase di accensione) e per fornire un carbone per la preparazione della polvere pirica.
La corteccia di quasi tutte le specie contiene:
tannini che vengono utilizzati per la concia del pellame;
Le foglie come foraggio per gli ovini.

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 Sambuco – Sambucus

 

Il sambuco, nome comune per sambucus, appartenente alla famiglia delle Caprifoliacee, è un arbusto a crescita spontanea, assai comune nella nostra flora e tipico all’interno di boschi o in luoghi selvatici.

Proprio come albero selvatico, il sambuco ha una distribuzione variegata lungo siepi o terre incolte: non arriva mai a grandi altezze, va dai 2 ai 4 metri, è ha bisogno di un’esposizione in piena luce, mentre nei boschi trova il riparo dell’ombra grazie alla presenza degli alberi più grossi. Un grosso aiuto per la sua moltiplicazione in natura arriva dagli uccelli, attratti dalle bacche color porpora e lucenti di quest’albero di cui vanno ghiotti: mangiano i frutti, contribuendo a rilasciare i semi anche a molti chilometri di distanza dalla pianta da cui si sono nutriti.

Il sambuco è dunque un arbusto di non grosse dimensioni, a crescita rapida. Va coltivato in cespugli, da tagliarsi al piede oppure da radere al suolo anno dopo anno, alla stagione primaverile. Quest’albero è una pianta rustica dal buon valore ornamentale, grazie alla sua fruttificazione rossa – presente nella specie racemosa – o alla presenza di rami con midollo bianco, arricchiti dai fiori dalla buonissima fragranza e dal colore biancastro – nella specie di sambucus nigra – che formano ampi corimbi che ottimamente vanno a contrastare con il verde lucido del fogliame.

Il genere sambucus comprende due sezioni: nella prima viene inserita l’unica specie erbacea del suo genere, il sambucus ebulus, mentre nella seconda si trovano le specie a forma di alberelli o arbusti, come le menzionate racemosa e nigra. Noi andremo ad analizzare il sambucus racemosa, originario di Europa e Asia Occidentale e molto diffuso all’interno di boschi ombrosi dell’Europa, dalla Spagna al Nord Europa, caratteristico per i suoi rami color cannella.

Foglie, fiori, frutti

Il fogliame del sambuco si presenta con un suggestivo colore verde lucido: le foglie sono composte da cinque a sette foglioline dentate, con forma ovale e allungata e molto ristrette in punta in direzione della loro sommità. I fiori hanno colore bianco – giallastro. Sono raccolti in grappoli costituiti da numerose ramificazioni e sono tutti pedicellati. I frutti sono raccolti anch’essi in grappoli e stanno in posizione eretta, non curvandosi, durante la maturazione. Hanno una forma globosa e un colore rosso corallo lucente, come detto, una connotazione importante per il valore ornamentale dell’albero.
Il sambuco comune, chiamato anche con il nome scientifico di Sambucus nigra, fa parte della famiglia delle Caprifoliacee.Si tratta di un arbusto perenne e deciduo, che presenta uno sviluppo estremam…
Sambucus nigra
Il sambucus nigra è una pianta angiosperma dicotiledone legnosa appartenente alla famiglia delle Caprifoliacee. Molto diffusa in Europa e in Asia occidentale, cresce prevalentemente nelle aree umide e…
gelso
gelso Il gelso è un albero da frutto secolare appartenente al genere Morus e alla famiglia delle Moraceae. E’ diffuso in Asia, Europa e Nordamerica, ma le sue origini si riferiscono alla Cina orientale e ce…

Moltiplicazione e coltivazione

Si moltiplica facilmente con talee dello stelo, che radicano con estrema facilità. Ma anche per seme o per divisione dei cespi. La pianta, per la sua estrema rusticità, è di facile coltivazione e cresce assai rapidamente. E’ consigliabile anche coltivarla come esemplare isolato in giardino, con la possibilità di ricorrere a cimature al fine di mantenere la pianta più bassa e ottenere con questa tecnica un maggiore valore decorativo.

 Esposizione

La sua preferenza va a posizioni soleggiate o a mezzombra Resiste molto bene all’inquinamento atmosferico, e cresce dove mole altre piante ornamentali, a causa di fumi e smog, non riescono a svilupparsi in modo adeguato. Ha buona resistenza anche ai venti salsi.

Terreno

Per la sua rusticità si adatta facilmente a tanti terreni, preferendo tuttavia quelli più freschi e di buona qualità, umidi e sufficientemente drenati.

Potatura

La potatura è da farsi ogni tre o cinque anni: il taglio deve essere corto e da effettuarsi all’inizio dell’anno. Come si è detto, la pianta cresce a gran velocità ma ha la tendenza frequente a diradarsi. Quindi è consigliabile far sviluppare ogni tre anni dei nuovi rami alla sua base.

 Utilizzi

A scopi ornamentali per la creazione di siepi o piccoli boschi. Ma la sua corteccia, associata ai frutti e ai fiori è utilizzata anche per preparare infusi o decotti. La corteccia va raccolta in primavera, oppure in autunno, e l’infuso prodotto con essa ha interessanti proprietà diuretiche. I fiori vanno raccolti sul finire della primavera e hanno proprietà sia lassative che diuretiche. I frutti si raccolgono sul finire dell’estate e hanno anch’essi proprietà lassative.

Curiosità

Per i popoli antichi del Mediterraneo, così per i greci e per i romani, “sambuco” era il nome dato a uno dei più importanti strumenti musicali a corde – definito di “barbara origine” poiché proveniente dall’oriente – proprio perché veniva realizzato con il legno di questo albero, che ha una consistenza dura ed è simile a quella del bossolo. Le bacche del sambuco sono commestibile e non molto saporite. Soprattutto nel Nord Europa si usano cotte per cucinare torte e focacce.

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Spartium

Lo Spartium junceum è un arbusto a foglie caduche, originario del bacino mediterraneo. Può raggiungere i 2-3 metri di altezza e presenta un portamento eretto, tondeggiante, con chioma molto ramificata; i fusti sono sottili, legnosi, molto flessibili, di colore verde scuro o marrone; le foglie sono piccole, lanceolate o lineari, di colore verde scuro, molto distanziate le une dalle altre, cadono all’inizio della fioritura. Da maggio a luglio produce numerosissimi fiori di colore giallo oro, delicatamente profumati, sui fusti spogli; ai fiori fanno seguito i frutti: lunghi baccelli pubescenti, che contengono 10-15 semi appiattiti. Queste ginestre sono molto comuni nella nostra penisola, dove crescono come piante selvatiche; grazie al loro apparato radicale molto sviluppato vengono utilizzate per consolidare scarpate e bordi di strade. Si consiglia di accorciare i rami a fine fioritura, per mantenere l’arbusto di forma più densa e compatta.

Coltivazione
Queste specie sono amanti dei luoghi soleggiati, anche se si possono sviluppare in zone parzialmente ombreggiate; non temono il freddo e si ambientano senza problemi anche in zone con clima difficile, si adattano ai forti venti e all’aria salmastra delle coste.

Per quanto riguarda l’annaffiatura, queste piante si accontentano delle piogge e possono sopportare periodi di siccità anche piuttosto lunghi o prolungati. Da aprile a settembre è opportuno fornire del concime da piante da fiore alle piante in maniera regolare.

Passiamo ora ad analizzare il terreno necessario per una loro corretta ed equilibrata crescita.

Le specie di Spartium junceum necessitano di essere poste a dimora in luoghi con terreni molto profondi e ben drenati, anche poveri e sassosi; in genere si adattano a qualsiasi terreno, purchè completamente esente da ristagni idrici.

Moltiplicazione e malattie

La moltiplicazione della pianta avviene per seme, nella stagione primaverile. In questa stagione i semi della ginestra vengono infatti piantati in contenitori specifici e una volta cresciute, le giovani piantine devono essere rinvasate in nuovi vasi. La messa a dimora ha luogo nel mese di ottobre.

Per quanto riguarda invece le malattie che possono colpire la pianta, possiamo affermare con tranquillità che la specie Spartium junceum di solito non viene attaccata da parassiti o da malattie. E’ infatti una pianta piuttosto forte e in grado di crescere sana e senza sviluppare particolari problematiche. In ogni caso, è possibile prevenire il problema acquistando specifici prodotti di giardinaggio per proteggere la pianta da eventuali attacchi di parassiti.

Curiosità
Uno degli usi tradizionali della pianta di Spartium junceum è il consolidamento dei terreni. Grazie infatti alla sua capacità di svilupparsi in profondità, spargendo le radici in varie direzioni è ottima per mantenere unito il suolo. Inoltre, dai fiori della pianta è possibile estrarre una fragranza molto buona, ricca e piuttosto forte. I fiori impiegati per la produzione di questo profumo provengono solitamente dalla regione della Calabria.

Un’ulteriore curiosità fa riferimento alle vermene. Da qui infatti si estrae fibra tessile.

Per quanto riguarda le proprietà farmaceutiche possiamo affermare che la pianta può essere un potente lassativo, diuretico e narcotico. Infatti, presenta un alto contenuto in sparteina ossia un alcaloide che provoca intossicazione, salivazione eccessiva, sudorazione e nausea. La pianta infatti viene utilizzata in campo medico ma è sconsigliato l’utilizzo per altri scopi.

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Spiraea

La Spiraea è una pianta arbustiva che apparitene alla famiglia delle Rosaceae, e quindi la sua parte più caratteristica sono i fiori, che, a seconda della varietà, vengono prodotti a metà o da fine primavera. Le zone di cui è originaria sono le aree asiatiche dell’emisfero boreale, dove si trovano climi più temperati; da lì poi si è diffusa in Europa, America e Messico. Nei giardini italiani ha fatto la sua comparsa già nel seicento, nella varietà definita Frutex. Alle molte varietà esistenti in natura, si sono con il tempo aggiunte altrettante cultivar, ovvero ibridi nati da innesti. La Spiraea si presenta con rami piccoli e sottili, foglie decidue, e un’altezza media che va dai 50 ai 200 centimetri. La compattezza della sua costituzione la rende molto adatta a formare delle siepi o delle bordure.
Varietà
Come si diceva, se si decide di piantare in giardino una Spiraea per poter godere della sua fioritura, la varietà di scelta davanti cui si può trovare è davvero sconfinata. Oltre alle varietà naturali ci sono quelle create dai botanici e dai giardinieri nel corso degli anni: ecco quali sono le principali che vengono utilizzate a scopo ornamentale. – Spiraea arguta: ha dei rami fortemente arcuati che quando sono fioriti vengono completamente ricoperti da piccoli boccioli bianchi; si può usare sia singolarmente che per formare una siepe; – Spiraea japonica; produce dei fiori rosa che durano per l’intera estate; il cespuglio ha una forma bassa e arrotondata; – Spiraea vanhouttei, una delle più diffuse, i suoi fiori si riuniscono in lunghe spighe; – Spiraea Thunbergii, ha fiori bianchi ed è di forma arrotondata, ideale per creare delle siepi basse.
Coltivazione
La spiraea non ha il solo vantaggio di essere estremamente bella a vedersi, ma anche di richiedere davvero poche cure per la sua coltivazione e sopravvivenza. Quello che conta è sceglierle sin dal principio una posizione adeguata, che sia in un angolo soleggiato e riparato, con temperature costanti e miti. Il terreno di impianto deve essere di buona qualità, arricchito nel periodo autunnale da concimi di tipo naturale come il letame o la cornunghia. Per quanto riguarda l’acqua, non ha bisogno di particolari irrigazioni, che però devono essere più abbondanti nel periodo in cui la spiraea deve attecchire nella sua nuova collocazione. In estate si possono usare dei concimi osmotici a lento rilascio, per rendere più abbondante la fioritura. Le potature di cui necessita sono determinate soprattutto dalle dimensioni che si desidera assuma il cespuglio.
Scelta
Chi sceglie per il proprio giardino o angolo fiorito la spiraea thunbergii, lo fa attirato soprattutto dalla sua tipica fioritura di piccole corolle bianche, che si radunano in gruppetti lungo tutta la lunghezza dei rami dell’arbusto. Tale fioritura ha inizio in aprile e dura per tutta l’estate. L’altezza massima che può raggiungere un cespuglio di spiraea thunbergii è di cm 180, e può essere lasciata crescere anche in vaso. Per quanto, come tutte le varietà di spiraea, anche la thunbergii ami i luoghi soleggiati e miti, può resistere anche a temperature molto rigide, quindi si adatta anche a climi nordici. Le potature devono essere eseguite solo dopo la prima fioritura, e in seguito una volta ogni quattro o cinque anni. Le sue foglie lunghe, lanceolate e di un bel colore verde chiaro, danno un aspetto arioso e gradevole al cespuglio anche quando non ci sono i fiori.

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Symphoricarpos

Il Symphoricarpos o sinforicarpo è un arbusto a foglie caduche che raggiunge i due metri di altezza, originario dell’America settentrionale e della Cina.

Ha portamento eretto e